"Non è il cammino impossibile, ma l'impossibile è cammino"

domenica 15 dicembre 2019

agonismo in bolletta

C’è stato un momento, netto e limpido, in cui lo sport agonistico è entrato in crisi profonda. Da quando è diventato a pagamento. I miei coetanei e le generazioni appena seguenti sanno bene di cosa si stia parlando: le famiglie non tiravano fuori un becco di quattrino e l’organizzazione dell’attività - palestre, allenatori, trasferte, - era totalmente a carico del Presidente-Padrone, spesso titolare di un’azienda locale, bramoso di far conoscere il proprio marchio e di investire nello sport. Erano tempi in cui il cartellino, ossia il valore in denaro della proprietà di un giocatore giovane, poteva far gola a molti imprenditori che consideravano il mondo sportivo un ramo fresco su cui far fiorire possibili guadagni. Nella nostra seppur piccola realtà locale, si ricordano passaggi milionari - quando ancora esistevano le lire - di giocatori come Fantin e Brusamarello trasferiti a società importanti di serie A. Il Presidente-Padrone aveva interesse che i giocatori migliorassero e quindi si accaparrava gli allenatori funzionali ai propri disegni di mercato: in genere giovani e bravi, motivati a dovere, desiderosi di lasciare un segno per affermarsi nell’emisfero nazionale e firmare, magari un giorno, contratti con società blasonate delle serie maggiori. Sia ben chiaro, non sono nostalgico di quei tempi, se non per le grandi abbuffate in pasticceria dove se ne andava metà del rimborso mensile in compagnia dei miei colleghi: sì, perché anch’io ho fatto parte di questo meccanismo e, seppur in piccola parte, ho contribuito attraverso la mia opera all’arricchimento di chi deteneva il potere assoluto sui giocatori. In questa sorta di camuffato schiavismo moderno, spiccava altresì un aspetto non trascurabile: in palestra si lavorava alacremente, non ci si risparmiava, ci si sbatteva dalla mattina alla sera. Non è un caso che quello sia stato il periodo, con alcune eccezioni, in cui la ‘produzione’ di giocatori sia stata ingente. Non ingannino i tempi moderni, il passaggio dal Presidente-Padrone al pagamento della quota ha certamente ridato valore al giocatore come persona con il diritto di scelta, ma ha inevitabilmente portato con sé danni irreparabili. Per la mentalità corrente, pagare significa avere diritto di parola e, nel peggiore dei casi, possibilità di invadere il campo altrui con conseguenze devastanti. Spesso le società sportive, che si arrabattano per far quadrare i conti, sono costrette ad umilianti compromessi per non incorrere in dispute sfinenti o, addirittura, per scongiurare il rischio che alcuni sbattano la porta e si accasino presso il vicino concorrente. Difficile, se non impossibile, creare giocatori in un clima ricattante e provvisorio, a meno che tutti gli ingredienti - giocatore, famiglia, allenatore e società - si trovino in perfetto allineamento, situazione più unica che rara. Tra il Padre-Padrone e il Padre-libero arbitrio non saprei cosa scegliere. Una cosa però penso di sapere: di questo passo la pallacanestro, e non solo, rischia l’estinzione. E non solo per colpa della denatalità. 

Nessun commento:

Posta un commento