"Non è il cammino impossibile, ma l'impossibile è cammino"

domenica 25 dicembre 2011

Natale firmato

Rimango convinto che in confronto a più autorevoli blog dove si parla - spesso sparla - di basket questo che state leggendo é solo un inutile e noioso passatempo. Tra l'altro si occupa non solo di pallacanestro, ma di altri sport, di attualità, perfino di politica. L'aspetto deteriore sta nel fatto che i commenti agli articoli debbano essere firmati e che quindi sia bandito l'anonimato. Faccio fatica a pensare che sia così difficile alzare la mano, presentarsi e lasciare un segno inequivocabile in rete. Pendo atto e mi arrendo: troppo facile e immediata, la stoccata con pseudonimi di ogni tipo e taglia va maggiormente di moda. Eppure, in qualsiasi assemblea pubblica mettiamo la nostra faccia e il nostro nome se vogliamo argomentare: non ci facciamo problemi ad alzare la voce se nell'asilo dei nostri figli si discute sull'aumento della retta mensile o sull'organico degli insegnanti ridotto ai minimi termini. Non vedo perchè, dietro ad una macchina, dobbiamo trasformarci vigliaccamente in tanti zorro telematici per infilzare a turno i nostri avversari invece di affrontarli in leale duello. Il gesto del guanto dovrebbe valere anche ai nostri tempi. Non condivido e non mi piace nemmeno l'idea che, non essendoci scrittura autografata, ci si possa esprimere liberamente e senza vincoli. I vincoli esistono eccome: il rispetto verso la persona non dovrebbe essere mai trasgredito. Posso combattere le idee, non i portatori. Esiste un confine oltre il quale non è permesso andare. E poi: come si fa a litigare con un fantasma? Che gusto c'è a prendersela con l'innominato? Comunque oggi é Natale, non mi sono dimenticato. E a Natale, per contratto, siamo tutti più buoni. Al mio club privato e ristretto di annoiati lettori, sinceri auguri. Prometto che, al posto di pepati e cafoneschi commenti, non farò mai mancare la giusta dose di modesta critica all'esistente, cestistico e non. Se poi vorrete lasciare la vostra firma e le vostre idee, tanto di guadagnato.

sabato 24 dicembre 2011

regali e pacchi

Potevano farsi e farci un regalo. Un bel gesto intonato al Natale. Avrebbero perso qualche soldino ma guadagnato qualche punto nella classifica della stima popolare. Hanno pensato invece che fosse meglio un privilegio oggi che un consenso domani. Ricordiamoci quando sarà il momento: verranno a mendicare prima o poi, un pò di buona memoria non farà loro male. E anche noi dovremo avere buona memoria, perchè non sarebbe la prima volta che troppo leggermente, dimenticandoci, abbiamo perpetuato lo stesso errore. Gli unici in Italia che possono decidere autonomamente e liberamente l'entità del proprio stipendio sono i nostri amati politici. Insegnanti, operai, impiegati, bancari, commessi: potessero decidere quanto guadagnare non avrebbero certo gli stipendi dichiarati in busta paga. La questione sta dunque a monte: com'é possibile concedere ampia libertà decisionale in una materia delicata come questa? Qualcosa si puó ancora fare: gli uomini politici che hanno votato contro il mantenimento dei vitalizi diano il buon esempio. Chi può proibire loro di rinunciarvi? Facciano il primo passo, se é vero che considerano un lusso immeritato godere di un'indennità per aver servito il paese. Per gli altri diventerà ancora più imbarazzante difendere le proprie posizioni. Qualcuno, da dentro, deve rompere la formazione. Da fuori é impossibile, se non rinunciando alla non violenza. È l'ora delle scelte coraggiose: sarà più sopportabile per tutti fare la coda in posta e pagare bollette più care se i sacrifici saranno condivisi. Quando i parlamentari italiani dichiareranno come quelli portoghesi, allora potremo ripensarci. Ma in questo momento, l'unica cosa che vorremmo sentire, come dice Fossati, é un poco di silenzio. Le vostre parole non ci interessano più, come le vostre balle e i vostri alibi. Cominciate a fare qualcosa di serio per salvare l'Italia e poi potrete chiedere agli italiani di fare la propria parte. Nel frattempo, buon Natale a tutti. Anche a voi, che vi siete dimenticati - dimenticati? - il regalo; o, meglio, che ve lo siete fatto. Per noi, un bel pacco.

venerdì 23 dicembre 2011

pietre

Se sei bravo
ti tirano le pietre
Se sei scarso
ti tirano le pietre
Se ti arrabbi
ti tirano le pietre
Se stai calmo
ti tirano le pietre

Qualunque squadra avrai
Dovunque allenerai
Sempre pietre in faccia prenderai

Se stai in piedi
ti tirano le pietre
Se ti siedi
ti tirano le pietre
Se alzi la voce
ti tirano le pietre
Se stai zitto
ti tirano le pietre

Qualunque squadra avrai
Dovunque allenerai
Sempre pietre in faccia prenderai

Sarà così finchè vivrai
Sarà così

Se correggi
ti tirano le pietre
Se lasci perdere
ti tirano le pietre
Se giocano tutti
ti tirano le pietre
Se giocano gli stessi
ti tirano le pietre

Qualunque squadra avrai
Dovunque allenerai
Sempre pietre in faccia prenderai

Se sei duro
ti tirano le pietre
Se sei molle
ti tirano le pietre
Se perdi
ti tirano le pietre
Se vinci
ti tirano le pietre

Qualunque squadra avrai
Dovunque allenerai
Sempre pietre in faccia prenderai

Sarà così finchè vivrai
Sarà così

Grazie a Gian Pieretti

giovedì 22 dicembre 2011

Quello che manca al mondo

Quello che manca al mondo
è un poco di silenzio
Quello che manca in questo mondo
è il perdono che non vedo e non sento
Tutta la gente intorno sogna
di cavalcare il temporale
Quello che serve alla vita
è acqua e sale
Io non sono quell'uomo che aveva un sogno
che ne è stato dei sogni di questo tempo
di che cosa parliamo in questa vita
di che cosa nutriamo i nostri figli

Quello che mancherà domani
è un monumento all'uguaglianza
Quello che manca già stanotte
Sono mille parole d'amore
Perchè c'è gente che parla d'amore
In una lingua morta
Sono vivi e gli basta
E sanno aspettare
Ma in questa estate che sembra piuttosto dicembre
non tutto va bene oppure si se vi pare

Quello che manca al mondo
Lo vedo bene coi miei occhi
Quello che manca in questo mondo
non lo posso raccontare
Io non sono quell'uomo che aveva un sogno
e nemmeno l'artista che aveva un dono
Ma anche solo un pensiero fa strada
come tutte le grandi illusioni

Quello che manca al mondo
è un poco di silenzio
quello che manca in questo mondo
è il perdono che non vedo e non sento
Quello che manca al mondo
è un poco di silenzio

Ivano Fossati

martedì 20 dicembre 2011

maledetta avidità

E' riuscito ad ingannare anche me. Mi piaceva: aveva grinta, leadership, generosità. Pur avendo un nome importante, ha scelto di giocare in squadre di seconda fascia. Mi affascinava questa sua voglia di far grande la provincia. Era il capitano, il trascinatore, l'atleta che tutti gli allenatori vorrebbero avere. Malgrado biologicamente non lo sia, umanamente e sportivamente, per quanto mi riguarda, è morto. E con lui sono morti altri giocatori che ci hanno fatto urlare e sognare. Aveva tutto: fama, soldi, salute. Quante persone possono permetterselo? Evidentemente non c'è limite all'avidità: un giocatore di calcio è già nel privilegio, di cos'altro può aver bisogno? Ma la notizia peggiore è l'agonia che sta vivendo lo sport: il significato stesso della parola pretende lealtà, competizione, superamento dell'avversario. Come il doping, le scommesse stanno avvelenando l'ambiente e rendendolo irrespirabile. Non è tanto e solo il giro di soldi che scandalizza, quanto il concetto stesso che ciò che è puro per natura possa essere inquinato. Il denaro, forse, si recupera, non la coscienza. Soprattutto abbiamo il dovere di far credere alle nuove generazioni che è ancora possibile crescere alla scuola dei valori sportivi. Signor Doni, mi dispiace, non ho compassione per lei. Nemmeno per Beppe Signori, che tanto abbiamo ammirato in azzurro. La vostra immagine è scaduta. Avreste potuto essere ricordati con le maglie addosso e le braccia alzate, come nei poster che si attaccano in camera. Eravate idoli di migliaia di tifosi, ora siete il simbolo della corruzione e dell'imbroglio. Tra voi e mani pulite non saprei chi scegliere. Avreste potuto accontentarvi, in fondo Madre Natura era già stata prodiga. Capisco un morto di fame che ruba nelle case. Voi non vi capirò mai.

domenica 18 dicembre 2011

cara vecchia bontà

Sbaglio o a Natale dovremmo essere tutti più buoni? Sarebbe anche interessante lavorare sull'aggettivo: cosa significa essere buoni? Possiamo tradurre in mille modi: perdonare chi ci ha offeso; fare un'opera buona; andare a trovare i parenti; rinunciare all'istinto vendicativo. Certo che in giro esistono molti modi originali per ricordare il Natale: alberi che al posto delle palline hanno dei biglietti dove si chiede a Gesù Bambino di esaudire i propri desideri. Che non sempre, anzi quasi mai, contengono pensieri buoni. Chiediamo ad un bambinello, nato nel freddo e nella povertà assoluta, di far del male a quel tizio, a quell'insegnante, a chi ci ha dato qualche problema. Dove sono finiti i vecchi pensierini natalizi? Le poesie strappalacrime recitate sulla sedia a tavola, le letterine dolci e delicate, i biglietti cartacei, i propositi buoni, le canzoncine come colonna sonora dei pranzi famigliari? Dov'è finita la cosiddetta bontà? La bontà degli ingenui, di chi non pensa sempre male, di chi si fida, di chi va oltre, di chi all'apparenza sembra perdente, di chi dorme bene di notte. Ciò che un tempo sembrava infantile, oggi è dono prezioso e raro. Caro Gesù Bambino, tu che davvero sei buono, donaci un cuore pulito, senza macchia, incapace di pensare e fare male.

giovedì 15 dicembre 2011

sport e pane

Non é facile, indubbiamente. Ma qualcuno ci é riuscito, perché non tutti? Perchè in questo paese fare una cosa sembra escluderne un'altra? Far bene a scuola non significa necessariamente far male altrove. E viceversa. Mi sono sempre opposto all'idea che un giocatore agonista di alto livello debba per forza rinunciare agli studi. Ci sono miriadi di esempi: Michele Mian, uno per tutti e non uno qualunque, giocatore della nazionale e laurea in filosofia. E poi, chi lo dice che sia più conveniente studiare? Ne siamo proprio sicuri? Sbaglio o l'Italia possiede il record di laureati non occupati? Ci sono giovani che a trenta e passa anni devono ancora uscire di casa: è così scandaloso guadagnarsi da vivere facendo sport? La realtà è che si considera la professione dello sportivo come qualcosa di evanescente e temporaneo. Come un lavoro anomalo. Certo, non mancano casi di ragazzi disillusi e rovinati da sogni di carriere infrante, per infortunio o per aspettative troppo alte. Però, e so di andare controcorrente, non mi piace e mi opporrò continuamente al falso concetto che sia meglio studiare che fare attività sportiva. Non sono aspetti da mettere in conflitto: sono due facce della stessa medaglia. C'è chi si paga gli studi facendo sport: c'è qualcosa di male? Fare il professionista nello sport é pur sempre un privilegio: conoscete qualcosa di meglio per guadagnarsi il pane? Io non ho avuto sufficiente coraggio per intraprendere questa strada e mi sono pentito. Ho un lavoro sicuro? Vero, ma nell'incertezza forse mi sarei divertito di più.

martedì 13 dicembre 2011

tutto qui

Chissà perchè mi sono venuti in mente i giocatori che ho allenato. Ammetto: ogni tanto una sbirciatina alle loro statistiche domenicali mi fa alzare la cresta. Sono uomini adesso. Ricordo perfettamente i rimproveri, i predicozzi, le risposte non sempre educate. I giocatori hanno bisogno dell'allenatore, ma è anche vero il contrario. Anzi, ora che ci penso, è forse più vero il contrario. Ettore Messina - a cui tutti riconosciamo qualità tecniche fuori dal comune - sarebbe stato lo stesso se non avesse allenato gente come Danilovic, Nesterovic, Ginobili? I giocatori hanno molto da insegnare agli allenatori, soprattutto quelli che escono dai binari e mettono a dura prova la stabilità e gli equilibri di squadra. Facile insegnare ai normo-alunni: venite all'Istituto Professionale un giorno e vi farò scoprire un mondo nuovo. Così nello sport: se vuoi vincere, avere soddisfazione, devi imparare a gestire i cosiddetti giocatori vincenti, quelli che spostano le partite e mettono a repentaglio le tue convinzioni. Perchè non esiste un giocatore vincente che non abbia una personalità forte. Se vuoi giocatori educati ed obbedienti, sai in partenza che avrai uno spogliatoio calmo ma anche una bacheca priva di trofei. E' una battaglia psicologica: sai che ti risponderanno male ma che non si tireranno indietro quando ci sarà da combattere. Farai di tutto per cambiarli, ma sai fin da subito che non ci riuscirai. E i tuoi meriti, se ce ne fossero, stanno solo nell'aver impedito che il loro sogno svanisse. Tutto qui? Tutto qui.

domenica 11 dicembre 2011

così non va

Fede, non ci siamo. Sei una campionessa e nessuno lo discute. Abbiamo tifato per te, sofferto, abbiamo esultato nei trionfi, cantato e battuto le mani durante l'inno di Mameli. Abbiamo sopportato alcuni atteggiamenti un pò divistici. Abbiamo tollerato la tua presenza a volte istrionica negli spot pubblicitari. Ti abbiamo perdonato alcune affermazioni non sempre ortodosse nelle interviste post-gara. Ci siamo disinteressati delle vicende sentimentali convinti che non fossero affari nostri. Stavolta no. Stavolta hai sbagliato. Una campionessa si vede nella vittoria, ma si distingue nella sconfitta. Sei arrivata quarta, giù dal podio, e te la prendi con l'ultimo degli allenatori? Hai perso, punto e basta. Capita a tutti di perdere, anche ai più forti. Nessuno è invincibile. Soprattutto nessuno è responsabile delle sconfitte più di sè stesso. Perchè coinvolgere altri nell'insuccesso? È come prendersela con gli arbitri dopo una partita. Come dare la colpa alla sfortuna. E se anche fosse vero tutto quello che hai detto, era così necessario strombazzarlo ai quattro venti? Non sarebbe stato meglio un regolamento di conti in privato? L'impressione é che tu non riesca a liberarti della presenza del povero e grande Alberto Castagnetti: davvero lui era fenomenale, sapeva come prenderti, ma nessuno è indispensabile e insostituibile, anche in casi eccezionali come questi. Una sconfitta può insegnare più di una vittoria: prendila e trasformala in rabbia agonistica. In fondo ciò che conta è Londra: un quarto posto agli europei in vasca corta non è niente al cospetto di una medaglia olimpica. E noi sappiamo che ci sarai: anche noi ci saremo per spingerti sul podio. E il tuo sorriso sul gradino più alto non ha niente a che fare con il musone e gli alibi di questi giorni. Quella è la Fede che ci piace.

martedì 6 dicembre 2011

scherzi del destino

Conoscere i risultati in anticipo - attenzione, non combinando le partite - avrebbe effetti positivi immediati. Potrebbero saltare i bookmakers per la rovina degli scommettitori incalliti, di certo avremmo meno ricoveri e un utilizzo più morigerato di farmaci. Mi spiego: se sapessi prima di giocare che la partita finirà con una vittoria dopo 3 supplementari di un punto con tiro sulla sirena, perchè mai dovrei dannarmi l'anima e rovinarmi il fegato? Me ne starei tranquillo in panchina ad aspettare che il destino si compia. Potrei tornare a casa sereno e risparmiare gli abitanti dall'inevitabile grandinata adrenalica. La notte potrei dormire tranquillo e potrei mangiare e finalmente digerire come tutti gli umani che si rispettino. Se fossi a conoscenza di una sconfitta, l'atteggiamento non muterebbe di molto. Mi girerebbero di più le scatole, ma non avendo possibilità di trasformazione del corso inevitabile delle cose me ne starei imbronciato aspettando rassegnato l'amara conclusione. Se Qualcuno da qualche parte conosce l'esito, perchè ha deciso di farci stare in pena? In fondo, anche le parole crociate hanno la soluzione in ultima pagina. Ma siamo proprio sicuri che il risultato finale sia già scritto? Oppure sono i protagonisti in campo che decidono? Forse sono vere entrambe le cose, forse il destino si diverte a farci soffrire. O forse la verità è un'altra: siamo talmente tossici, che preferiamo farci del male pur di non rinunciare alle emozioni forti. Incoscientemente autodistruttivi. Amen.

martedì 29 novembre 2011

senza danni


Federer-Nadal. Affidabilità-Eccentricità. Tecnica-Atletismo. Svizzera-Spagna. Genio-Sregolatezza. Comunque due campioni. Due modi di vincere. Pochi tra gli over a tifare per lo spagnolo; pochi tra gli under a sostenere Federer. Un piacere vederli contro: due scuole, due temperamenti, due generazioni. Finalmente due diversi, riconoscibili e inconfondibili. A dimostrazione che nello sport esistono più vie per raggiungere il successo. Non esiste l'atleta preconfezionato, costruito in laboratorio. Esistono gli atleti, espressione di culture tipiche, frutto di metodologie formative spesso contrapposte. Non c'è Bibbia, non c'è verità, non c'è scienza. Non c'è un atleta uguale ad un altro, non c'è apprendimento standard, non ci sono formule. Si va per tentativi, spesso si sbaglia, a volte ci si azzecca. Come diceva qualcuno, l'allenamento serve a portare in superficie ciò che si trova in profondità. Non si tratta di costruire campioni, semmai di impedire che non lo diventino. In questo senso la responsabilità dei tecnici è schiacciante. Diffidiamo dai maghi: nessuno ha il potere di trasformare un atleta. Nemmeno Ettore Messina avrebbe potuto "creare" Danilo Gallinari. Un allenatore può perfezionare, non certo plasmare. Ma allora a che serve? A non fare danni. Federer e Nadal hanno avuto bravi allenatori: a prima vista, non sembra ne abbiano subìti.

sabato 26 novembre 2011

cercando un altro egitto

Quando ero giovane mi chiedevo che senso avesse allenare squadre di un altro paese. Hanno cominciato gli slavi con il calcio: frettolosamente li definii mercenari, santoni frustrati incapaci di ottenere risultati in patria. Ora ne è pieno il pianeta: italiani all'estero e stranieri in Italia. Anche il mio giudizio è cambiato: se potessi, andrei anch'io volentieri in giro per fare nuove esperienze in ambienti incontaminati. Vedendo Velasco allenare la nazionale iraniana di pallavolo mi è salito un sentimento misto di ammirazione e invidia: ammirazione per un uomo che ha vinto tutto e che riesce a trovare nuovi stimoli, invidia per l'adorazione dei giocatori nei suoi confronti. L'entusiasmo di queste squadre esordienti nel panorama internazionale é davvero contagioso: spesso gli allenatori hanno bisogno di un bagno di vitalità ricreandosi in ambienti dove è necessario partire da zero ma la volontà di crescere è impareggiabile. I casi di longevità sulla stessa panchina sono sempre più rari: Fergusson, Wenger, Pianigiani. Ma questi sono in una botta di ferro. Ogni tanto c'è bisogno di cambiare e di portare il proprio credo da altre parti: spesso la nostra spinta vitale trova inevitabile esaurimento quando è spesa per troppo tempo nello stesso posto. Insomma, l'ambiente è stufo di noi e noi siamo stufi dell'ambiente. In questo senso capisco Messina, Scariolo, Anastasi, Guidetti, Capello, Trapattoni: di certo loro sono su un altro livello, ma la questione in gioco è la stessa. Trovare altri stimoli e soddisfazioni nuove: il desiderio di sentirsi ancora utili li ha portati in giro per il mondo. Forse a noi, comuni mortali, basterebbe solo qualche chilometro.

giovedì 24 novembre 2011

consapevolezza

Un noto scrittore di viaggi fu invitato a cena a casa di una famiglia benestante giapponese. Il padrone di casa aveva invitato numerosi ospiti, preannunciando di avere qualcosa di importante da condividere con loro. Una delle pietanze sarebbe stata a base di pesce palla, considerata una prelibatezza in Giappone, anche perchè questo pesce é mortalmente velenoso, a meno che il veleno non sia asportato da uno chef molto esperto. Era un grande onore essere invitati a gustare quella prelibatezza.
Lo scrittore, che era l'ospite d'onore, attese la pietanza con grande curiosità e ne assaporò ogni boccone. Effettivamente non aveva mai assaggiato niente di così gustoso. Il padrone di casa gli chiese che cosa ne pensasse di quell'esperienza. L'ospite descrisse in toni estatici il gusto squisito del pesce che aveva appena assaporato. Non dovette esagerare, perchè era davvero sublime, tra i cibi migliori che avesse mai assaggiato. Soltanto allora il padrone di casa gli rivelò che il pesce che aveva mangiato era di una varietà comune. Un altro ospite aveva mangiato il pesce palla, senza saperlo. La cosa importante, scoprì l'autore, non era quanto fosse buona una rara e costosa prelibatezza, ma quanto potesse essere meraviglioso il cibo ordinario, se prestava attenzione ad ogni boccone.

martedì 22 novembre 2011

romanzi inediti

C'è una letteratura da spogliatoio che difficilmente verrà ricordata nei circoli culturali più raffinati ma che comunque merita di essere menzionata. Agli odori esilaranti e agli urli animaleschi spesso si mischiano parole ed emozioni che possono segnare in modo indelebile la vita sportiva degli atleti. I discorsi pre-partita rappresentano il meglio della cosiddetta narrativa sportiva: non è un mistero che dalle parole più o meno toccanti pronunciate dagli allenatori possano scaturire prestazioni superiori o inferiori alle attese. Ci sono momenti in cui bisogna sferzare, altri dove è necessario accarezzare. In alcuni casi funziona il sale, in altri lo zucchero. A volte è il silenzio a parlare per tutti: di fronte ad una sconfitta, è meglio usare meno parole possibili. Come dice giustamente Dan Peterson, mai parlare a caldo quando una squadra è ferita. Lo spogliatoio è soprattutto il luogo delle parole proibite: quello che ci si dice dentro è spesso irripetibile fuori. Fa parte di un patto segreto fra tutti i componenti della squadra fare in modo che non esca nulla di ciò che accade all'interno delle quattro mura. Spesso volano parole grosse, ma è meglio dirsi tutto in faccia piuttosto che trascinare situazioni cancerogene: anzi, ho visto squadre cambiare atteggiamento in meglio dopo furiosi litigi chiarificatori. Difficile indossare maschere quando c'è in gioco la propria faccia. Personalmente giudico un giocatore che risponde non del tutto appropriato; c'è da dire però che spesso sono proprio questi soggetti a dimostrare carattere e attaccamento alla causa. Ben venga se rispondere non significa cercare alibi ma dimostrare concretamente in campo di avere ragione. Gli allenatori amano i giocatori orgogliosi. Il campo è la vita pubblica, lo spogliatoio quella privata: non tutto quello che si fa in pubblico si può fare in privato e viceversa. Lo stesso vale per le parole: c'è un linguaggio pubblico e uno privato. Ci sono delle cose che solo la squadra può dire o sentire: non sono segreti, è codice d'onore.

sabato 19 novembre 2011

magico sabato

Per un insegnante lavorare di sabato è una sorta di iattura, un'esemplare punizione per un grave peccato commesso. Ancora adesso mi sto chiedendo di quale colpa mi sia macchiato per meritarmi una sorte così avversa e malvagia. Questa è una delle categorie lavorative dove esiste un'effettiva disparità di trattamento tra i dipendenti: tanto per fare un esempio, chi lavora nel commercio è consapevole della mole di lavoro che gli spetta. Oppure i turnisti, sanno in partenza i dettagli del proprio destino. Per quanto riguarda i docenti, invece, l'orario di lavoro è stabilito da altri a tavolino. C'è chi lavora di pomeriggio, chi di mattina, chi le prime ore, chi le ultime, chi ha da sempre lo stesso giorno libero, chi lo cambia ogni anno. Quando ho capito, dalle facce inconfondibili dei compilatori dell'orario, che anche quest anno avrei dovuto sopportare l'inevitabilità degli eventi, mi sono messo il cuore in pace e il pre-festivo in tasca. Esiste comunque l'altro lato della medaglia, certamente più incoraggiante. Non si sa per quale motivo, di sabato a scuola l'atmosfera è rilassata e soave, come se gli alunni avvertissero la necessità di deporre le armi. D'incanto, maggiore disponibilità e collaborazione. Sorrisi, battute, gentilezze. Cose da non credere! Un'aria leggera mai respirata nei giorni feriali. Sarà la legge di compensazione, oppure la sensazione di essere già in vacanza. Sta di fatto che le ore passano in fretta e quasi diventa divertente ed utile l'esercizio dell'insegnamento. A questo punto sorge un dilemma: meglio il privilegio del fine settimana lungo o la soddisfazione nel provare che la missione dell'educatore ha ancora senso di esistere? Ai posteri l'ardua sentenza.

giovedì 17 novembre 2011

k factor

Il discepolo supera il maestro. Fattore K alla ribalta: Knight e Krzyzewsky si passano il testimone. 903 partite vinte in carriera. Un abbraccio commovente a fine partita. Il discepolo, visibilmente emozionato, dirà:" sono orgoglioso di aver avuto un maestro come Bobby ". Una bella storia, fra due giganti del basket universitario che hanno dato un'impronta indelebile a questo sport. Chi non ha succhiato le idee di questi due mostri? Knight artefice del concetto difensivo di squadra e della disciplina nel lavoro: i suoi metodi duri, al limite della sopportazione, hanno forgiato centinaia di giocatori. Sua la celebre frase provocatoria: vorrei allenare 10 giocatori orfani. Mike Krzyzewsky, signore in panchina, fautore del gioco pulito ed organizzato in attacco, capace di riportare al posto giusto l'immagine del basket americano: quando ci fu da scegliere l'allenatore della selezione statunitense alle ultime olimpiadi, il consenso su coach K fu praticamente unanime. Duke, l'università per la quale allena, gioca sul K court, riconoscimento dato solo ai grandi della pallacanestro d'oltre oceano. Dobbiamo molto a questi due personaggi: l'identificazione dell'università con l'allenatore è il modo migliore per dare continuità ad un progetto. Il paragone con Ferguson e il sistema Manchester non è inopportuno. Chi va in queste squadre è perfettamente consapevole di ciò che può trovare e di ciò che l'aspetta. Abituati ai facili esoneri e agli incarichi ad tempus, ci suona strano pensare ad allenatori che stanno nella stessa piazza per molti anni: in Italia una cosa del genere sarebbe improponibile. Il segreto? Un ambiente sano e unito, senza pressioni e inutili polemiche, dove tutti sono orgogliosi di lavorare per la stessa causa. E dove la parola fiducia trova ancora ragione di essere pronunciata.

martedì 15 novembre 2011

fatto male

C'è un momento in cui tutto esce dalle orecchie. Gli alunni, i giocatori, le palestre, i colleghi. In base alla par condicio, anch'io devo aver subito la stessa sorte in qualche orecchio altrui. Vorresti prendere una chitarra e salire sul palco. Oppure un pennello. Picozza e scarponi. Barca a vela. Fuggire? Si, fuggire. Come clandestini nella notte. Come ladri in pieno giorno. Come vigliacchi, non importa. Il rapporto con la quotidianità è ambivalente: è lavoro, guadagno, famiglia, relazioni. Ma è anche ripetizione, nausea, orari. Fare e disfare. Ricominciare daccapo, adattando continuamente il sistema nervoso alle novità, spesso squilibranti e irrispettose. Continuiamo a farci del male, incuranti degli effetti irreversibili. La pensione non è più il giusto compenso dopo anni di lavoro: è libertà, riappropriazione, identità. Non ci penso: di questo passo potrei togliere il disturbo molto prima. Siamo animali complessi: il mio cane, da cui dovrei imparare, si accontenta delle carezze giornaliere. Purtroppo, a cinquantanni suonati, non ho ancora imparato l'arte: trasformare l'ordinario in straordinario. Ci provo, ma ogni volta inciampo. Dovrei godere di quello che ho, se non altro per rispetto all'umanità ferita. Sono fatto male: amo ciò che faccio, ma sono innamorato di altro.

domenica 13 novembre 2011

celibi e ammogliati

È sempre affascinante vedere una squadra di ragazzi battersi con gli adulti. Un pò come una volta, celibi e ammogliati (oggi si potrebbe organizzare un torneo con tutte le tipologie esistenti). I celibi corrono, gli ammogliati menano. Così è da sempre e così sempre sarà: è una legge non scritta, ma che tutti sanno. Nessuno vuole perdere: i giovani hanno impazienza, i meno giovani orgoglio. Entrambi hanno qualcosa da insegnare e imparare. Se i ragazzi vogliono vincere, devono prendere il largo e non farsi raggiungere: in un finale punto a punto, non hanno scampo. Se gli adulti vogliono vincere, devono rintuzzare e rimanere attaccati: continue rimonte potrebbero esaurire le forze. Da una parte un motore fresco ma non ancora collaudato; dall'altra la capacità maturata negli anni di ottenere il massimo con il minimo. Alla fine abbracci e riconoscimenti per tutti, quasi un passaggio di consegne. Arriverà il momento. Intanto una stretta di mano: c'è rispetto tra chi ne ha viste tante e chi ha visto troppo poco. In fondo, fa parte della specie animale preoccuparsi della successione: chi ha molte partite alle spalle vuole sincerarsi della bontà dei propri eredi. Chi vince oggi, ieri ha saputo aspettare.

sabato 12 novembre 2011

goal



Il portiere caduto alla difesa
ultima vana, contro terra cela
la faccia, a non veder l'amara luce.
Il compagno in ginocchio che l'induce, 
con parole e con mano, a rilevarsi,
scopre pieni di lacrime i suoi occhi.


La folla - unita ebbrezza - per trabocchi
nel campo. Intorno al vincitore stanno,
al suo collo si gettano i fratelli.
Pochi momenti come questo belli,
a quanti l'odio consuma e l'amore,
è dato, sotto il cielo, di vedere.


Presso la rete inviolata il portiere
- l'altro - è rimasto. Ma non la sua anima,
con la persona vi è rimasta sola.
La sua gioia si fa una capriola,
si fa baci che manda da lontano.
Della festa - egli dice - anch'io son parte.


Umberto Saba - Il Canzoniere

giovedì 10 novembre 2011

tu sei Zlatan

E' sopportabile solo perchè veste la maglia giusta. Ha scritto perfino un'autobiografia "Io sono Zlatan", che sicuramente non troverà in me un acquirente. Maleducato, sfacciato, narcisista, provocatore: è questo il modello che piace? Finalmente gli adolescenti avranno un paladino a cui rifarsi, uno con le palle che manda in quel paese gli allenatori e ko i compagni di squadra. Se lo fa Ibra, che malgrado tutto è un campione, non possiamo farlo tutti? In fin dei conti ognuno può dire quello che vuole: ciò che mi indigna è che il quotidiano sportivo più letto in Italia faccia da amplificatore a questa squallida commedia. Ci si onora di trasmettere valori e idee di profilo e poi si cade, come sempre, sulla buccia di banana del profitto ad ogni costo. Quello che Zlatan si dimentica di dire - e che avrebbe fatto bene a mettere nelle note, come nei medicinali - è che per diventare come lui non bisogna seguire quello che c'è scritto sul libro. Perchè per fare un campione non esistono scorciatoie: i litigi, le bevute, le bravate sono solo il corollario di una vita spesa in sudore e rinunce. Per un'ubriacata occasionale, ci sono milioni di strenuanti allenamenti. Ingannare l'immaginario giovanile facendo credere che si possa ottenere tutto ciò che si vuole vivendo spericolatamente è uno dei crimini morali più grossi che oggigiorno si possano commettere. Maradona, il più forte giocatore di calcio mai esistito, ha buttato nel cesso la sua vita per aver vissuto di eccessi: proviamo a chiedergli ora se, tornando indietro, rifarebbe le stesse cose che lo hanno portato alla rovina. Non si scherza su queste cose: un campione ha il dovere di dire che, oltre a mille privilegi, esiste un lato oscuro e meno visibile chiamato sacrificio quotidiano. E' su questa immagine idealizzata del fenomeno privilegiato che molti ragazzi gettano alle ortiche carriere e sogni di gloria. Caro Zlatan, nessuno discute il tuo talento: non c'è bisogno di enfasi, nemmeno di parole. Io farei come Pippo: lascerei parlare i goal.

martedì 8 novembre 2011

una nuova era

Il mio grado di tolleranza si abbassa ogni giorno di più. Devo stare attento, alla mia salute e a quella degli altri. Quello che non sopporto è la distrazione. Le giovani generazioni ne sono affette da tempo ormai, da quando la tecnologia si è impadronita della loro mente. Non sono contrario per principio alla modernità, intesa come sviluppo di nuove conoscenze o invenzione di strumenti in grado di migliorare la qualità della vita. In sè, un telefonino è un oggetto e nulla più: è l'utilizzo che potrebbe diventare nocivo. Ricordo in gioventù le discussioni accanite sulle funzioni patologiche della televisione: Pasolini ne fu il precursore e molti suoi scritti si rivelarono in seguito altamente profetici. Oggi parlare di TV fa ridere tutti quanti: iphon, ipad, playstation,xbox, queste sono le nuove creature con cui fare i conti. Per non parlare di internet e dei social network che tengono incollati i ragazzi per ore al computer. Mi rendo conto che di fronte a questo assedio mediatico e virtuale, le parole di un vecchio allenatore brontolone abbiano poche speranze di vittoria. Calcolate bene: nessuno tra questi attrezzi si preoccupa della formazione dei ragazzi, semmai del loro intrattenimento. Il motivo per cui si possa stare ore ed ore su internet è presto detto: non ci sono richieste particolari e non c'è fatica mentale. Ben diverso leggere e sottolineare un libro di testo, oppure sopportare un insegnante che ti chiede di fare addominali veri, non virtuali. La percezione del reale viene sfumata,difficile rendersi conto del senso di adeguatezza o meno verso un compito assegnato. Nessuno spiega che c'è un trucco: tra il mondo immaginario e quello esistente c'è una differenza abissale. Quello immaginario è facile da ottenere,quello esistente occorre sudarselo. Se con la playstation posso schiacciare come Michael Jordan, sul campo devo meritarmi la permanenza. Difficile capire che un minuto fatto in campo ha una soddisfazione maggiore di 5 ore passate ai video giochi. Cosa c'entra la tecnologia con la distrazione? C'entra, perchè la generazione precedente a quella virtuale - che ho fatto in tempo ad allenare - aveva un livello di concentrazione più alto. Non mi è mai capitato, come in questi ultimi anni, di ripetere all'infinito le stesse cose, come se dall'altra parte del telefono non ci fosse nessuno ad ascoltare. La facilità con cui oggi possiamo disporre di qualsiasi informazione ha fiaccato la mente, come se non fosse più allenata a sopportare carichi prolungati ed intensi. Non è un caso se oggi dico ai miei atleti che la differenza la fa la testa: una volta era il talento, poi è venuto il fisico, successivamente l'atletismo. Siamo entrati in una nuova era: chi ha più presenza mentale e concentrazione si lascia gli altri alle spalle. E non solo nello sport.

venerdì 4 novembre 2011

il nemico sbagliato

Sono allibito. Ma dove stiamo andando? Ibrahimovic riempie di insulti Guardiola che è l'artefice del fenomeno Barcellona degli ultimi tempi mentre un giocatore della Virtus Bologna manda in pronto soccorso l'allenatore dopo essere stato ripreso. Nel mio piccolo, vi risparmio le espressioni che devo sentire ogni qualvolta gli alunni vengono corretti nei loro comportamenti, diciamo così, illeciti. Probabilmente, la buona educazione non è più una virtù. Anzi, in alcuni casi è considerata come un atteggiamento molle, passivo e rinunciatario. Parimenti, rispondere viene giudicato positivamente, come meccanismo democratico e maturo di autodifesa. Difesa da chi? Da chi vuole cavare il meglio dall'altro? Qualcuno ha sbagliato il nemico da combattere. I ruoli vanno rispettati: i padri non possono fare i figli e viceversa. Così i giocatori, non possono fare gli allenatori. Quando c'è uno scambio di ruoli, avviene il caos. Altro discorso é il rispetto che va sempre e comunque dovuto a chiunque, prescindendo dai ruoli stessi. L'educatore deve rispetto, ma la sua autorevolezza non può esser discussa. Può capitare che un giocatore dissenta dall'allenatore, non per questo deve sostituirsi o mettere in discussione la leadership. Si va fino in fondo, costi quel che costi. Ingoiare un rospo, in fondo, è sempre meglio che farsi cacciare.

martedì 1 novembre 2011

Luca....

E' difficile fare quello che mi appresto a fare. E' difficile, è improbo, è... è forse ingiusto, come ingiusto, profondamente ingiusto, è ciò che è accaduto: troppo pochi i giorni che sono trascorsi dalla scomparsa di un amico, di una amico vero, di Luca; troppo pochi i giorni trascorsi dal suo abbraccio, quando ci incontrammo per accompagnare Cesco, suo fratello. E se doverosi sono i ringraziamenti a Livio, al Console, che mi ospita per queste due righe, probabilmente inadeguate, doveroso è anche sottolineare come non sia io forse la persona adatta. Troppo parte in causa, troppo legato a una persona che con me ha condiviso passioni, e gioie, delusioni e speranze. Di una persona con la quale la vita è stata davvero crudele. Era un gigante Luca, era un adulto con la testa di un ragazzino, era superman, quando schiacciava mente noi gioivamo per aver toccato la retina. Era la sua voglia di vivere, di essere allegro, di crearsi un futuro, lo stesso che parzialmente non ha avuto. Era la pallacanestro, era la Perseo e i rockabilly, era la sua banana ed era le Cripper. La musica, Luca era la musica e le sue ragazze. Era la sua Cagiva, era il suo sorriso. Era le tante partite vinte, ed era l'ammirazione ed il rispetto per i grandi, perchè allora un anno era un muro, due erano un abisso che Luca sapeva sorvolare diventando amico di tutti. In punta di piedi, con la curiosità di un bambino. Luca era la vita, anche dopo quel maledetto incidente, quell'attimo che lo ha segnato, strappandogli molto ma non tutto, lasciandogli un sacco di cose alle quali aggrapparsi con un coraggio che non so, non credo riuscirei ad avere. Anche a Treviso, in lungodegenza, Luca era tutto ciò: era la speranza di tornare ad essere ciò che era, era l'allegria di chi non ti fa piangere, lui che avrebbe dovuto essere il primo a farlo. Una parola buona, una parola giusta, per tutti. Con una disarmante sensibilità, Luca, ci provava, ci ha provato sino in fondo. Lasciando in tutti l'impressione – e probabilmente anche la certezza – di non aver fatto abbastanza, di non essergli stati vicini a sufficienza. Sarebbe facile dire ora che la vita, in fondo, è così:

no, Luca, la vita non dovrebbe essere così, dovremmo avere più voglia più tempo, perchè quello che avrei dovuto passare con te sarebbe stato il tempo migliore.

“Ero il più forte di tutti!”, me lo dicevi spesso, Luca. Mai come ora posso dirlo, davvero. Si, eri il più forte di tutti. Di tutti quelli che, come me, ora non trovano chi non li faccia smettere di piangere. Non è giusto, Luca. Non è giusto.

Piero Della Putta

imbroglioni

Un conto è essere cattivi, un altro è farlo. Io sono della seconda specie. Un teatrante in sostanza. C'è una bella differenza: chi è cattivo dentro vuole il male dell'altro, chi lo è fuori in genere vuole il bene. Gli educatori sono tutti imbroglioni: bleffano, interpretano, recitano: in palio c'è la formazione dell'uomo di domani. E' strano: nella cattiveria apparente è nascosto un atto d'amore. Difficile da capire, ma tutti i grandi formatori hanno agito più o meno così. Per ottenere successo è indispensabile percorrere sentieri ad alta pendenza: chi promette traguardi facili, sa di mentire e commettere grave reato verso le nuove generazioni. Non c'è migliore via dello sport per capire quali sono le risorse necessarie per farcela anche nei momenti di maggiore difficoltà. Ti insegna che la fatica ha sempre una ricompensa, che non esistono sogni impossibili, che vince chi merita, che se resisti il premio sarà doppio. La soddisfazione non sta nella vittoria, ma nell'aver gareggiato: lottare fino in fondo senza calcolo e risparmio. Questo dobbiamo insegnare. Per farlo dobbiamo essere davanti al gruppo e pagare per primi se necessario: stavolta in forma reale, non apparente.

sabato 29 ottobre 2011

tempra psicologica

"Una volta lo sport era organizzato in modo molto più casuale. Ed era il caso stesso ad effettuare la selezione: ti buttava nella mischia, senza preoccuparsi se avevi fibre a prevalenza rosse o bianche, se eri fisicamente dotato o no. E quindi finivano per trovarsi nel mezzo dell'agone persone magari non ideali sotto l'aspetto fisico, ma adattissime dal punto di vista della tempra psicologica. Combattenti nati, gente che non aveva paura di niente e non si tirava mai indietro: e che alla fine, con la forza d'animo, riusciva a supplire alle carenze fisiche. Non c'era neanche così tanto allenamento. Così ti abituavi a dare tutto sempre e subito. Oggi, da paesi come i nostri, pieni di benessere, difficilmente emerge qualcuno. Siamo pieni di gente fisicamente azzeccatissima, selezionata e iper allenata, ma che poi sotto pressione si rivela inconsistente."

Eddy Ottoz, medaglia olimpica Città del Messico sui 110 ostacoli

giovedì 27 ottobre 2011

anonimo pordenonese

Non vorrei dire, ma ormai scrivono tutti. Se scrivono tutti, possiamo scrivere anche noi. L'ultimo libro è quello della Di Centa. In vetrina c'è anche quello di Dino Meneghin. Baggio, addirittura Cassano. Simona Ventura, Federica Pellegrini. Insomma, tutti hanno cose interessanti da dire. Basta essere famosi, anzi televisivi. E noi? Non abbiamo niente da raccontare? La nostra vita è così insulsa e banale che non merita di essere pubblicata? Avrei mille cose da raccontare: aneddoti, battute celebri, situazioni grottesche. Aspettative dei genitori come macigni sulle deboli spalle dei figli. Allenatori che in cambio di una vittoria sarebbero disposti a pagare qualsiasi cifra. Riti scaramantici, il più famoso contro la temuta fotografia di squadra pre-partita. Arbitri arrabbiati, dirigenti scoppiati, giocatori montati. Ma sono racconti anonimi, scritti da anonimi, in un contesto anonimo. Chi vuoi che gliene freghi di cosa succede in una sperduta città del nord-est che anche nei film viene ridicolizzata come ultimo avamposto patriottico ai confini dell'Europa orientale? Noi siamo sconosciuti, pertanto indegni di presentarci agli altri. Non abbiamo vinto medaglie, nè abbiamo militato nelle grandi squadre italiane. Non abbiamo indossato la maglia azzurra - casomai tifato - nè mai vinto un europeo o un mondiale. Eppure le emozioni, garantito, sono identiche: vincere la stracittadina ha lo stesso valore del trionfo nel derby milanese. I pianti e le urla in spogliatoio sono le stesse. Nessuno ha scritto di basket a Pordenone malgrado ci sia molto da raccontare: ad esempio, l'approdo e l'immediata fuga dell'americano Lister, giusto in tempo per dare una lezione alle blasonate Mestre e Venezia che, vista l'accesa rivalità, col cavolo avrebbero fatto un'unica squadra come ai nostri giorni. I giovani che vanno in campo oggi sono i figli di quella generazione di ragazzi che aveva perso la testa per gli eroi del Palazzetto: Sambin, Voselli, Fantin, Fultz, Masini. Che cosa sanno di quei tempi? Forse qualche notizia approssimativa. Noi siamo la nostra storia. Siamo ciò che eravamo. Forse la decadenza sta proprio qui: abbiamo perso la memoria. Non serve rincitrullire: è sufficiente provare imbarazzo verso chi ci ha preceduto. La verità è che quel poco che siamo, piaccia o no, è comunque in gran parte merito altrui.

mercoledì 26 ottobre 2011

parole di mamma

" La vita non deve avere rimpianti.
  Lui ha fatto quello che gli piaceva. "

   Rossella madre di Marco Simoncelli

lunedì 24 ottobre 2011

tanto e quanto

So di andare controcorrente ma la morte di Simoncelli non mi fa scendere una lacrima di più rispetto a qualunque  sconosciuto motociclista che abbia perso la vita sulle normali strade di ogni giorno. Anzi, morire su un circuito ci può stare: sulle strade mi convince di meno. Certo Simoncelli era un campione famoso e la sua scomparsa ha lasciato tutti sbigottiti: com'è possibile che possa mancare chi fino a poco tempo prima ci aveva entusiasmato con il suo coraggio e bravura? E' anche vero che chiunque faccia quel mestiere è consapevole dei rischi che corre. Non sono io che devo ricordare Ayrton Senna, forse il più bravo pilota di tutti i tempi, morto in pista mentre faceva ciò che gli piaceva: guidare in formula 1! Appena una settimana fa è morto a Indianapolis uno dei piloti più esperti del circuito americano, lasciando moglie e due figli piccoli. Non dico che sia una morte annunciata, ma certamente prevedibile. Chiunque guidi un'auto o una moto su un circuito sa di correre con la morte al suo fianco: semplicemente non ci pensa, ma non può togliersi quella compagnia di dosso. Si può morire stando fermi, figurarsi a 300 all'ora. Giacomo Agostini, grande campione del passato vincitore di tanti GP, ha detto con semplicità disarmante ma anche con estrema efficacia:" Io ho avuto fortuna, Simoncelli no". Le strade fanno stragi, più dei circuiti, ma non ci fanno impressione come i Gran Premi: possiamo dire che esiste una scala di valore anche nella morte? Per quanto mi riguarda, la Morte di Gheddafi vale quanto quella del ragazzo marocchino investito a Meduno. Così vale per Simoncelli: dispiaciuti, tanto e quanto gli altri.

martedì 18 ottobre 2011

quarto, quinto, sesto potere

Rimango contrario all'idea che le parole che si scrivono o si dicono sugli atleti siano ininfluenti: stampa, televisione, siti specializzati con relativi forum incorporati incidono non poco sulla formazione mentale ed emotiva di un giovane giocatore. Le giustificazioni minimalistiche degli autori non mi convincono più. Una parola poco pesata può fare più danni di un anno di allenamenti sbagliati. C'è un problema di fondo: l'educatore lavora su un materiale grezzo, il cronista vede già il prodotto finito. Non dico ci sia intenzionalità, sicuramente sottovalutazione del problema. Se un giornalista afferma che un ragazzo è un fenomeno, pur in buona fede, commette un errore devastante, forse irreparabile: cosa ne sappiamo noi delle capacità di filtraggio e assorbimento di tali affermazioni nella testa di un giovane in piena crescita? Siamo proprio sicuri che la predizione di un futuro carico di soddisfazione e successo sia la chiave giusta per aumentare la motivazione all'impegno? E se invece dovesse avvenire che di fenomeno non si tratta, è solo colpa dell'allenatore? Nessuno ripensa alle aspettative e alle pressioni a cui è stato sottoposto un atleta in erba e che possono aver minato le certezze che fino a quel momento sembravano essere tali? Sarò bacato in testa, certamente fatto all'antica, ma tutta questa esaltazione non è salutare. Se in campo il giocatore si prende le bastonate da chi ritiene di doverlo educare e in altre circostanze gli viene passata la carota di chi profetizza un avvenire ad alti livelli, a chi deve credere? Crederà a chi gli prospetta sacrificio e stridor di denti o a chi, in poche e suadenti parole, lo ha già proclamato arrivato e bisognoso di nulla? Ai ragazzi - senza averne colpa - non piace fare fatica: fin dal primo giorno di vita hanno imparato che esiste una strada comoda e un'altra meno. Spesso siamo noi adulti che, inconsapevolmente, indichiamo la via più facile come se fosse la cosa più logica da fare. Non ci rendiamo conto che, a furia di aiutarle a scansare, abbiamo fiaccato le nuove generazioni: dovevamo avere il coraggio di dire che nulla si ottiene a basso prezzo. Così per la gloria sportiva: non bastano  belle parole elogiative per fare un campione, ci vogliono mille ingredienti e, soprattutto, le dosi giuste.

domenica 16 ottobre 2011

in un'altra vita

In un'altra vita non farò più l'allenatore. Il mio turno è finito. Mi piacerebbe fare il giocatore: potrei divertirmi e finalmente dormire le notti seguenti alle partite. Oppure l'arbitro - perchè no? - mi prenderei un sacco di insulti - e chi non li prende? - ma almeno non sarei a rischio di esonero. Potrei fare il dirigente, operare sul mercato e scegliere gli allenatori. Il giornalista? Non male, un conto è riportare i fatti, un altro fare le scelte. Che dire poi dei commentatori televisivi, belli seduti in poltrona a sentenziare verità e giudizi sulle ceneri altrui. Ci sarebbero poi nuove figure professionali: il preparatore fisico ad esempio, che colpa ne ha se la squadra non fa mai canestro? Il procuratore, interessante parlare per conto d'altri. Deve essere un castigo divino che prima o poi tocca a tutti. Anche a te, caro Paolo Maldini, che hai affermato che non farai mai l'allenatore, per nessuna cosa al mondo. Un giorno, in un'altra era, forse in un'altra galassia, toccherà pure a te affrontare la fatidica e stupida domanda alla quale, da affermato mister, non potrai sottrarti: da giocatore ero un brocco!

venerdì 14 ottobre 2011

che sia donna

La Pellegrini portabandiera? Ma a chi vengono queste idee? Non si dovrebbe nemmeno porre il problema. A parte la Trillini - ex alfiere tra l'altro - che non vorrebbe la Vezzali per motivi squisitamente legati ad antiche rivalità, c'è un plebiscito nazionale per la schermitrice marchigiana. La questione che solleva la campionessa del nuoto non è però capricciosa, nè infondata: gareggiare immediatamente dopo una sfilata in una competizione dove i millesimi fanno la differenza non è certamente consigliabile. In più, le nostre speranze di medaglia a Londra sono talmente ridotte che privarci di un possibile oro olimpico sarebbe stupido e masochistico. Che la Pellegrini non sia nella hit parade della simpatia e che spesso le sue scelte siano state dettate da narcisismo nessuno lo discute. In questo caso, però, mi sento di dire che l'aspetto sportivo deve prevalere su quello patriottico. Portare una bandiera in giro piuttosto di vederla in cielo sarebbe uno sbaglio colossale. L'onore è comunque salvo: chi meglio di Valentina Vezzali può in questo momento rappresentare tutti gli italiani, atleti compresi? Lasciamo che la Pellegrini vinca la sua gara e godiamoci l'atleta jesina portare il tricolore come se fosse il suo fioretto. Comunque sia, che sia donna.

mercoledì 12 ottobre 2011

grazie di esistere

Di Valentina Vezzali non so più cosa aggiungere. C'è una cosa che mi piacerebbe fare: portare le mie squadre a vedere come si allena un'atleta di 37 anni che ha vinto tutto e sempre. Perchè c'è uno stereotipo che va demolito: non è vero che campioni si nasce, campioni si diventa e, soprattutto, si resta! Non è vero che la Vezzali ha ricevuto un dono che altri non hanno e non è vero che chiunque al suo posto avrebbe fatto quello che ha fatto lei.  Assieme a Josefa Idem è uno degli atleti - in senso assoluto - che ancora sa farmi emozionare: bisogna davvero essere molto forti dentro per gareggiare, ma soprattutto allenarsi dopo aver vinto tutto e non dover dimostrare più niente, se non a se stessi. Tra l'altro, con famiglia a carico. Due sport, scherma e canoa, che non invogliano nemmeno economicamente (a parte la pubblicità): chissà dove trovano, queste due fuoriclasse, la forza mentale e fisica di ricominciare, ogni giorno, daccapo. Giuro che se una delle due non sarà portabandiera a Londra scriverò a Petrucci tutto il mio sdegno: chi meglio di loro può rappresentare la nostra nazione? Finchè ci sono in circolazione atlete di questo tipo, non è ammesso a nessun praticante agonista venire meno ai canoni classici del vero allenamento sportivo: impegno, sacrificio, lucidità. Quando vedrò qualcuno battere la fiacca, chiederò allo "spirito" di Valentina e Josefa di venirmi in soccorso: un ragazzo di 16 anni non può certo allenarsi peggio di una donna di 37! Anche i nostri calciatori, strapagati e idolatrati, vadano qualche volta a lezione. Meno parole e scioperi, meno soldi anche, più modestia e lavoro.

martedì 11 ottobre 2011

niente regali

C'è chi la partita te la dà vinta e chi invece te la fa sudare. Lottare senza possibilità alcuna di vittoria non è un gesto inutile e nemmeno folle. La resa incondizionata non è un gesto folle, ma sicuramente inutile. Chi si arrende - stiamo parlando in ambito sportivo naturalmente - rinuncia al desiderio della sfida che è connaturale all'essere umano. L'assalto all'invincibilità dovrebbe essere uno dei motivi, se non il più importante, che dà gusto e valore allo sport. Se in ambito bellico affrontare il nemico in inferiorità potrebbe essere considerato insensato e suicida - visto i costi di vite umane - nello sport battersi con i più forti acquista significati morali impensabili. Forgia il carattere, aumenta la coesione nel gruppo, migliora la qualità della preparazione. Per l'Italia del rugby, ad esempio, giocare contro gli All Blacks è un'occasione unica per migliorare e per capire quale sia il punto di arrivo del lungo cammino da compiere. L'invincibilità, nello sport, è però un dato variabile: oggi capita a me, domani sarà il tuo turno. Non è, fortunatamente, un dato perenne. Siena, che ha dominato nella pallacanestro degli ultimi anni in Italia, è destinata a lasciare il passo prima o poi: fa parte del gioco dell'alternanza. Questo insegna che i vinti, in qualsiasi caso, meritano rispetto. Chi non dà rispetto mentre regna, non può chiederlo da suddito. Gli imbattibili si vedono anche da questi atteggiamenti: sanno quanto costi stare in alto e non si sognerebbero nemmeno un minuto di usare la derisione nei confronti degli avversari. Prima o poi - sperimentato - chi umilia sarà umiliato e viceversa. Ecco perchè non mi sono mai piaciuti i coretti in spogliatoio e le corse sfrenate in mezzo al campo. Mi commuovono tuttora, invece, le strette di mano e gli abbracci a fine gara, come la squadra battuta che esce fra gli applausi nel rugby. Non c'è niente di più bello, per uno sconfitto, che uscire dal campo avendo meritato il rispetto del vincitore; non c'è niente di più bello, per il vincitore, sapere che la propria vittoria è stata sudata e, quindi, meritata. Nessuno regala niente ed è giusto così.

domenica 9 ottobre 2011

domenica bestiale

Era un pò di tempo che non provavo l'ebbrezza della doppia partita quotidiana. Un'overdose domenicale in panchina: mattina con i maschi, pomeriggio con le donne. Il problema più grosso, come previsto, la voce: non riesco proprio a starmene zitto. In più, i primi freddi hanno messo a dura prova la resistenza delle poche corde vocali rimaste. D'altronde, se un allenatore non può scendere in campo, l'unico modo valido per rendersi utile rimangono le urla. Devo ancora avere il piacere di conoscere un coach silenzioso: mancia consistente a chi dovesse presentarmene uno. Sarebbe molto bello vedere la propria squadra giocare perfettamente e seguirla pacificamente con braccia conserte e sorriso di circostanza: di sicuro ne guadagnerebbe la salute, messa a dura prova solitamente tra un'arrabbiatura e l'altra. Mentre mi spostavo da una palestra all'altra notavo sui marciapiedi coppiette mano nella mano dirigersi verso il centro città e mi chiedevo: siamo solo noi i soliti pirla che sappiamo rovinarci i giorni di festa rinchiusi in scatole di cemento armato dove si consumano battaglie sportive con alto livello di ferocia? Alla fine della fiera, occorre ammetterlo, facciamo quello che ci piace: sano masochismo che pervade la categoria fin dai tempi antichi. Gente malata, senza alcuna speranza di guarigione.

giovedì 6 ottobre 2011

mal di routine

Ricco. Famoso. Antipatico - almeno finchè giocava con le altre squadre - Bello? (lascio la risposta alle lettrici se mai ce ne fossero) Si chiama Zlatan Ibrahimovic e pare che sia stufo della professione di calciatore. Può avere qualsiasi cosa ma non è contento di ciò che ha. Il suo stipendio annuale vale 400 volte il mio ma sembra non sia sufficiente a comprargli la felicità. Malgrado tutto lo capisco. Non lo giustifico, ci mancherebbe, ma posso intuire cosa gli stia capitando. Si chiama volgarmente mal di routine e ne sono affetti quasi tutti gli uomini e le donne della civiltà post moderna, calciatori compresi. Chi non si é mai sentito ingabbiato tra sveglie, campanelle, orari, timbri, ambienti, facce che si ripetono senza sosta e pietà per tutti i santi giorni? Chi non si è mai sentito logoro di fare le stesse cose in maniera continuativa e per lungo tempo? ( i politici sono una categoria a parte, possiedono un vaccino contro la noia ) Forse gli artisti hanno il privilegio esclusivo di poter trascorrere le giornate in modo diverso e creativo: il disco fatto da De Andrè e De Gregori in Sardegna è stato scritto dal primo di notte e dal secondo di giorno. In pratica, i due si salutavano prima di andare a letto lasciandosi il compito a vicenda di concludere il lavoro iniziato. Anche i cow-boys, almeno quelli dei film, avevano una vita affascinante: un giorno pistoleri, un altro amanti, poi bari al gioco, rapinatori e molto altro. Il mito di Robinson Crusoe è quanto mai attuale: da situazione disperata di emergenza ad una vera e propria opportunità per uno stile di vita nuovo fondato sull'essenzialità. Mai come adesso mi tornano in mente le vecchie vignette della settimana enigmistica con l'omino solitario sull'isola deserta: chi ha detto che la scialuppa così agognata sia davvero di salvataggio oppure di eterna condanna?

mercoledì 5 ottobre 2011

arbitri contro

Stavolta arbitri contro. Tola, presidente dell'AIAP, chiede la conversione immediata delle valutazioni degli osservatori in voti. Zancanella, presidente CIA, risponde picche. Da qui gli arbitri non si sono presentati ai test atletici preliminari e si rischia così di cominciare il campionato senza fischietti. La questione relativa alla valutazione della prova arbitrale è molto delicata: nel corso degli anni abbiamo assistito a giudizi ribaltati all'ultimo istante con promozioni e bocciature immeritate. Trovo sia irrinunciabile la richiesta di maggiore trasparenza: certo non è pensabile una valutazione oggettivamente perfetta, quantomeno si potrebbe porre freno ai sistemi perversi e spesso corrotti che hanno caratterizzato i salti di categoria della componente arbitrale. In sintesi, tutti vorremmo che fischiassero in serie A i più bravi e non i raccomandati. In passato, anche recente, alcuni arbitri di Pordenone  avrebbero meritato di misurarsi con la massima serie, ma guarda caso, nessuno è riuscito a compiere l'ultimo passo utile per accedere nel gotha del basket nazionale. D'altra parte, un conto è un pallone che entra nel canestro e che vale 1,2 oppure 3 punti a seconda delle situazioni e che nessuno può contestare; un altro è un giudizio dato da altri su criteri apparentemente oggettivi ma che è macchiato inevitabilmente dalla fallibilità dell'interpretazione soggettiva. Come la ritmica o i tuffi: chi può dare la certezza assoluta che la valutazione corrisponda effettivamente alla prestazione? Se i voti fossero pubblici e uscissero di volta in volta sarebbe difficile se non impossibile manipolare ciò che appare evidente: perchè il CIA fa resistenza?

lunedì 3 ottobre 2011

fuoriclasse

" Ho pensato, negli ultimi due tre anni, che con questo Decadancing io intendo lasciare e non farò altri dischi e altri concerti. Mi sono domandato se al prossimo album ipotetico io avrei avuto la stessa forza, lucidità e passione che ho potuto garantire fino a qui. E la risposta è stata: non lo so ".

Ivano Fossati a "che tempo che fa"

sabato 1 ottobre 2011

basket in chiaroscuro

Non potevo mancare al ritorno del basket alla tv in chiaro - a proposito, mi chiedo a cosa serva la pay tv a noi cestofili visto che l'Nba potrebbe non partire - e francamente sono rimasto un pò deluso. Ad Ugo Francica Nava, che comunque ha dei meriti come cronista anche se un pò datato, qualcuno deve spiegare che l'agitazione è prerogativa degli allenatori: qualche goccia sedativa prima di andare in diretta non sarebbe una cattiva idea. Per quanto riguarda il Poz, concordo con il cartello scritto da qualche arguto e competente tifoso: meglio giocatore - arridateci la mosca atomica - che commentatore. L'inviato a bordo campo ha interpellato Minucci su Bargnani dimenticandosi - forse non ne è al corrente - che persino Kobe Bryant potrebbe giocare in Italia. Insomma una partenza falsa: forse saremo un pò troppo ben abituati, ma da un'emittente che ha l'esclusiva sulla pallacanestro italiana ci si aspetterebbe qualcosa di più. Per fortuna, per noi privilegiati, esiste sempre tele Capodistria dove trovare rifugio. Il buon Sergio ha il dono di non essere mai banale e ripetitivo: soprattutto chiama le cose con il loro nome e per un giornalista non è una cosa nè scontata nè di poco valore.

giovedì 29 settembre 2011

tempeste ormonali

Sembra sia un problema ormonale e che non ci sia nulla da fare. Dai 13 ai 16 anni nei maschi succede di tutto: una tempesta biologica al punto che non sia del tutto fuori luogo parlare di una persona totalmente diversa da quella precedente. Che la fisiologia abbia una parte preponderante è indiscutibile: non si allungano solo gli arti o si gonfiano i muscoli, non solamente peli di ogni genere ovunque, ma c'è un nuovo modo di considerare sè stessi rispetto agli altri, soprattutto gli adulti. Lo sport preferito sembra la polemica gratuita, il sabotaggio di qualunque proposta abbia provenienza dall'alto. Spesso le conseguenze sono devastanti, inaspettate e violente: ragazzi strappati alla vita per bravate o amore per il rischio estremo; adulti spazientiti e intolleranti che farebbero qualsiasi cosa per menare le mani e dare una lezione severa agli insubordinati. Sembra una guerra persa: in fondo è solo passeggera, non si deve far altro che aspettare la fine del ciclone puberale. C'è un però: non sono così convinto che tutto si riduca ad una lettura biologica dell'evoluzione. Dal mio punto di vista, strettamente educativo, ho la netta sensazione che gli adulti, per assenza o sfinimento, abbiano alzato bandiera bianca. Non c'è argine, non c'è controllo, anzi spesso c'è complicità, come se il comportarsi fuori dalle regole fosse un trofeo di cui andare fieri. E' faticoso opporsi, lottare, accettare che dall'altra parte ci possa essere resistenza: un delirio di onnipotenza che non trova sbarramento, che passa come un'onda anomala e gigante sopra i vani e sporadici tentativi dei pochi combattenti rimasti. Cosa vuol dire voler bene ai ragazzi, lasciarli divertire? Tocco con mano e pago ogni giorno l'ambiguità di queste affermazioni, come se la connivenza totale con la trasgressione fosse il modo migliore per aiutare a crescere. Come se divertirsi fosse sinonimo di ridere: spesso i risolini dei ragazzi nascondono solo incertezza e abbandono. Io ho fatto la mia scelta: ha un costo fisico ed emotivo molto alto, ma ho deciso di arruolarmi e scendere in battaglia. Indosso l'elmetto ogni giorno e rischio il linciaggio. So di essere antipatico e insopportabile: guadagnerei in salute nell'essere socievole e affabile, ma verrei meno al mio compito. Ho accettato di buon grado la cosiddetta gratitudine tardiva: quando gli ex alunni vengono a sistemarti la caldaia e nel frattempo sono diventati bravi padri e lavoratori, non serve molto per capire ciò che va capito. Quando ad un giocatore, che ha subito inflessibilità e rigore, viene in mente il suo vecchio allenatore, significa che a qualcosa è servito. Tardi forse, ma va bene così. Per me può bastare.

martedì 27 settembre 2011

saper perdere


"Saper vincere non è così facile come
sembra, ma è certamente più facile che 
saper perdere: saper perdere senza 
cercare colpevoli, senza puntare il dito 
sul vicino, senza perdere fiducia negli 
altri componenti la squadra e nel 
lavoro e nella linea tecnica scelta, è 
prerogativa di pochi, dei grandissimi."

Sergio Scariolo - allenatore Spagna

domenica 25 settembre 2011

italia che piace

C'è una disciplina sportiva che si è guadagnata un trafiletto sui quotidiani. Stiamo parlando di ginnastica ritmica e di una squadra, la nazionale italiana, che ha vinto per la terza volta consecutiva il campionato del mondo. C'è qualcuno che fa in tre anni quello che gli azzurri di calcio hanno fatto in mezzo secolo. Figlia di dei minori, come il judo, il tiro al piattello, la scherma. Sport che diventano nazional-popolari solo in occasioni speciali, come le Olimpiadi, e che hanno spesso la proprietà benefica di salvarci la faccia di fronte alle figuracce dei cosiddetti sport di prima fascia. Ragazze che si allenano più dei calciatori e dei cestisti e che sono costrette ad arruolarsi per fare professionismo: che ci piaccia o meno, se non ci fossero i corpi militari lo sport individuale in Italia sarebbe scomparso da anni. Una specialità, la ritmica, da sempre dominata dai paesi dall'est, generalmente maestri nell'esecuzione perfetta dei movimenti. Stavolta la cattedra è nostra, ma sembra che l'ingaggio di Bryant a Bologna e l'esordio di Ranieri meritino maggiore attenzione. Complimenti ragazze! Anche se non ci conosciamo, non vogliamo dimenticarci di voi. Siete l'Italia che piace, quella che non ha bisogno di chiacchere per farsi capire, di alibi per giustificare una sconfitta, della prima pagina per farsi notare. Noi vi abbiamo visto comunque e ci avete riempito di gioia ed orgoglio.

sabato 24 settembre 2011

classe

"I giovani sono stati grandi, Kaman è stato grande, io però non ero in forma per dominare l'Europeo. E' solo colpa mia e mi dispiace tanto".

Dirk Nowitzki dopo l'eliminazione della Germania all'Europeo di basket

venerdì 23 settembre 2011

affare o bidone?

Sabatini, patron della Virtus, ci ha abituati a tutto. Le sue trovate, decisamente bizzarre, hanno negli ultimi anni agitato un ambiente spesso addormentato e privo di novità. Non si può dire che non abbia fatto niente per il basket: a modo suo, naturalmente...è però inconfutabile che le giovanili della V nera abbiano ripreso vigore sotto la sua gestione. Detto questo, l'offerta a Kobe Bryant di venire a giocare a Bologna, malgrado ci provi, non riesco a capirla. Che senso ha un ingaggio a gettone? A parte i pienoni sugli spalti e gli indici di ascolto, quale ricaduta può avere una meteora, sebbene pregiata, sul campionato italiano? E' una proposta stucchevole per chi si accontenta di spettacolo, ma ingombrante per chi deve costruire un progetto di squadra su solide basi. Gallinari a Milano ha un altro impatto: c'è un accordo chiaro - quando la serrata NBA si sblocca il contratto scade - ed inoltre il ragazzo ha sempre sostenuto di voler giocare nella società di provenienza in alternativa ai professionisti americani. In più, Danilo conosce molto bene la pallacanestro italiana per averci giocato prima di attraversare l'oceano. Bryant non ha nulla a che fare con l'ambiente se non il fatto di aver vissuto da bambino in Italia. Si tratta sicuramente di un'eccellente idea pubblicitaria, ma non trovo altre motivazioni valide per un esborso anacronistico visti i tempi di ristrettezza economica. Ognuno fa quello che vuole dei soldi personali, sia chiaro, ma la presenza del più forte giocatore del mondo in circolazione sarebbe come una lucidatura sul pavimento: all'inizio sembra più pulito, ma col tempo tutto torna come prima. Forse anche peggio.

mercoledì 21 settembre 2011

alibi

Siamo alle solite. L'esonero di Gasperini è l'ennesima dimostrazione dell'assenza totale di professionalità da parte dei giocatori. Mancia consistente a chi riesce a spiegare, ad un ignorante come il sottoscritto, come sia possibile che giocatori che qualche mese prima avevano vinto praticamente tutto ora non siano in grado di battere il Novara - con tutto il rispetto, naturalmente -. Sono gli stessi giocatori o sbaglio? Portano gli stessi nomi sulle maglie o sono controfigure? " Non aveva più lo spogliatoio in mano! " Ma cosa vuol dire? Per quale motivo un giocatore dovrebbe dare un rendimento diverso a seconda della guida tecnica di turno? Certamente la proprietà ha le sue colpe - non aver protetto l'allenatore la più evidente - ma i giocatori dovrebbero essere i primi a difendere la dignità propria e quella della squadra. Cosa succederà - e succederà di sicuro purtroppo - se con l'arrivo di un altro mister le cose dovessero cambiare? Si dirà " finalmente un tecnico capace, che sa il fatto suo ". Chi avrà invece il coraggio di dire la verità, che i giocatori hanno usato due pesi e due misure in circostanze diverse? Qualcuno doveva pagare e qualcuno ha pagato. Non sono nè estimatore di Gasperini, tantomeno suo amico. Conosco molto bene queste dinamiche: se funziona, sei un dio, se va male, torni al tuo paesello. (chi ricorda Tardelli, bruciato ed ora assistente del Trap?) Gasperini si è giocato il jolly, ma se non siamo solo tifosi, se riusciamo ad andare sotto la corteccia della faziosità per guardare in faccia la realtà, non possiamo non giudicare gli unici che possono cambiare il destino, in bene o in male, degli allenatori. In campo vanno i giocatori: sono loro che decidono le regole. Se i giocatori sono uomini veri, possono e devono distinguere tra convenienza ed onestà professionale: che significa, in parole povere, che l'impegno sarà massimo a prescindere da persone, ambienti o situazioni. Per fortuna, giocatori così ne esistono ancora. Bisogna solo cercarli.

martedì 20 settembre 2011

prima il dovere

Settembre. In linea teorica, uno dei mesi più belli. Non è caldo e nemmeno freddo.Le giornate sono ancora sufficientemente lunghe. Per chi può andare in vacanza, un vero affare: poca folla, poche spese. Per chi lavora in ambito formativo, sia sportivo che didattico, un periodo infernale: è come rialzarsi dopo una sbronza o come attendere l'esito incerto di un esame importante. Rimettere in moto la macchina educativo-sportiva è un compito improbo: orari da sistemare, palestre da organizzare, nuovi ritmi ed equilibri da trovare. A scuola tutti a caccia del sabato libero: visto che non posso avere l'aumento, mi consolo con il fine settimana lungo. In palestra, l'orario gettonato è la fascia 18-20: bisognerebbe avere 100 palestre in città per soddisfare i desideri di tutti. Quando eravamo piccoli, cominciavamo alle 2 del pomeriggio: oggi, prima delle 17, le palestre sono semi-vuote. Dobbiamo ringraziare la Gelmini e Brunetta che hanno voluto le ore da sessanta minuti costringendo gli alunni a rientri estenuanti e, purtroppo, improduttivi. Le società sportive non vengono scelte per la qualità espressa e certificata negli anni, bensì per il ventaglio di disponibilità oraria: se per fare mini-basket c'è bisogno di acrobazie nell'organizzazione domestica, non c'è problema, c'è sempre il nuoto o la scherma. L'importante è fare sport. Quanta nostalgia per i remigini, coloro che avevano il privilegio di tornare a scuola il primo di ottobre: davvero settembre era ancora un mese estivo, per alcuni la possibilità di fare due lire con le vendemmie dei Conti di Porcia. Non so quando potrò tornare a riassaporare quei profumi e quei colori: per il momento, immancabilmente, ogni giro, ogni ripartenza, mi capita di vedere musi lunghi e sbuffi da ogni parte. Non è facile ricominciare, ma necessario. Inchiniamoci al senso del dovere: il piacere ha tempo, può aspettare.

domenica 18 settembre 2011

chapeau espana

Nell'era dell'atletismo e del gioco spinto, per fortuna il talento ha ancora un valore. Vedere giocare la Spagna a pallacanestro è come vedere un film di Fellini o ascoltare musiche di Mozart. Non è solamente la squadra più forte, è la più bella, la più divertente. E' un antidoto alle noie del catenaccio moderno che ha come finalità dichiarata la demolizione del gioco avversario. La Spagna se ne frega degli altri: impone il proprio gioco e guarda il tabellone solo alla sirena. Un'ottima orchestra con degli eccellenti solisti: tutta gente che non ha smesso di avere fame. Giocatori NBA d'inverno e nazionali d'estate. Uomini attaccati alla maglia e alla propria terra. Può  sembrare strano, ma ho provato immensa invidia per questi giocatori capaci di imprese leggendarie: ai mondiali, in una partita straordinaria, gli Stati Uniti, che schieravano i migliori, hanno dovuto sudare le proverbiali camicie per venire a capo degli iberici. Alla guida, un italiano: Sergio Scariolo è come la ciliegina sulla torta, un malato di perfezionismo che ha avuto il merito di mettere ordine in un complesso dalle qualità superiori ma a volte eccessivamente lezioso. I francesi ci hanno provato, ma dovranno imparare la lezione: oltre a saltare, correre e difendere, dovranno mettere altre frecce nell'arco se vorranno spodestare i confinanti sul tetto d'Europa. Per il momento, per quanto riguarda la pallacanestro, parliamo di Sacro Impero Iberico. Occorre attraversare l'atlantico per trovare avversari degni. In Europa siamo tutti in adorazione: ci piacerebbe parlassero la nostra lingua e che indossassero le nostre maglie, nel frattempo ci accontentiamo di guardarli in azione e ci rifacciamo la bocca. Vamos Espana!

sabato 17 settembre 2011

mentalità

"Quando andiamo in campo, non pensiamo che possiamo vincere la partita. Pensiamo casomai che possiamo perderla, oppure pareggiarla. Questo è il modo con il quale ci prepariamo alle gare prima di giocarle."

Pep Guardiola allenatore Barcellona Calcio

giovedì 15 settembre 2011

amarcord

4 giugno 1983. Scendo in strada con il tricolore e mi trovo da solo. Ma come? L'anno prima avevamo vinto il mondiale di calcio e  tutti, perfino il sindaco, avevamo fatto il bagno in fontana. Invano cerco qualche amico, un compagno di squadra per condividere quella gioia sconfinata. La prima volta dell'Italia del basket! Un manipolo di eroi con le contropalle che finalmente aveva regalato alle nuove e vecchie generazioni una soddisfazione unica. Li cito tutti perchè davvero quella era una vera squadra, dove ciascuno era al servizio degli altri e il risultato comune era superiore a qualsiasi ambizione personale: Caglieris, Marzorati, Meneghin, Sacchetti, Villalta, Brunamonti, Premier, Gilardi, Bonamico con in panca Gamba e Sales. Uomini prima che atleti con una miscela perfetta e vincente di coraggio ed intelligenza.L'Italia riuscì a battere per ben due volte la Spagna di San Epifanio e addirittura la Yugoslavia di Kicanovic e Dalipagic: celebre la rissa dopo un fallo omicida degli slavi in cui ci furono scambi di cazzotti proibiti e addirittura la comparsa di forbici e oggetti contundenti. Era la prima volta che vedevo gli jugoslavi soffrire e gli italiani difendere così strenuamente l'orgoglio nazionale. Erano gli anni d'oro della pallacanestro in Italia: boom di praticanti, allenatori preparati nei settori giovanili, entusiasmo alle stelle: logico che il finale fosse congruente alle attese. Per arrivare in fondo, per vincere, ci vuole sempre qualcosa in più rispetto agli altri: quegli uomini, quei giocatori, ce l'avevano: l'appartenenza ad una terra, ad un popolo, ad un sogno. Quel giorno, nel vedere Caglieris baciare il pallone e portarselo via, non riuscii a contenere le lacrime. Piansi da solo, ma ne valse la pena.