"Non è il cammino impossibile, ma l'impossibile è cammino"

giovedì 25 giugno 2015

dio dei canestri ascolta

Chiedo al dio dei canestri - come lo chiama Max Menetti - di rompere gli indugi e di schierarsi apertamente. Sappiamo che tutte le storie che hanno un buon finale devono passare per il ferro ed il fuoco della tribolazione, ma sarebbe alquanto difficile se non impossibile sopportare l'idea che si sia arrivati fin qui per vedere Cenerentola, dopo aver sofferto follemente, cadere sconsolata a terra ed il suo sogno andare in mille pezzi. Sono di parte, lo ammetto. Forse anche con un certo rigurgito patriottico, anche se non offensivo, anzi, verso le milizie straniere. Sassari é una città di sport e di sportivi, l'avamposto di un'isola bellissima che non può e non deve separarsi dal grande basket. Ma ho come l'impressione - certamente non suffragata da basi scientifiche - che per Reggio questa sia, se non l'unica, una delle poche occasioni - come già detto saggiamente dal suo capitano - per lasciare il segno nella storia della pallacanestro. Non si poteva immaginare conclusione migliore: sono sincero, quando ho visto Milano uscire pensavo ad una serie al ribasso - forse lo stesso pensiero ha colto di sorpresa la stessa squadra sarda - ora invece ritengo che questa sia la più bella finale da molti anni a questa parte, considerando il dominio incontrastato di Siena una delle pagine più noiose. Non capita tutti i giorni di vedere giocatori giovani, anche stranieri, di formazione italiana in campo battersi per un traguardo così importante: sembra di essere nostalgicamente tornati ai tempi del max due per squadra. Reggio non ha imposizioni, né quote da rispettare, ha messo in campo i ragazzi, li ha fatti giocare ed ora riceve il giusto compenso; forse questa é la strada, in tempi di ristrettezza, che anche altri dovrebbero intraprendere. Una bella iniezione per la nostra nazionale che ha bisogno di gente allenata alle battaglie vere, non di figuranti chiamati in causa nei momenti di calma piatta. Dio dei canestri, ascoltaci. Basta tabellate, supplementari al cardiopalmo, rimonte clamorose. Per una volta, decidi da che parte stare. E se proprio dovrà essere finale mozzafiato, nessuno meglio di te può sapere cosa fare.

mercoledì 24 giugno 2015

parole non fatti

Non ho mai smesso di credere nel potere performante della parola. Ecco perché sono spesso accusato di fare discorsi, a volte persino logorroici. Sembra strano per chi ha fatto del corpo e suoi derivati la ragione professionale oltre che di sopravvivenza. Eppure non c'è ripetizione asfissiante di un gesto che valga più di una parola giusta o sbagliata. C'è un linguaggio del corpo, indubbiamente, spesso molto indicativo e persuasivo più di qualsiasi frase detta: ma la parola resta insostituibile, compassionevole e lenitiva a volte, tagliente e punitiva in altre. " Ne uccide più la lingua che la spada " recita il Siracide. Quante stragi abbiamo commesso, spesso inconsapevolmente, con frasi inopportune e piene di rancore. Quanti miracoli, invece, quando abbiamo usato parole nei tempi e modi giusti. Proviamo a pensare: se tutto ciò non fosse vero, perché mai spendiamo un sacco di tempo, come allenatori ad esempio, negli spogliatoi, a chiamare time out o ad intercalare in ogni attimo di svolgimento della gara stessa. Come mai l'insegnamento, non solo scolastico, si basa ancora sulla parola, sebbene così tanto criticata e oggi supportata, ma mai sostituita, da altri mezzi, in genere audiovisivi. Come mai un genitore, se vuole riprendere o correggere, ricorre ancora alla sana sgridata. Anche i messaggi sui cellulari sono parole, anche ciò che viene scritto sui social. La parola pronunciata non virtualmente tra persone in carne ed ossa ha però un valore diverso: posso guardare gli occhi di chi parla e ascoltare il tono della voce. Capire se c'è frode o onestá. Leggere nell'animo di chi pronuncia se c'è volontà di costruzione o distruzione. Anacronisticamente, si usano a volte parole dure per amore ed altre leggere per odio. La parola non vale in sé, ma da dove nasce. "Lasciate che la voce nella vostra voce parli all'orecchio nel suo orecchio; poiché la sua anima custodirà la verità del vostro cuore " dice il Profeta Gibran. Parole, non fatti. Che possibilmente partano e arrivino al cuore. Che abbiano il potere di cambiarci e di cambiare.

martedì 16 giugno 2015

reggiano dop

Reggio Emilia é la favola che tutti vorremmo raccontare. E ascoltare. L'umile Cenerentola che batte tutte le rivali e riesce a sposare il principe. Non è un colpo di fortuna. Nemmeno un caso. É il frutto di un lavoro partito parecchi anni fa e che solo ora rimbalza agli onori della cronaca per una finale scudetto meritata ma, guarda caso, non cercata con insistenza ansiogena. Parliamoci chiaro: non è una piazza povera, come si potrebbe supporre, ma i soldi sono spesi con oculatezza e, soprattutto, investiti sui giovani. Dove sotto l'egregia maestria di Andrea Menozzi, responsabile tecnico, sono usciti fior di giocatori che ora popolano i campionati maggiori e minori. Continuo a pensare - e nessuno riuscirà a farmi cambiare idea - che la qualità di un vivaio non si misura dai titoli vinti ma dai giocatori sfornati: purtroppo, la storia insegna che non sempre questi due aspetti vanno a braccetto. L'ingordigia per il raggiungimento di risultati immediati, soprattutto in età precoce, diventa spesso il nodo corsoio per tanti atleti talentuosi che, invece di progredire nella formazione tecnica necessaria al salto di qualità, si fermano di fronte alla porta del successo. Reggio Emilia ha vinto poco a livello giovanile, pur reclutando giocatori da tutta Italia e, ultimamente, anche in Europa. Malgrado ciò, oggi ha quattro giocatori, prodotti del vivaio, presenti stabilmente in prima squadra, protagonisti non comparse di questa inedita ma affascinante avventura. Che dire, poi, di questo bizzarro mix perfettamente riuscito tra giocatori di inesperienza - soprattutto italiani - e stranieri, reduci di mille battaglie, ma ancora affamati di vittorie, capaci con il loro esempio di contagiare tutti verso un traguardo non impossibile. Reggio Emilia é l'esempio lampante di come programmazione a lungo termine, uomini giusti, bilanci ponderati possano riscuotere non solo simpatia, ma generare vero successo: qui non stiamo parlando di quote, parliamo di connazionali che stanno in campo e mettono fieno in cascina e che per una volta tanto non sventolano asciugamani. Merito di chi li ha scelti e preparati alla battaglia. Ecco perché, e non me ne vogliano i simpatici sardi - che con pieno merito hanno punito la supponenza milanese e addolorato il mio ormai sconsolato cuore - spero proprio che la favola abbia davvero il lieto fine che ci si aspetta.

domenica 14 giugno 2015

come bambini


Il brusco passaggio dalla fanciullezza all'adolescenza sarà uno degli argomenti più gettonati che vorrei affrontare faccia a faccia con il re dei re, ammesso che ci sia tempo e opportunità per farlo. Perché? Perché rinunciare ad occhi puliti e spalancati di curiosità? Perché appassire un fiore variopinto e gravido di essenze profumate? Perché passare da parole del tipo 'che bello' ad altre come 'che schifo' 'che noia' 'chissenefrega' solo per citare le più pulite. Credo fosse proprio il figlio dell'onnipotente a suggerire di ritornare come bambini. Che cos'è allora? Una prova? Una fregatura? Un assurdo e imprecisato invito a non evolversi? Ho un ricordo straordinario della mia infanzia: gioco, spensieratezza, sorriso. Problemi non mancavano, forse più grossi di quelli odierni, ma riecheggiavano lontani, come i temporali estivi notturni. La nostra corazza protettiva era fatta di sogni, colori, immaginazione. Se gli adulti di oggi sembrano diversi da quelli di ieri, i bambini restano gli stessi. É come se fosse un'età protetta, immune da contaminazione. Per questo sono sempre più convinto che saranno loro a salvarci, a ricordarci quali sono le vere cose che contano, a riportarci sulla retta via. Perché sono gli unici ad essere rimasti puri. É un po' di tempo che non frequento bambini: sarà per questo che sto peggiorando. Quando ero bambino, pensavo di imparare ma in realtà stavo insegnando. Ora che sono adulto, penso di insegnare ma in realtà dovrei imparare. Forse siamo fatti al contrario, come ci ricorda Fitzgerald nel curioso caso di Benjamin Button, che nacque vecchio e morì bambino. Troppe domande, per uno che ha girato la boa.