"Non è il cammino impossibile, ma l'impossibile è cammino"

giovedì 29 novembre 2012

addio crisa

Ho fatto in tempo a conoscerti ed apprezzarti, ma non a salutarti. Oramai é un difetto: arrivo sempre tardi. Avrei dovuto dirti una serie di cose: che non ho ancora trovato un giocatore che passi la palla come te, nemmeno un tiratore del tuo calibro; che negli ultimi tempi mi sei mancato, la tua leggerezza dava sollievo alle mie paturnie maniacali. Sei partito giovane per Milano e giovane sei tornato: eri un ottimo giocatore, forse il più "bello" tra quelli visti in città. La carriera non ti ha dato quello che meritavi. Non ti sei mai pavoneggiato: non sono molti quelli che hanno potuto indossare le mitiche scarpette rosse. Ci siamo incontrati per caso: a noi serviva un allenatore, a te un'esperienza gratificante. Anni di vittorie ma anche di frustrazioni: ricordo le tue lacrime di Pesaro dopo l'eliminazione ai supplementari della nostra under 17. Gli allenatori di solito non piangono, si arrabbiano e masticano amaro. Ma tu eri così, in fondo non hai mai smesso di indossare le scarpe. Poi il diabete, la malattia, il vederti sempre più di rado e tristemente in tribuna. La vita ti ha preso più di quanto ti abbia dato, forse per pareggiare le nostre magagne di poco conto. Non so se hai sofferto di più per il dolore o per non aver potuto più fare ciò che davvero ti piaceva: dimostrare ai ragazzi il gioco della pallacanestro. L'ultima avventura insieme, Cassino 2011: dovetti cambiare camera, ricordi? Non riuscivo a dormire, anche di notte non era possibile ignorarti. Ora che hai trovato pace, non smettere di starci accanto. Tutti abbiamo imparato qualcosa: quando vedrò un bel passaggio saprò da dove viene. Addio Crisa. Se davvero esiste compensazione, ti cercheremo nei piani alti.

sabato 24 novembre 2012

divisi e contenti

Il quesito del giorno: meglio due squadre discrete o una buona? Io non ho dubbi, non ne ho mai avuti. Dieci giocatori promettenti devono allenarsi insieme: la concorrenza interna non può che favorire la crescita tecnica e mentale degli atleti. Un giovane interessante che si allena in un gruppo modesto acquisisce abitudini sbagliate: l'assenza di competizione rallenta lo sviluppo e illude sulla percezione reale delle proprie qualità. Attenzione peró: spesso, se non sempre, i giocatori migliori hanno bisogno di tempo. Lavorare in un gruppo al proprio livello permette di recuperare piú facilmente il terreno perduto. Ricordo Andrea Pecile, giocava nel gruppo B del Don Bosco Trieste: se fosse stato inserito nella squadra forte, lui piccolo e gracilino all'epoca, non avrebbe potuto sviluppare le doti che hanno fatto di lui, in un secondo momento, il giocatore che conosciamo. Ciò significa che le gerarchie non sono date una volta per sempre: un bambino che a 13 anni sembra un fenomeno, qualche anno può diventare un giocatore normale e viceversa. In pratica, fino ad una certa etá tutti dovrebbero giocare nelle squadre di appartenenza: giunti a livello under 16-17, i giocatori migliori - considerati tali in quel preciso momento e comunque non irremovibili - dovrebbero allenarsi e giocare insieme. A maggior ragione in una città o provincia che non può permettersi certi numeri. Penso sia giusto fare un ragionamento anche di appartenenza ad un territorio che ha una tradizione ed una scuola inconfondibili. Sparire dalle cartine geografiche nazionali in nome di una parcellizzazione del lavoro non può vederci soddisfatti: giocare per il predominio in città ha poco valore in confronto alla possibilità di misurarsi con i sodalizi più titolati. Non si può migliorare se non affrontando i migliori. Per il bene dei nostri giovani giocatori, le lotte di cortile dovrebbero lasciare spazio ad una programmazione di ampio respiro dove gli interessi di parte - comunque legittimi - passano in secondo piano rispetto alla volontà di unire gli sforzi. Pordenone ha tutto per stare davanti nel gruppo: società, allenatori, reclutamento, strutture. La storia degli ultimi anni racconta di finali nazionali e di giocatori approdati in prima squadra. Ecco perché faccio fatica a capire questa voglia di recessione: ci hanno copiato tutti in regione, ora, nel vederci in questo stato, si stanno sfregando le mani.

domenica 18 novembre 2012

cacciatore di guai

Quelli come me hanno una predisposizione innata a cacciarsi nei guai. Alcuni cromosomi in particolare sono sotto accusa: una ingenua sopravvalutazione nei propri poteri, una smisurata fiducia nell'essere umano, un'inguaribile speranza sull'aggiustamento naturale delle cose. Se esistesse una borsa genetica, li avrei giá messi in vendita e mi sarei comprato una maggiore prudenza nelle scelte, uno spiccato senso pragmatico e una bilancia virtuale dove pesare vantaggi e svantaggi. Capita raramente, ma capita, di osservare il mio vicino di casa che ogni venerdì, puntualmente, mette rigorosamente in fila il campionario famigliare di auto per il lavaggio settimanale. Mi chiedo chi stia meglio fra noi due: molto tempo fa non avrei avuto dubbi, fra un pomeriggio passato con lo straccio e un altro ad insegnare - velata presunzione? - l'arte del gioco. Oggi ho meno certezze di ieri: non é vero che invecchiando si acquista saggezza. Ero piú saggio quando lo ero di meno. Oggi ho piú domande che risposte: siamo ancora convinti che ci sia spazio per l'insegnamento? O meglio, é davvero cosí scontato che si voglia imparare? La mia testa era libera, ora frulla in continuazione di strani pensieri. Se la porta rimane chiusa, non puó esserci passaggio o trasferimento di idee, esperienze, parole. Ho paura di aver smarrito la chiave, quella che conduce dritta all'anima.

sabato 17 novembre 2012

tanti a pochi

Davanti a risultati "tanti a pochi" c'é bisogno di tatto e moderazione. Non é detto che i vincenti siano sanguinari e che i perdenti siano vittime innocenti. Nello sport la regola tacita, condivisa ovunque, impone che ciascun atleta esprima il massimo di sé durante la competizione. É certamente riprovevole perdere volontariamente per trarne conseguente beneficio, non certo vincere con grande distacco anche se puó comportare una certa frustrazione nei battuti. Un allenatore non puó dire ai propri giocatori di non impegnarsi: puó trovare espedienti didattici, ad esempio vincolarli a tirare solo da lontano oppure difendere a partire da metá campo. Può tenere in panchina i migliori e far giocare gli altri, ma non può certamente chiedere di non sudare o di sbagliare intenzionalmente. Allo stesso tempo, puó essere utile perdere pesantemente. Non é vero che prendere una bastonata sia necessariamente umiliante o dannoso. Giocare contro i migliori significa misurarsi ai massimi livelli: sta all'allenatore far capire ai propri giocatori che la sconfitta, anche se notevole, é solo un punto di partenza e non d'arrivo. Per assurdo, non ho difficoltá ad affermare che una partita non equilibrata porti maggiore vantaggio ai meno forti. Quando giocavo a carte con mio padre, la piú grande umiliazione consisteva nel lasciarmi vincere: preferivo perdere cento volte, ma quando vincevo ero certo di essermelo meritato. Quando i ragazzi che hanno subito una batosta vinceranno - e prima o poi succederá - sará gioia vera e incontenibile perché figlia di sacrifici e conquiste. Non sempre chi vince di 100 punti a 13 anni avrá un futuro assicurato. Parimenti, non ho ancora visto ragazzi smettere di giocare per aver perso di 100 punti. Non dico che sia normale, ma sono cose che possono succedere: l'importante é dare la giusta dimensione. E questo dipende in genere dagli adulti, perché i ragazzi, dieci minuti dopo la partita - per fortuna - son giá che pensano ad altro.

martedì 13 novembre 2012

lo sport é morto?

Voce che grida nel deserto. Non é il Battista, semmai Sandro Donati, ex sprinter di discreto livello, attuale membro della Wada, l'agenzia mondiale che si occupa del doping. Il suo ultimo libro, edito da Gruppo Abele, "lo sport del doping", é una denuncia documentata e senza mezzi termini del sistema corrotto e marcio dello sport di alto livello. Secondo l'autore, negli sport di forza e di resistenza nessun atleta olimpionico é pulito: si salvano le specialitá - con beneficio di dubbio - dove la destrezza e la coordinazione hanno un valore determinante ( scherma, tuffi, tiro ). L'aspetto piú inquietante é un altro: le istituzioni sportive, attraverso dirigenti omertosi e compiacenti, hanno favorito l'espansione del fenomeno quando avrebbero dovuto tutelare la salute degli atleti. Il comandante dei Nas, generale Piccinno, in occasione della presentazione del libro, ha denunciato un mercato del doping, in mano ad associazioni malavitose, che sta raggiungendo gradualmente le dimensioni di quello della droga. Il quadro é desolante: chi glielo dice ai nostri giovani atleti che il loro idolo é un imbroglione? Chi ci torna indietro le medaglie e i titoli vinti immeritatamente? E i titoloni sui giornali e le celebrazioni televisive? Di chi ci possiamo fidare? Come allenatore ho sempre e solo creduto nel valore della fatica e nell'etica del lavoro in palestra: ho sempre visto di malocchio perfino i semplici integratori idrosalini. Madre Natura ci ha dato l'acqua, ingrediente essenziale e piú che sufficiente. I nostri vecchi ci parlavano sempre di " polenta e  formaio " per diventare piú grandi e piú forti. Oggi dicono che senza aiuto non é possibile per nessuno resistere 20 giorni in sella a 40 di media. Amstrong, il ciclista, idolatrato dai media fino alla nausea, é stato cancellato come se non fosse mai esistito: solo adesso ci siamo accorti? Quanto facevano comodo le sue vittorie? Come mai il marcio salta fuori anni dopo e solo dopo testimonianze di altre atleti? Se per essere puliti occorre rinunciare alle medaglie e ai trofei, ben vengano delusioni e sconfitte a raffica. La prossima volta staró attento: guarderò il medagliere a testa in giú. 

venerdì 9 novembre 2012

la giusta distanza

" Gli orfani sono le reclute migliori ". Sono le ultime parole di M, capo di 007, prima di morire fra le braccia del nostro eroe. " La mia squadra ideale è formata da 10 orfani ": famosa uscita di Bobby Knight, grande e chiacchierato allenatore della NCAA. il concetto é identico e, onestamente, a prima vista risulta non poco discutibile. Essere privi dell'affetto e della presenza dei genitori non é certo un privilegio, semmai una condanna. Ovviamente ci troviamo di fronte ad una forzatura, ad un linguaggio diretto e colorito che, nella sua crudezza, nasconde comunque un filo di incontestabile verità. Spesso i genitori, inconsapevolmente o meno, creano dei danni irreparabili. Parlo di ció che conosco, quindi di sport. La presenza eccessiva ed ossessiva é deleteria per diversi motivi: i ragazzi sono portati a pensare che fare sport risulti gratificante non per sé stessi ma per i propri genitori; inoltre, i giovani atleti sono perennemente condannati a soddisfare le aspettative degli adulti. Questo é in assoluto il vero motivo degli abbandoni precoci: quando la spinta della famiglia viene meno, i figli non sono in grado da soli di trovare le motivazioni per continuare a fare sacrifici. Ci sono altre controindicazioni: quando un genitore svaluta la capacitá professionale dell'allenatore in presenza del figlio, pubblicamente o fra le quattro mura di casa, non fa altro che mettere in estrema difficoltá l'atleta in erba che diventa vittima innocente del gioco al massacro. Ci vorrebbe la giusta distanza, il rispetto dei ruoli, la fiducia reciproca. Spesso, invece, si assiste allo svilente e inesorabile spettacolo dell'orrore dove il piccolo atleta viene triturato dall'invadenza e superbia degli adulti. L'allenatore non dovrebbe mai punire un giocatore per colpe che non ha commesso: é altresì vero che i veri responsabili non sono perseguibili. " Voi potrete sforzarvi di essere come loro (i figli), ma non tentate di renderveli simili ": la pallacanestro non era ancora nata ai tempi di Gibran, ma la sensazione é che ci vedesse lungo.