"Non è il cammino impossibile, ma l'impossibile è cammino"

giovedì 29 settembre 2011

tempeste ormonali

Sembra sia un problema ormonale e che non ci sia nulla da fare. Dai 13 ai 16 anni nei maschi succede di tutto: una tempesta biologica al punto che non sia del tutto fuori luogo parlare di una persona totalmente diversa da quella precedente. Che la fisiologia abbia una parte preponderante è indiscutibile: non si allungano solo gli arti o si gonfiano i muscoli, non solamente peli di ogni genere ovunque, ma c'è un nuovo modo di considerare sè stessi rispetto agli altri, soprattutto gli adulti. Lo sport preferito sembra la polemica gratuita, il sabotaggio di qualunque proposta abbia provenienza dall'alto. Spesso le conseguenze sono devastanti, inaspettate e violente: ragazzi strappati alla vita per bravate o amore per il rischio estremo; adulti spazientiti e intolleranti che farebbero qualsiasi cosa per menare le mani e dare una lezione severa agli insubordinati. Sembra una guerra persa: in fondo è solo passeggera, non si deve far altro che aspettare la fine del ciclone puberale. C'è un però: non sono così convinto che tutto si riduca ad una lettura biologica dell'evoluzione. Dal mio punto di vista, strettamente educativo, ho la netta sensazione che gli adulti, per assenza o sfinimento, abbiano alzato bandiera bianca. Non c'è argine, non c'è controllo, anzi spesso c'è complicità, come se il comportarsi fuori dalle regole fosse un trofeo di cui andare fieri. E' faticoso opporsi, lottare, accettare che dall'altra parte ci possa essere resistenza: un delirio di onnipotenza che non trova sbarramento, che passa come un'onda anomala e gigante sopra i vani e sporadici tentativi dei pochi combattenti rimasti. Cosa vuol dire voler bene ai ragazzi, lasciarli divertire? Tocco con mano e pago ogni giorno l'ambiguità di queste affermazioni, come se la connivenza totale con la trasgressione fosse il modo migliore per aiutare a crescere. Come se divertirsi fosse sinonimo di ridere: spesso i risolini dei ragazzi nascondono solo incertezza e abbandono. Io ho fatto la mia scelta: ha un costo fisico ed emotivo molto alto, ma ho deciso di arruolarmi e scendere in battaglia. Indosso l'elmetto ogni giorno e rischio il linciaggio. So di essere antipatico e insopportabile: guadagnerei in salute nell'essere socievole e affabile, ma verrei meno al mio compito. Ho accettato di buon grado la cosiddetta gratitudine tardiva: quando gli ex alunni vengono a sistemarti la caldaia e nel frattempo sono diventati bravi padri e lavoratori, non serve molto per capire ciò che va capito. Quando ad un giocatore, che ha subito inflessibilità e rigore, viene in mente il suo vecchio allenatore, significa che a qualcosa è servito. Tardi forse, ma va bene così. Per me può bastare.

martedì 27 settembre 2011

saper perdere


"Saper vincere non è così facile come
sembra, ma è certamente più facile che 
saper perdere: saper perdere senza 
cercare colpevoli, senza puntare il dito 
sul vicino, senza perdere fiducia negli 
altri componenti la squadra e nel 
lavoro e nella linea tecnica scelta, è 
prerogativa di pochi, dei grandissimi."

Sergio Scariolo - allenatore Spagna

domenica 25 settembre 2011

italia che piace

C'è una disciplina sportiva che si è guadagnata un trafiletto sui quotidiani. Stiamo parlando di ginnastica ritmica e di una squadra, la nazionale italiana, che ha vinto per la terza volta consecutiva il campionato del mondo. C'è qualcuno che fa in tre anni quello che gli azzurri di calcio hanno fatto in mezzo secolo. Figlia di dei minori, come il judo, il tiro al piattello, la scherma. Sport che diventano nazional-popolari solo in occasioni speciali, come le Olimpiadi, e che hanno spesso la proprietà benefica di salvarci la faccia di fronte alle figuracce dei cosiddetti sport di prima fascia. Ragazze che si allenano più dei calciatori e dei cestisti e che sono costrette ad arruolarsi per fare professionismo: che ci piaccia o meno, se non ci fossero i corpi militari lo sport individuale in Italia sarebbe scomparso da anni. Una specialità, la ritmica, da sempre dominata dai paesi dall'est, generalmente maestri nell'esecuzione perfetta dei movimenti. Stavolta la cattedra è nostra, ma sembra che l'ingaggio di Bryant a Bologna e l'esordio di Ranieri meritino maggiore attenzione. Complimenti ragazze! Anche se non ci conosciamo, non vogliamo dimenticarci di voi. Siete l'Italia che piace, quella che non ha bisogno di chiacchere per farsi capire, di alibi per giustificare una sconfitta, della prima pagina per farsi notare. Noi vi abbiamo visto comunque e ci avete riempito di gioia ed orgoglio.

sabato 24 settembre 2011

classe

"I giovani sono stati grandi, Kaman è stato grande, io però non ero in forma per dominare l'Europeo. E' solo colpa mia e mi dispiace tanto".

Dirk Nowitzki dopo l'eliminazione della Germania all'Europeo di basket

venerdì 23 settembre 2011

affare o bidone?

Sabatini, patron della Virtus, ci ha abituati a tutto. Le sue trovate, decisamente bizzarre, hanno negli ultimi anni agitato un ambiente spesso addormentato e privo di novità. Non si può dire che non abbia fatto niente per il basket: a modo suo, naturalmente...è però inconfutabile che le giovanili della V nera abbiano ripreso vigore sotto la sua gestione. Detto questo, l'offerta a Kobe Bryant di venire a giocare a Bologna, malgrado ci provi, non riesco a capirla. Che senso ha un ingaggio a gettone? A parte i pienoni sugli spalti e gli indici di ascolto, quale ricaduta può avere una meteora, sebbene pregiata, sul campionato italiano? E' una proposta stucchevole per chi si accontenta di spettacolo, ma ingombrante per chi deve costruire un progetto di squadra su solide basi. Gallinari a Milano ha un altro impatto: c'è un accordo chiaro - quando la serrata NBA si sblocca il contratto scade - ed inoltre il ragazzo ha sempre sostenuto di voler giocare nella società di provenienza in alternativa ai professionisti americani. In più, Danilo conosce molto bene la pallacanestro italiana per averci giocato prima di attraversare l'oceano. Bryant non ha nulla a che fare con l'ambiente se non il fatto di aver vissuto da bambino in Italia. Si tratta sicuramente di un'eccellente idea pubblicitaria, ma non trovo altre motivazioni valide per un esborso anacronistico visti i tempi di ristrettezza economica. Ognuno fa quello che vuole dei soldi personali, sia chiaro, ma la presenza del più forte giocatore del mondo in circolazione sarebbe come una lucidatura sul pavimento: all'inizio sembra più pulito, ma col tempo tutto torna come prima. Forse anche peggio.

mercoledì 21 settembre 2011

alibi

Siamo alle solite. L'esonero di Gasperini è l'ennesima dimostrazione dell'assenza totale di professionalità da parte dei giocatori. Mancia consistente a chi riesce a spiegare, ad un ignorante come il sottoscritto, come sia possibile che giocatori che qualche mese prima avevano vinto praticamente tutto ora non siano in grado di battere il Novara - con tutto il rispetto, naturalmente -. Sono gli stessi giocatori o sbaglio? Portano gli stessi nomi sulle maglie o sono controfigure? " Non aveva più lo spogliatoio in mano! " Ma cosa vuol dire? Per quale motivo un giocatore dovrebbe dare un rendimento diverso a seconda della guida tecnica di turno? Certamente la proprietà ha le sue colpe - non aver protetto l'allenatore la più evidente - ma i giocatori dovrebbero essere i primi a difendere la dignità propria e quella della squadra. Cosa succederà - e succederà di sicuro purtroppo - se con l'arrivo di un altro mister le cose dovessero cambiare? Si dirà " finalmente un tecnico capace, che sa il fatto suo ". Chi avrà invece il coraggio di dire la verità, che i giocatori hanno usato due pesi e due misure in circostanze diverse? Qualcuno doveva pagare e qualcuno ha pagato. Non sono nè estimatore di Gasperini, tantomeno suo amico. Conosco molto bene queste dinamiche: se funziona, sei un dio, se va male, torni al tuo paesello. (chi ricorda Tardelli, bruciato ed ora assistente del Trap?) Gasperini si è giocato il jolly, ma se non siamo solo tifosi, se riusciamo ad andare sotto la corteccia della faziosità per guardare in faccia la realtà, non possiamo non giudicare gli unici che possono cambiare il destino, in bene o in male, degli allenatori. In campo vanno i giocatori: sono loro che decidono le regole. Se i giocatori sono uomini veri, possono e devono distinguere tra convenienza ed onestà professionale: che significa, in parole povere, che l'impegno sarà massimo a prescindere da persone, ambienti o situazioni. Per fortuna, giocatori così ne esistono ancora. Bisogna solo cercarli.

martedì 20 settembre 2011

prima il dovere

Settembre. In linea teorica, uno dei mesi più belli. Non è caldo e nemmeno freddo.Le giornate sono ancora sufficientemente lunghe. Per chi può andare in vacanza, un vero affare: poca folla, poche spese. Per chi lavora in ambito formativo, sia sportivo che didattico, un periodo infernale: è come rialzarsi dopo una sbronza o come attendere l'esito incerto di un esame importante. Rimettere in moto la macchina educativo-sportiva è un compito improbo: orari da sistemare, palestre da organizzare, nuovi ritmi ed equilibri da trovare. A scuola tutti a caccia del sabato libero: visto che non posso avere l'aumento, mi consolo con il fine settimana lungo. In palestra, l'orario gettonato è la fascia 18-20: bisognerebbe avere 100 palestre in città per soddisfare i desideri di tutti. Quando eravamo piccoli, cominciavamo alle 2 del pomeriggio: oggi, prima delle 17, le palestre sono semi-vuote. Dobbiamo ringraziare la Gelmini e Brunetta che hanno voluto le ore da sessanta minuti costringendo gli alunni a rientri estenuanti e, purtroppo, improduttivi. Le società sportive non vengono scelte per la qualità espressa e certificata negli anni, bensì per il ventaglio di disponibilità oraria: se per fare mini-basket c'è bisogno di acrobazie nell'organizzazione domestica, non c'è problema, c'è sempre il nuoto o la scherma. L'importante è fare sport. Quanta nostalgia per i remigini, coloro che avevano il privilegio di tornare a scuola il primo di ottobre: davvero settembre era ancora un mese estivo, per alcuni la possibilità di fare due lire con le vendemmie dei Conti di Porcia. Non so quando potrò tornare a riassaporare quei profumi e quei colori: per il momento, immancabilmente, ogni giro, ogni ripartenza, mi capita di vedere musi lunghi e sbuffi da ogni parte. Non è facile ricominciare, ma necessario. Inchiniamoci al senso del dovere: il piacere ha tempo, può aspettare.

domenica 18 settembre 2011

chapeau espana

Nell'era dell'atletismo e del gioco spinto, per fortuna il talento ha ancora un valore. Vedere giocare la Spagna a pallacanestro è come vedere un film di Fellini o ascoltare musiche di Mozart. Non è solamente la squadra più forte, è la più bella, la più divertente. E' un antidoto alle noie del catenaccio moderno che ha come finalità dichiarata la demolizione del gioco avversario. La Spagna se ne frega degli altri: impone il proprio gioco e guarda il tabellone solo alla sirena. Un'ottima orchestra con degli eccellenti solisti: tutta gente che non ha smesso di avere fame. Giocatori NBA d'inverno e nazionali d'estate. Uomini attaccati alla maglia e alla propria terra. Può  sembrare strano, ma ho provato immensa invidia per questi giocatori capaci di imprese leggendarie: ai mondiali, in una partita straordinaria, gli Stati Uniti, che schieravano i migliori, hanno dovuto sudare le proverbiali camicie per venire a capo degli iberici. Alla guida, un italiano: Sergio Scariolo è come la ciliegina sulla torta, un malato di perfezionismo che ha avuto il merito di mettere ordine in un complesso dalle qualità superiori ma a volte eccessivamente lezioso. I francesi ci hanno provato, ma dovranno imparare la lezione: oltre a saltare, correre e difendere, dovranno mettere altre frecce nell'arco se vorranno spodestare i confinanti sul tetto d'Europa. Per il momento, per quanto riguarda la pallacanestro, parliamo di Sacro Impero Iberico. Occorre attraversare l'atlantico per trovare avversari degni. In Europa siamo tutti in adorazione: ci piacerebbe parlassero la nostra lingua e che indossassero le nostre maglie, nel frattempo ci accontentiamo di guardarli in azione e ci rifacciamo la bocca. Vamos Espana!

sabato 17 settembre 2011

mentalità

"Quando andiamo in campo, non pensiamo che possiamo vincere la partita. Pensiamo casomai che possiamo perderla, oppure pareggiarla. Questo è il modo con il quale ci prepariamo alle gare prima di giocarle."

Pep Guardiola allenatore Barcellona Calcio

giovedì 15 settembre 2011

amarcord

4 giugno 1983. Scendo in strada con il tricolore e mi trovo da solo. Ma come? L'anno prima avevamo vinto il mondiale di calcio e  tutti, perfino il sindaco, avevamo fatto il bagno in fontana. Invano cerco qualche amico, un compagno di squadra per condividere quella gioia sconfinata. La prima volta dell'Italia del basket! Un manipolo di eroi con le contropalle che finalmente aveva regalato alle nuove e vecchie generazioni una soddisfazione unica. Li cito tutti perchè davvero quella era una vera squadra, dove ciascuno era al servizio degli altri e il risultato comune era superiore a qualsiasi ambizione personale: Caglieris, Marzorati, Meneghin, Sacchetti, Villalta, Brunamonti, Premier, Gilardi, Bonamico con in panca Gamba e Sales. Uomini prima che atleti con una miscela perfetta e vincente di coraggio ed intelligenza.L'Italia riuscì a battere per ben due volte la Spagna di San Epifanio e addirittura la Yugoslavia di Kicanovic e Dalipagic: celebre la rissa dopo un fallo omicida degli slavi in cui ci furono scambi di cazzotti proibiti e addirittura la comparsa di forbici e oggetti contundenti. Era la prima volta che vedevo gli jugoslavi soffrire e gli italiani difendere così strenuamente l'orgoglio nazionale. Erano gli anni d'oro della pallacanestro in Italia: boom di praticanti, allenatori preparati nei settori giovanili, entusiasmo alle stelle: logico che il finale fosse congruente alle attese. Per arrivare in fondo, per vincere, ci vuole sempre qualcosa in più rispetto agli altri: quegli uomini, quei giocatori, ce l'avevano: l'appartenenza ad una terra, ad un popolo, ad un sogno. Quel giorno, nel vedere Caglieris baciare il pallone e portarselo via, non riuscii a contenere le lacrime. Piansi da solo, ma ne valse la pena.

martedì 13 settembre 2011

più forti del dolore

Non c'è nulla di più soggettivo della soglia del dolore. Lo stesso incidente può determinare, in persone diverse, reazioni totalmente opposte. C'è che si lamenta per nulla e chi non si lamenta mai. Io ho preso la mia decisione: se un giocatore dice di star male, non lo faccio giocare. Motivazioni: mai mettere in campo controvoglia; soprattutto, se vuoi giocare, impara a non frignare. Nessuno è indispensabile, tantomeno chi si chiama fuori dalla contesa. In genere le nuove generazioni sopportano meno fatica e dolore: non è un problema genetico o evolutivo, semplicemente sono stati abituati così. Potrei fare nomi e cognomi di atleti che hanno gareggiato sopportando fastidi di ogni genere dichiarando falsamente di star bene: questi signori, pur rischiando a volte sulla propria pelle, hanno dimostrato prima a sè stessi e poi agli altri di avere delle qualità superiori. Non si lasciano i compagni nella bufera, c'è un codice d'onore che va rispettato. Si crea un circolo virtuoso: se vedo un mio compagno soffrire e tenere duro, anch'io non mi tirerò indietro quando ci sarà da resistere. La forza di una squadra sta proprio in queste cose: non è il talento, semmai la volontà di soffrire assieme. Non la bravura, casomai il rispetto. Quando le gambe stanno per crollare e il fiato sta diventando corto, ci deve essere pur qualcosa che ci fa continuare: sapere di poter contare sull'onestà e la tenacia dei compagni ci fa gettare il cuore oltre l'ostacolo. Tutti siamo doloranti, ma non c'è miglior medicina di una vittoria conquistata con i denti. Se sarà sconfitta, la coscienza è salva. I dolori passano, i rimorsi meno.

domenica 11 settembre 2011

masochisti di vocazione

Andare a fare un torneo di basket sul lago Maggiore è come stare al cellulare di fronte al tramonto, come guardare una partita di calcio mentre la nostra donna ci sussurra parole d'amore. E' quasi una bestemmia. Come si fa a chiudersi in una scatola di cemento armato, urlare e soffrire, mentre fuori la gente fa il bagno, passeggia sulla riva, prende il sole e si sbaciucchia sulle panchine? Noi masochisti della pallacanestro siamo in grado di fare anche questo. Di rovinarci la vita andando in cerca di avventure che hanno poco a che fare con l'aumento di felicità personale. Avevamo un compito da sbrigare e abbiamo cercato di assolverlo. I primi incontri ci hanno sbattuto in faccia la nuova realtà, verso la fine ci siamo convinti che fare quattrocentocinquanta chilometri valeva quantomeno il sacrificio di provare a vincere. Un paesaggio straordinario. Gente fantastica con il gene innato dell'ospitalità. Non poteva andare meglio. Torniamo con qualche sensazione positiva e con la certezza che il cammino da fare è ancora lungo. Non abbiamo fretta, vogliamo fare un centimetro alla volta. La frenesia, in genere, fa brutti scherzi. Moncalieri si aggiudica il torneo, squadra al momento inarrivabile per molti: l'abbiamo assaggiata, aveva il sapore forte dell'impresa impossibile ma anche dolce dell'averci provato. Domani si va a scuola: quelle albe, quei tramonti, quelle luci, ci aiuteranno a superare la sindrome da rientro. Cara Verbania, ci mancherai!

venerdì 9 settembre 2011

un ragazzo della Stella

Ci abbiamo giocato contro. Era a Donoratico, grazioso paesino del litorale livornese, durante un concentramento interzona. Prima partita, contro Stella Azzurra Roma. Playmaker appunto, Mario Delle Cave. Vincemmo quella partita drammatica dopo essere stati sotto anche pesantemente. Noi andammo alle finali, la Stella rimase a casa. Ma non ci può essere una partita più drammatica della morte. Da una partita persa si può tornare indietro, dalla morte mai. 18 anni, come i nostri ragazzi, suoi coetanei del '93, nel fiore dell'età e della carriera. Mario non può più palleggiare nè fare assist: la sua corsa è finita. Per sempre. E' vero: perchè mai il destino dovrebbe risparmiare gli atleti, per quale motivo il nostro ambiente dovrebbe rimanere immune alle tragedie? Qualche volta il sorteggio ci tocca, il numero estratto è a noi vicino. Il fato avverso è forse sufficiente a trovare una risposta, non certo per placare il dolore. Giocheremo tutti anche per lui, per non dimenticare che in fondo, malgrado ansie sofferenze e continue incazzature, scendere in campo è il più bel divertimento del mondo.

mercoledì 7 settembre 2011

non è da buttare

Mi spiace ma non riesco ad unirmi al coro dei disfattisti. Chi vuole vedere la spedizione in Lituania della Nazionale come un fallimento rischia di non avere percezione della realtà. E' una squadra giovane, non ancora rodata, con un allenatore che non ha avuto ancora tempo per darle la giusta impronta. I giocatori "pro"hanno avuto la bellezza di giocare quattro partite pre-europeo assieme. Il resto della compagnia, come già riferito in altra occasione, è composto da buoni giocatori che però faticano, a parte qualche eccezione, a trovare spazio nel campionato italiano. Abbiamo due ruoli, playmaker e pivot, totalmente scoperti: per fare un esempio, se avessimo avuto Teodosic e Krstic avremmo potuto giocare per il titolo. Siamo questi e dobbiamo prenderne atto: a casa non sono rimasti giocatori che avrebbero potuto spostare gli equilibri. Perciò dobbiamo tutti quanti fare un bell'esame di coscienza: abbiamo fatto tutto quello che c'era da fare? Dobbiamo forse cambiare obiettivi e metodologia nella formazione del talento? Alle società interessa davvero la Nazionale? Pianigiani si trova in cima al movimento, ma se in basso c'è poca qualità e disinteresse, diventa una missione impossibile riportare l'Italia ai fasti di non molti anni fa. Comunque il futuro, almeno per l'immediato, fa ben sperare: i tre "americani" possono solo migliorare e l'under 20, con Melli e Gentile in primis, hanno dato un buon segnale all'europeo. Se poi vogliamo  gettare la croce addosso, da bravi italiani, facciamolo pure ma rischiamo di farci solo del male. Altro discorso l'orgoglio: bene ha fatto il CT ad arrivare ai limiti dell'insulto. Se Nowitzky e Parker trovano ancora motivazioni per giocare nelle rispettive nazionali e spostarne i valori, a maggior ragione i nostri che sono quasi agli esordi. Tutto si può sopportare, ma chi guarda e segue la squadra vuole essere fiero dei propri eroi. Perdere, ma con il sangue alle ginocchia.

lunedì 5 settembre 2011

a caldo

“Vedo e continuo a vedere miglioramenti per questo gruppo, miglioramenti che sono costati fatica, dove non ho visto nessuno intorno a me risparmiarsi e personalmente, dico in tutta sincerità, ho tirato fuori tutte le energie nervose e fisiche che avevo. La sensazione è che occorra la collaborazione di tutto il movimento perché siamo di fronte ad un’emergenza cestistica nazionale. A febbraio avevo detto che senza i tre Nba, siamo una Nazionale di seconda fascia. Poi veniamo qui, facciamo extrasforzi ed esperienza. Con la Federazione sicuramente parleremo del campionato europeo e faremo delle analisi, ma occorre che tutti siano d'accordo sull'analisi finale, cioè che se il movimento, chi vi è preposto, considera che ci sono i margini per insistere sulla strada dell'applicazione mentale e di continuare a pretendere, e i giocatori sono i primi a credere in questo, allora posso continuare a mettere le mie energie psicofisiche al servizio della Nazionale, anche se ci saranno altre 'tranvate' da prendere. Altrimenti no. Se non c'è questo tipo di convinzione, senza presa di coscienza del momento in cui siamo, allora si può scegliere qualcosa di diverso, qualcosa di più easy, un altro tipo di guida tecnica. Siamo arrivati vicini, ma manca sempre qualcosa, e se non mancasse non avremmo perso quattro partite su cinque, ma se per colmare questa lacuna può contribuire il cambio di allenatore, eccomi, altrimenti, tutti, si deve cercare di dare di più.

Simone Pianigiani


"Il messaggio che lancia questa nazionale è diretto a tutto il movimento: tutti devono lavorare di più e meglio, a cominciare dai giocatori. Abbiamo bisogno di crescere e migliorare in ogni settore della nostra pallacanestro perchè solo così potremo tornare al vertice. Ci vuole tempo ma non ci sono alternative."


Dino Meneghin - tratto dalla Gazzetta dello Sport

domenica 4 settembre 2011

giudizio rinviato

Non si può dire che non ci abbia provato. Il dato però è incontestabile: l'Italia di Simone Pianigiani, quella attuale, non può essere considerata di prima fascia europea. Perdere con Serbia, Germania e Francia non è un disonore: in ciascuna di queste squadre militano atleti di alto livello e di grande esperienza. Non va dimenticato che i nostri giocatori più rappresentativi - quelli che hanno minutaggio maggiore in campo - hanno davanti a loro parecchi anni di nazionale: Bargnani, il più vecchio tra i tre NBA, è del 1985; Belinelli '86 e Gallinari '88. A questi si aggiungono Hackett ('87) e Cusin ('86). E', come ripete giustamente Pianigiani, un'Italia che può solo crescere. Certamente vanno esaminati con attenzione alcuni aspetti: non è certo colpa dell'allenatore se le rotazioni sono limitate a pochi giocatori. Purtroppo ci mancano i cosiddetti "gregari", quei giocatori che, pur non essendo delle stelle, portano ciò che serve alla buona causa. Se andiamo ad esaminare fin qui i punteggi individuali, ci accorgiamo che, a parte i tre "americani", solo pochi altri hanno contribuito ad aumentare il coefficiente offensivo della squadra. Se la pericolosità è concentrata in poche mani, è facile per gli avversari trovare i giusti adeguamenti difensivi. La nazionale campione d'Europa nel 1999 aveva due fenomeni - Myers e Fucka - ma attorno a loro ruotavano altri buoni giocatori che si sono rivelati fondamentali per la vittoria finale - Meneghin, Abbio, Galanda, Basile, Bonora, Marconato. Quello che manca oggi è proprio questo, il contorno che rende completa la pietanza. C'è un altro tema su cui riflettere seriamente: in Italia non si producono più playmaker e pivot. Con tutto il rispetto per Hackett e Cusin - peraltro ottimi - nè uno nè l'altro possono interpretare in maniera ideale questi due ruoli determinanti per il gioco della pallacanestro. Anche in questo caso, però, la colpa non sta nella selezione, ma nelle scelte formative: non è che per creare giocatori che sappiano fare un pò di tutto ci siamo dimenticati di quelli che sapevano fare bene poche cose? Chi allena le generazioni future non può non interrogarsi sugli obiettivi della formazione tecnica: Pianigiani, come chiunque altro al suo posto, può allenare solo l'esistente. 

sabato 3 settembre 2011

medaglia scacciacrisi (2)

Medaglia doveva essere, medaglia é stata. Antonietta non ha tradito. Prima di lei, due marziane. Non dobbiamo dimenticare che la nostra portacolori è la saltatrice più bassa tra tutte le contendenti. Ora la missione è salva. Berlino, speriamo, rimane il punto più basso della storia dell'atletica italiana. Ma prima di parlare di "risorgimento", aspetterei di vedere cosa pensano di fare il Coni e la Federazione per promuovere questa fantastica disciplina: sperare ancora una volta nella Di Martino anche per la prossima spedizione o cambiare strategia nel reclutamento e formazione dei giovani atleti? Chi vivrà vedrà: nel frattempo accontentiamoci di vedere almeno per una volta la nostra bandiera fare il giro d'onore.

medaglia scacciacrisi

I neri d'America dominano la velocità. Quelli d'Africa fondo e mezzofondo. Agli altri le briciole. Ci sarebbero i concorsi: lungo, alto, triplo, asta e tutte le tipologie dei lanci. L'Italia, per non sfigurare, ricicla "nonno" Vizzoni - ottimo ottavo per il trentasettenne toscano - e "mamma" Rigaudo, commovente medaglia di legno a pochi mesi dal parto. Consoliamoci comunque: peggio di Berlino - zero medaglie - non possiamo fare! Ora i riflettori sono puntati su Antonietta Di Martino: il salto in alto femminile, fin dai tempi della grande Simeoni, ci ha sempre dato buone soddisfazioni. La campana di Cava dè Tirreni ha mentalità da vendere, ma caricarla di pressioni sa di folle ed ingiusto: basta una giornata storta per mandare tutto all'aria. L'atletica italiana, come altre discipline, sta agonizzando e non si vede come possa venirne fuori. Non c'è ricambio e non sembra si faccia molto per promuovere l'attività giovanile: ad esempio, i campionati scolastici, invece di semplificarsi, stanno diventando sempre più selettivi e impraticabili per la grande maggioranza degli alunni. Gli stenti e i sacrifici che attendono i giovani non fanno certo da richiamo per quella che viene definita la regina delle discipline olimpiche. E' risaputo inoltre che gli sport di squadra superino di gran lunga quelli individuali nelle preferenze dei ragazzi e delle famiglie. Non ci resta che sperare nella nascita di qualche fenomeno, come sono stati a loro tempo Mennea, la Simeoni, la Dorio, Baldini, Cova. Ci dobbiamo rassegnare: questa è l'Italia dello sport! Appena troviamo un campione - perchè prima o poi qualcuno salta fuori - siamo abilissimi nel nascondere le difficoltà del movimento. Forse è sufficiente una medaglia della simpaticissima Di Martino per perdonare l'intera spedizione coreana.