"Non è il cammino impossibile, ma l'impossibile è cammino"

martedì 15 marzo 2016

moderna tempistica

Un allenatore può andare dove vuole, ci mancherebbe, soprattutto se si chiama Antonio Conte. Ciò che lascia fortemente perplessi é la tempistica, in particolare quando ci si trova in sella ad una panchina della nazionale. Posso capire lo scalpitio, il prurito per un'esperienza di valore internazionale, dove finalmente il mister potrà dimostrare che ciò che ha vinto in Italia non rappresenta un fatto casuale. Posso anche capire - forse un po' meno - il timore di rimanere disoccupato dopo un possibile europeo fallimentare: la necessità di garantirsi il futuro può a volte far bruciare le tappe. Ci sono però - per chi ci crede, naturalmente - anche degli ideali in gioco, che non possono essere liquidati con un semplice così fan tutti. In primo luogo il rispetto per i giocatori: con le debite differenze, sarebbe come per qualsiasi allenatore entrare in spogliatoio in piena stagione e dire: " ragazzi, il prossimo anno non ci sarò, però mi aspetto da voi un comportamento corretto, da veri professionisti che devono onorare fino all'ultimo la maglia che indossano ". Qualsiasi discorso che non sia tecnico-tattico, ma di atteggiamento, rischia di perdere di pregnanza e incisività: con quale trasporto, anche emotivo, mister Conte imbonirà i suoi sapendo che da lì a poco non ci sarà? C' è poi il rispetto per un collega che sta facendo lo stesso lavoro su una panchina a termine, cosiddetta ad orologeria: il signor Hiddink, che non mi sembra uno sprovveduto, ha tutto il diritto di esercitare la professione come titolare e non come precario. Naturalmente chi mette i soldi decide come, quando e perché, entrando in gamba tesa su qualunque aspetto umano della vicenda. Chi mette i soldi, nello sport, ha sempre ragione. Sarà interessante sentire il presidente Tavecchio che ha tanto voluto Conte in nazionale con un contratto da favola, sbagliando mossa, forse ignorando che un allenatore giovane ed ambizioso non è mai stato un buon affare come commissario tecnico. Qualche esempio? Bearzot, Lippi avevano già la pancia semipiena, l'azzurro era un punto di arrivo. Ecco perché il Messina di oggi é sicuramente più adatto del Messina di ieri. C'è chi per la nazionale si taglierebbe le vene, chi non vede l'ora di andarsene: anche questi sono tempi moderni. Meglio, moderna tempistica.

martedì 1 marzo 2016

senza paura

Faccio la riverenza, recitava una filastrocca d'altri tempi. Riverenti, troppo riverenti, sono i nostri giovani. Dietro la maschera da duri ed espressioni forti e sprezzanti si celano personalità fragili ed arrendevoli. Lo sport, dove abitualmente la finzione non esiste se non per scopi tattici, rivela inesorabilmente la debolezza dell'agire. Gli psicologi lo chiamano basso livello di autostima, gli allenatori evocano brutalmente l'assenza di parti intime maschili. Semplicemente, i ragazzi/e sempre più credono meno in se stessi. Trovano sempre più marcata la forbice tra ciò che pensano di essere e ciò che vorrebbero essere. Si pongono forse aspettative troppo alte? Vengono richiesti livelli prestativi fuori portata? Sta di fatto che il corpo - per un bizzarro gioco di parole - non mente: in campo i gesti rivelano incertezza ed al primo errore si rischia di cadere in un pozzo profondo da dove é quasi impossibile risalire. Chi gioca in questo stato é destinato all'insuccesso: non solo nel risultato, il minore dei mali, soprattutto nella frustrazione di non aver nemmeno provato a tirare fuori il meglio di sé. Perché é risaputo, chi vive nella sfiducia é portato a conservare e non a spendere le qualità di cui é dotato. Nemmeno le parole incoraggianti degli istruttori di ultima generazione - posso garantire personalmente che quelli di prima generazione erano soliti usare più il bastone che la carota - sembrano smuovere le acque, segno inequivocabile che la soluzione al problema si trova dentro di sé e si chiama forza interiore. Non c'è nessuno che possa credere in te se non te stesso: non c'è nessun intervento esterno provvidenziale, non c'è nessuna cura, se non ciò che é già presente ma che si trova nascosto in qualche angolo della mente. Quanto ci piacerebbe vedere, oltre che in aula o per le strade, un po' di sfacciataggine in più sui campi di gioco: qualcuno che usa il bisogno di unicità - spesso scambiato per rabbia - una volta tanto per costruire e non per demolire. Quella che i milanesi chiamano faccia di tolla e che in tutto lo stivale viene considerata espressione irripetibile. Quella che aveva Dino Meneghin, per capirsi, che bastava entrasse in un palazzetto per suscitare l'ira del pubblico avversario ma che, al contempo, rappresentava l'emblema dei propri tifosi. Senza paura, direbbe Ligabue. Con fiducia, aggiungo.