"Non è il cammino impossibile, ma l'impossibile è cammino"

giovedì 19 novembre 2015

mente superiore

Da tempo ormai si accenna ovunque ad una dimensione nuova dello sport, dove l'aspetto fisico prevale su quello tecnico. Giocatori come Rivera o Marzorati, per capirsi, non avrebbero posto nella nuova mappa agonistica delle discipline di squadra. É una teoria che mi trova parzialmente d'accordo: fermo restando che un buon giocatore debba essere un buon atleta, c'é una terza componente che, nell'era post moderna delle scienze sportive, può fare la vera differenza. Ci si riempie la bocca di qualità tecniche e fisiche, ma si dimentica colpevolmente il punto dove tutto ha origine: la mente. A mio parere, un giocatore bravo tecnicamente ed equipaggiato fisicamente con scarsa struttura interiore non potrà mai giocare ad alti livelli, mentre é possibile che succeda l'inverso. Dal mio osservatorio - pur sempre ristretto ma sufficientemente rappresentativo - colgo una certa lacunosità nei giovani atleti odierni - anche se soggetti simili non mancavano anche in passato ma in percentuale minore - nell'affrontare mentalmente nei modi giusti l'evento sportivo, particolarmente agonistico. Ansie ingiustificate, aspettative eccessive, fragilità ed incertezze palesi che influiscono sulla prestazione individuale e, di conseguenza, di squadra. Sembra mancare, per così dire, una certa durezza psicologica, quell'energia interna che aiuta a superare le difficoltà e che costituisce il carburante indispensabile per elevare il livello motivazionale ad apprendere nuove cose. Le risposte più frequenti " non sono capace " oppure " non ce la farò mai " sono testimonianza vocale e reale di una debolezza costitutiva sul piano della volontà e determinazione. Quasi una visione fatalista per cui solo alcuni predestinati potranno accedere alle stanze del successo, sottovalutando il potere che é in ciascuno di auto determinarsi. La soglia del dolore, fatta eccezione per le poche mosche bianche, si é notevolmente abbassata: un normale infortunio si trasforma spesso in tragedia ed é difficile se non impossibile incontrare ancora qualche atleta che anteponga il risultato sportivo al proprio stato di salute. Il problema é che anche un leggero risentimento o un lieve malore viene percepito come ostacolo insormontabile, come se il giocare in 'perfette condizioni' fosse imprescindibile per scendere in campo ( discorso particolarmente rivolto ai maschi ). La percezione della sofferenza é soggettiva, ma può essere allenata: se veniamo invitati a fare una bella vita comoda, sarà difficile tenere duro o non mollare quando le situazioni, non solo sportive, lo richiederanno. Possiamo avere bicipiti quadrati, una tecnica sopraffina, ma tutto questo arsenale serve a poco in presenza di un' evidente debolezza mentale. Rispetto ad un tempo, gli atleti vanno allenati nella testa: é lì che si aprono le pieghe fatali della fiacchezza, rassegnazione, svogliatezza. É lì che si devono compiere gli sforzi più grossi se si vuole seguire la strada del successo. Ed é il compito più difficile, perché il nemico non é l'atleta, ma tutto ciò che gli ruota intorno.

martedì 10 novembre 2015

vittoria stupefacente

È finita. L'epoca dello sport come esclusiva scialuppa incorruttibile capace di portare in salvo ciò che rimane di questa fragile umanità. L'illusione di un'isola felice, intaccata, protetta dal male, é svanita, da tempo ormai. L'idea di un mondo a parte, bello in sé ed impermeabile, dove il contemplato corrisponde a realtà, non esiste più. Come in un film di 007: non sappiamo più di chi fidarci. L'eroe che abbiamo applaudito e per cui abbiamo pianto diventa l'orco da cui dobbiamo fuggire. Il muro che sembrava abbattuto da qualche parte resiste. Scandalizzarsi, ormai, diventa insufficiente, se non complice. Chi lavora in questo campo, non può più fare finta di niente: dall'allenatore della nazionale a quello del paesino sperduto di montagna. É necessario fuggire dai luoghi comuni, in fretta: é così da sempre, non cambierà mai, lo sappiamo tutti. Tutti lo sappiamo, ma continuiamo a starne fuori, rassegnati ed impotenti. É giunto il momento, invece, di scendere in campo e dire chiaramente ai nostri utenti - che siano bambini o adulti - che non esistono scorciatoie o trucchetti, che non ci sono cose al di fuori della propria mente cuore e gambe per inseguire la vittoria, che tutto ciò che si é va innanzitutto accettato ed eventualmente modificato attraverso la volontà e l'applicazione quotidiana. La vittoria a tutti i costi, con tutto ciò che ne consegue, andrebbe annoverata nelle tipologie moderne di doping: quando, per vincere - o meglio, per non perdere - una gara insignificante ( ad esempio, il palio dei rioni ), siamo disposti a tutto, anche a sacrificare emozioni e sentimenti di alcuni o a ricorrere a strumenti e metodologie discutibili, non si è molto distanti da chi fa uso di steroidi per salire sul podio alle olimpiadi. Siamo solo su un piano espositivo diverso e probabilmente non ci saranno retaggi con la legge ma solo con la coscienza. Vincere é bello, ma può diventare una dipendenza, come qualsiasi droga comune: può accecare la mente e le scelte conseguenti, indurre a non distinguere fra ciò che andrebbe o non andrebbe fatto, cambiare le nostre abitudini da costruttive a distruttive. In fondo, per quale motivo se non per vincere gli atleti si dopano? La vittoria, che sia ai campionati del mondo o a quelli del quartiere, ha sempre la stessa attrattiva: dipende da noi - formatori sportivi? non trovo migliore etichetta - trovare la ricetta e le dosi giuste. Se saremo troppo ingordi, chi ci segue si abbufferà. Ed una volta tanto dovremo imparare a mandare a quel paese chi ci dirà che saremo valutati per le vittorie. Saremo invece valutati per gli atleti e gli uomini che avremo contribuito a crescere.

giovedì 5 novembre 2015

Ettore eroe invincibile?

Dalla vicenda Petrucci-Pianigiani, pur assistendo da lontano e a differenza di Dan Peterson, non ricavo messaggi confortanti. A noi, gente di palestra abituata a dirsi in faccia le cose, non piace molto il politichese ed il contorsionismo diplomatico: sarebbe stato meglio e più credibile dire pane al pane e vino al vino. Ho sentito spesso in passato il Presidente usare lodi sperticate verso l'allenatore della nazionale ( ormai ex ) definendolo come l'uomo giusto per risollevare le sorti cestistiche della nazione: mi chiedo, é un tiro entrato od uscito a far cambiare repentinamente opinione? O ci sono altri interessi in gioco? O ci si è raccontati frottole per tanti anni? La proverbiale impopolarità mi impone ancora una volta di schierarmi contro la logica: non ho nulla contro Ettore Messina, ci mancherebbe, ma Pianigiani avrebbe dovuto terminare il suo lavoro. Sono stati fatti sforzi impressionanti per avere un allenatore a tempo pieno che si occupasse anche di programmazione giovanile: ora avremo due tecnici super pagati - perché non credo che il buon e bravo Ettore, giustamente, faccia questo solo per amor patrio - ed un preolimpico gravosissimo se organizzato tra le mura amiche e dall'esito fortemente incerto ( é sufficiente un super allenatore per vincere? E se poi dovesse fallire anche Messina, che facciamo, chiamiamo Popovich? ). Aggiungo due amare considerazioni: mettendo in un angolo Pianigiani a proseguire il percorso con le nazionali giovanili, necessariamente ed inevitabilmente ci sarà un ridimensionamento proprio in una fase storica dove l'intervento verso le generazioni future dovrebbe essere primario: onestamente, non riesco a scorgere all'orizzonte ( certo l'età non aiuta la vista ) qualcuno che possa somigliare a Gallinari, il quale ha ricordato a tutti nella malinconica e sincera intervista post Lituania di non essere più quel giovane talento di cui tutti andavamo fieri ormai qualche anno fa. Secondo: non vedo come un allenatore a perdere ( nel senso con il destino segnato ) possa investire tempo, mente, cuore verso qualcosa che sa di dover abbandonare. Credo che la testa di Simone, in questo momento, sia comprensibilmente verso impegni futuri che, a rigor di logica, lo porteranno lontano dalla penisola. Il compromesso non è mai un buon affare: tutti vogliamo vincere, caro Presidente, non solo lei, ma non ad ogni costo. Pensare alla nazionale sganciata dalla base, é come credere che uscirà la spiga senza gettare la semente. I due più forti giocatori italiani sono figli d'arte: non si potrà sempre ricorrere al DNA. Ultima confessione: se fossi stato Ettore Messina avrei declinato: ma io sono io e lui é lui. Qui si che c'è una bella differenza. 

martedì 3 novembre 2015

un fisico bestiale

Ogni giorno che passa, allenare diventa sempre più difficile. Non solo e non tanto perché un genitore scriteriato spara al negozio gestito dal mister del figlio. Un fatto gravissimo che desta soprattutto clamore, ma quanti mini episodi silenziosi si consumano all'interno di palestre e campi di gioco? Ne sa qualcosa chi lavora abitualmente nella formazione sportiva dei/le ragazzi/e. Probabilmente uno dei motivi per cui molti abbandonano la professione - o per meglio dire passione, visto che il 99% degli implicati svolge tale pratica in forma quasi amatoriale - preferendo altre attività gratificanti, lontane dai guazzabugli quotidiani messi in scena da adulti insoddisfatti che finalmente trovano una faccia, un nome, un fatto su cui scaricare rabbia repressa. Il mestiere - o vocazione, o missione, a seconda dei casi - dell'allenatore é profondamente cambiato nel corso degli anni: negli anni '60-'70, quando lo scrivente ebbe il battesimo del fuoco, la palestra era un luogo sacro e inviolabile e chi dirigeva le operazioni era visto come un santone virtuoso e non raggiungibile. La verità é che quelli come me - dilettanti allo sbaraglio e promossi con i gradi sul campo - commisero un sacco di errori - assolutamente più gravi degli attuali - ma nessuno si permise mai di interferire o di mettere in discussione l'operato degli istruttori. Un esempio? Quando un ragazzino si comportava male, il minimo della pena consisteva nell'espulsione e rientro al proprio domicilio: nessuno, dico nessuno, si presentava successivamente a protestare per l'accaduto. Nei giorni nostri, un fatto del genere rientrerebbe negli articoli di stampa oltre che del codice penale ( pensiamo al povero e bravo Guido Saibene che per aver messo le mani sulle spalle al giovin di turno si è guadagnato la gogna mediatica e l'esonero, grazie all'intercessione dei nuovi padrini, i procuratori ). Oggi, anno 2015, le palestre sono aperte a tutti: durante gli allenamenti, é consuetudine la presenza massiccia sugli spalti di adulti intenti a carpire ogni parola e mossa del malcapitato: perciò frasi misurate, correzioni velate, punizioni sparite e, alla fine, il classico nugolo di clienti in fila pronti ad esprimere opinioni, lamentele, situazioni problematiche, aggiornamenti scolastici. Il paradosso é che gli allenatori odierni sono molto più preparati di quelli di un tempo, eppure sono più criticati ( lo stesso paradosso andrebbe rivolto ai giocatori: come mai con tecnici più bravi non sono migliori dei colleghi di un tempo? ). Dicono che i tempi sono cambiati e che ci si deve adeguare: ok, dico io, ma chi mi garantisce che siano cambiati in meglio? Chi si mette a spiegare che ci sono dei ruoli, dei confini, che esiste un rispetto, una dignità, che gli errori sono ammissibili e che soprattutto vanno attribuiti in tutte le direzioni? Ha ragione Luca Carboni, ci vuole un fisico bestiale.