Adesso che anche la matematica spazza ogni dubbio, largo alle dediche.
Prima di tutto a me stesso: solo Dio può sapere le lacrime e il sangue versato sul campo. Non si vince se non si lavora duramente. Per me é stato un lavoro estenuante: non sono più un allenatore promettente, semmai discendente, prossimo alla decadenza.
Poi i ragazzi: solo io posso sapere quello che hanno sopportato. La mia fatica è diventata la loro, hanno assorbito le mie paure, condiviso i sogni. Hanno continuato a crederci malgrado tutto e tutti. E hanno strameritato questa soddisfazione. Se c'è qualcuno o qualcosa che governa il destino sportivo, stavolta ha visto giusto.
La mia famiglia: solo loro possono sapere quando stare alla larga, quando avvicinarsi, quando parlare o star zitti. Può sembrare strano, ma spesso una vittoria si costruisce tra le mura di casa.
La società per la quale lavoro: colpita al cuore, sofferente, raggiunta finalmente da una bella notizia.
La mia città: può sembrare pretenzioso, ma un titolo regionale assume contenuti che vanno oltre lo sport.
Mi piacerebbe dire che non mi accontento, che quello che abbiamo fatto è solo una parte, che ci attendono altri traguardi: per una volta, però, almeno qualche secondo, voglio fermarmi e contemplare il paesaggio. Le belle cose, si sa, durano poco: è anche vero, però, che otto mesi sulla graticola meritano almeno un giorno da eroi. Domani riprende la lotta.