"Non è il cammino impossibile, ma l'impossibile è cammino"

giovedì 23 aprile 2015

talento o bravura?

É il termine di gran lunga più pronunciato, e ahimè abusato, in campo sportivo. Il talento, per i greci e gli ebrei, era una moneta. Nella famosa ed intrigante parabola evangelica si è trasformato in metafora. Il talento é un dono, in pratica una dote congenita e speciale, qualcosa che si possiede senza meriti né conquiste. C'è chi ne ha di più e chi di meno, in realtà impossibile esserne del tutto sprovvisti. Nello sport il vero talento é merce rara: sono pochi gli atleti che possono raggiungere livelli elevati senza ricorrere ad esercitazioni asfissianti e ripetitive. Molti giocatori di pallacanestro che frequentano i piani alti - quasi tutti direi - hanno costruito la carriera mattone dopo mattone levigando e pulendo i propri errori con lavoro massacrante e continuo. Lo stesso compianto Drazen Petrovic, forse il più forte giocatore europeo di tutti i tempi a pari merito con Sabonis, se avesse avuto talento non avrebbe chiesto le chiavi della palestra corrompendo il custode per esercitarsi all'alba di ogni santo giorno e migliorare così la propria tecnica di tiro. Maradona, invece, poteva permettersi di saltare gli allenamenti e di presentarsi in campo anche con qualche chilo di troppo ed essere comunque determinante. Perciò, soprattutto quando ci riferiamo ai giovani, dobbiamo pesare molto bene le parole: primo per evitare dannose e facili illusioni, secondo per non sminuire il lavoro prezioso che sta dietro alla costruzione lenta e faticosa di un giocatore. Essere capaci di fare determinate cose in campo non significa automaticamente essere giocatori di talento: più appropriato parlare di predisposizione al miglioramento, che é una dote importante ma trattasi di altro aspetto. Alberto Tomba aveva talento - oltre ad una grande dose di narcisismo -: nato in piena pianura padana, ha messo in fila tutti quanti, compresi quelli che già all'asilo si spostavano sugli sci. Ne avete visto un altro? Di questi ne nascono uno ogni secolo. Per fortuna, aggiungo, altrimenti che ci starebbero a fare gli allenatori? Purtroppo il talento in se non basta: quanti l'hanno preso e sono andati a sotterrarlo? Il talento va scoperto e fatto fruttare: non si può rifiutare un regalo. Non si può fare torto a se stessi e nemmeno agli altri: io ad esempio, comune mortale, se fossi stato Balotelli, di certo avrei cercato di non gettare alle ortiche quel dono. Ecco perché Oriali, come dice Ligabue, rappresenta il nostro vero eroe: perché è quello che ci assomiglia. Un bravo giocatore, con il talento della fatica: si può dire?

sabato 18 aprile 2015

puledri e purosangue

Mi hanno stuzzicato - come spesso accade - le parole di Don Padovese, ormai cittadino benemerito. " Lasciate liberi i cavalli ": come dire, largo ai giovani. L'idea è affascinante, spazio a uomini/donne e idee nuovi. Diamo un giro di aria fresca a questa società statica e ammuffita. In politica, sul lavoro, nello sport, c'è bisogno di una mano di vernice con colori forti e caldi. Se potessi abbandonare la mia trincea quotidiana e fare posto ad una giovane leva carica di entusiasmo e di buoni propositi, credetemi, lo farei molto volentieri. Poi - come spesso accade - mi prende un impeto di orgoglio senile che si rifiuta di accettare l'equazione giovane:nuovo=adulto:vecchio. Percorrendo a ritroso gli anni cosiddetti ruggenti scopro di essere stato, nel modo di concepire e vivere determinate scelte, più conservatore di quanto lo sia adesso. Cosa significa essere giovani? É un dato biologico, ossia una combinazione di ormoni? Una tappa dell'esistenza? Un modo riconoscibile di vivere? Ha ragione Michele Serra quando dice che é in corso una feroce battaglia tra generazioni per il controllo della società? Io credo, invece, che la trasformazione possa avvenire in modo graduale e pacifico. Ciò che è già stato non è da buttare e ciò che dovrà essere non é necessariamente frutto di totale innovazione. Tutti quanti abbiamo imparato da grandi maestri che ci hanno preceduto e abbiamo l'obbligo di tenere in vita l'eredità che abbiamo ricevuto. Nulla si perde, tutto si trasforma. Il passato non è nostalgia, ma cancellarlo significherebbe costruire sulla sabbia anziché sulla pietra. Lo dico con convinzione, e non me ne vergogno, non mi piacciono certi appelli un po' populistici sulla necessità di fare spazio, a tutti i costi, alle nuove generazioni. L'immagine dell'accompagnamento mi risulta più familiare e adatta: nessuno si costruisce da solo, c'è bisogno di una guida appassionata e attenta. La riconoscenza é forse il valore a cui dovremmo fare maggiore ricorso in questi tempi. Ciò che siamo, nel bene e nel male, lo dobbiamo a chi ci ha preceduto. Per tornare all'espressione iniziale, liberiamo i cavalli, ma i puledri hanno bisogno dei purosangue per correre. Alcuni dei miei maestri, purtroppo, non ci sono più. E mi mancano. Anche se, come mi ricordano spesso i miei figli, ormai sono vecchio. Cosa voglia dire, ancora non mi riesce di capire.

sabato 11 aprile 2015

non c'è verità

Si sprecano i luoghi comuni: tutti siamo responsabili, ognuno di noi poteva fare di più e via dicendo. Così laviamo i sensi di colpa e quietiamo l'anima. Oppure caccia al colpevole, ad una spiegazione, come se ci trovassimo di fronte ad un giallo dai contorni misteriosi. L'unica verità che conosco: un ragazzo, allo sbocciare della vita, non c'è più; i suoi familiari, i suoi amici, non si danno pace e non trovano risposte. Anch'io, da adulto, da insegnante, non mi do pace e non trovo risposte. Non voglio nemmeno cercarle. Troppo facile. La verità che stiamo cercando é quella che non esiste. Non sappiamo a quali meccanismi risponde la psiche umana e in che modo le emozioni possano impadronirsi della mente al punto da soggiogarla. Quello che so - ma non ha nessuna pretesa di indagine tantomeno di spiegazione - é che i ragazzi, malgrado la faccia dura le parole irripetibili e il fare spesso oltraggioso, nascondono una fragilità umana di dimensioni impressionanti. Più che aprire i computer o leggere i messaggini, forse dovremmo darci da fare su questo fronte. Cosa c'è dietro questa corazza protettiva, questa armatura spinosa inaccessibile? I ragazzi si difendono, ogni giorno ed ogni ora, da chi e da cosa? Poi, quando ne hanno la possibilità, attaccano, spesso in branco, e lasciano il segno, forse marchiando un'esistenza incolore e monotona. Spaccano, insultano, aggrediscono, si tolgono la vita: gesti estremi, forse estreme grida di allarme. C'è un vuoto da colmare, ma come? Le pacche sulle spalle sono state sostituite dai cuoricini virtuali e le parole di consolazione da messaggi incompleti e freddi: non c'è fisicità nei rapporti, non ci sono occhi che parlano né orecchie che guardano. Ciò che manca é la vicinanza: non solo parole, ma intese, abbracci, a volte, se ci vuole, anche scappellotti. Chi ha detto che i ragazzi non vanno corretti? Spesso sono proprio loro, con messaggi subliminali, ad implorarci di fermarli ed indicare la linea da non oltrepassare. É un duello faticoso, tra prendere e lasciare, fare e disfare, concedere e vietare. Noi adulti abbiamo tutti un compito ed una responsabilità: esserci quando serve. Concesso sbagliare, proibito abbandonare il campo.