"Non è il cammino impossibile, ma l'impossibile è cammino"

giovedì 26 gennaio 2017

il dadaismo ovvero ciò che gli altri non fanno

Dicono che non bisognerebbe far vedere Dada Pascolo ai piccoli cestisti perché ha una tecnica di tiro rivedibile: io dico, invece, che tutti i giovani dovrebbero imparare la sua determinazione, la voglia di migliorare, la sua capacità di usare il corpo e i piedi in spazi ristretti. È un autodidatta nel senso vero del termine: si è inventato un modo di giocare che calza a pennello con le proprie caratteristiche. Ha reso spettacolare ciò che normalmente viene ritenuto banale: le finte, il piede perno, il controllo del corpo e un cervello sopra la media sono sufficienti per mettere in ginocchio qualunque difesa, anche la più fisica. Ha aspettato con perseveranza e rispetto il proprio turno consapevole in cuor suo che il passaggio da Trento a Milano non sarebbe stato così agevole: avrebbe potuto continuare a fare l'eroe indiscusso ( come fanno tanti altri ) ma ha scelto di mettersi in discussione ricominciando da capo in un gruppo dove le gerarchie non sono definite. Di lui conservo un ricordo, mio personale, drammatico: 2007, Carnera, ultima e decisiva partita under 18. Udine già qualificata alle finali nazionali, Pordenone per andarci deve vincere: ebbene, quando la fame degli uni sembra avere il sopravvento sulla sazietà degli altri, ecco salire in cattedra Dada e con un finale imperioso sigla la vittoria e getta nella disperazione il clan naoniano. Un fuoriclasse, uno che tutti gli allenatori vorrebbero avere, uno che antepone gli interessi comuni a quelli personali, uno che entra in punta di piedi ma che non guarda in faccia a nessuno. Mi piace come gioca e mi piace come parla ( non è così comune, purtroppo ): da vero friulano, non spreca una parola e conosce l'onestà nella comunicazione. All'imbeccata 'ti fai sempre trovare pronto dovresti giocare di più' la risposta 'sempre sempre proprio no'. In queste parole è racchiuso il suo credo, fatto di volontà e impegno, e dove il vittimismo e la presunzione non trovano spazio. La nazionale arriverà, prima o poi anche il buon e bravo Ettore dovrà arrendersi all'evidenza: non c'è nessuno in Italia disposto a fare quello che non fanno gli altri come Dada Pascolo.

martedì 24 gennaio 2017

fortuna e audacia

C'è da chiedersi se la fortuna - ed ovviamente il suo contrario - esiste e che rapporto abbia con lo sport. C'è da capire se esiste una componente non programmabile, qualcosa che sfugge al dominio e che non è possibile allenare. Possiamo fare cinquemila tiri al giorno ma non abbiamo la certezza assoluta che il prossimo, magari il decisivo, vada a bersaglio. Allo stesso tempo si dovrebbe dire che i giocatori che spesso risolvono i concitati finali sono i più baciati dalla buona sorte: sappiamo che non è così, ci sono atleti nati per essere freddi e vincenti nei momenti che contano. Gli estremi sono pericolosi: pensare che un tiro esca per ragioni sconosciute conduce al l'assoluzione e alla passività, allo stesso tempo credere che entri esclusivamente per capacità e preparazione esclude la possibilità - inverosimile - che il gioco possa rientrare nel campo della imprevedibilità. Nella mia aggrovigliata vita interiore sono giunto alla conclusione che per quanto la sfortuna non abbia parte in causa, può essere che il suo contrario possa avere dignità di esistenza. Sembra una contraddizione, cerco di spiegarmi: se le cose vanno male non posso e non devo cercare alibi, allo stesso tempo se preparo le cose alla perfezione non è detto che funzionino. Pensare che ci sia un aspetto del gioco che non sia controllabile può avere anche degli effetti sedativi: se la sconfitta arriva all'ultimo secondo da metà campo, sarà certamente dolorosa ma non avrà ripercussioni sui sensi di colpa, se non per quello che si poteva fare prima e meglio. Sono invece sofferente alla cosiddetta dottrina della casualità: non è bene che i ragazzi crescano pensando che gli aspetti accidentali possano avere maggiore peso di ciò che è possibile governare con la propria volontà e determinazione. Rifugiarsi nel facile mondo della superstizione è come fuggire dalle proprie responsabilità, declinare ad altri ciò che è invece di spettanza propria. Non è vero, malgrado le credenze popolari, che i campioni siano stati eletti per volontà divina: ci viene fatto vedere il lato A dei privilegi e benefici, ma il lato B, quello oscuro, non è esente da sacrifici, dolore e lacrime. Non è tutto così già scritto e deciso: i giocatori che credono in se stessi e nella vittoria sono quelli che ribaltano pronostici e guidano le rimonte quando tutto sembra senza speranza. Ecco, ricapitolando: la sfortuna non esiste. La fortuna, come dice Seneca, aiuta gli audaci: presa da sola, come intervento magico, non può funzionare.

sabato 21 gennaio 2017

lascia o raddoppia

La scuola abbandona definitivamente il campo. Getta le armi e alza le braccia in segno di resa. Non è la coda, ma la stessa testa a mandare segnali preoccupanti: il ministero ha deciso che sarà la media e non il profilo a determinare l'ammissione all'esame di stato, la vecchia maturità. In soldoni, basterà prendere 8 in condotta ed educazione fisica - di certo non un'impresa - per compensare i 4 in latino e matematica o viceversa ( cosa meno probabile ma non impossibile ). Viene legittimato il principio per cui se si è asini in una disciplina, non è necessario scervellarsi o darsi da fare, è sufficiente concentrarsi su ciò che riesce o piace di più. Un ulteriore colpo gobbo alla collegialità del corpo insegnante: sarà divertente assistere, durante gli scrutini, ai lanci di accuse e agli sfottò da una parte all'altra del tavolo per capire se si sta parlando davvero della stessa persona. I ragazzi non sono per niente studiosi - a parte alcuni esemplari in via d'estinzione - ma conoscono perfettamente i punti deboli del meccanismo: basta mettere i prof uno contro l'altro per ottenere via libera e ottenere il diploma tanto agognato. Ogni giorno che passa la scuola fa un passo indietro: non è per caso che i ragazzi siano svogliati perché si è smesso di essere esigenti? Questa idea di istruzione facile - più che di buona scuola - non è forse una trappola per favorire la mediocrità e delegare alla giungla del mondo reale la necessità di fare selezione? È certamente un dato reale che il mercato del lavoro sia saturo, ma è altrettanto vero che non esiste - e qui mi permetto di dire, colpevolmente - un percorso formativo qualificato all'altezza dei requisiti richiesti. Tenere un profilo basso significa illudere che il percorso per ottenere una professione sia esente da complicazioni: la scuola, oltre a dare conoscenze, ha come compito principale quello di educare ad essere autonomi, a pretendere da se stessi, a farsi largo non tramite aiuti esterni ma con la forza di volontà e la motivazione. Per esperienza diretta posso dichiarare che i ragazzi oggi pensano che per ottenere un posto di lavoro siano necessarie fortuna e raccomandazione e che all'ultimo posto stiano le capacità personali, la creatività e l' autodeterminazione. Non voglio una scuola che insegni questa bugia, non voglio essere un insegnante gaglioffo: continueranno a detestarmi, pazienza, chiederò sempre il meglio. Cara amata scuola, da che parte stai: lasci o raddoppi?

giovedì 19 gennaio 2017

zoologia cestistica - seconda parte

ZOOLOGIA CESTISTICA - SECONDA PARTE
studio del comportamento degli animali da palestra

Par condicio vuole che tra gli animali da palestra ci siano specie e tipologie diverse anche nella  categoria degli allenatori. L'augurio è che, a cominciare dal sottoscritto, nessuno si offenda e abbia la nobiltà d'animo di stare al gioco. Naturalmente, come per i giocatori, nessuna descrizione sottintende un nome conosciuto ma è frutto esclusivo di goliardica fantasia.

I sergenti di ferro
Sono quelli che non ammettono deroghe e che hanno nel rispetto delle regole il proprio credo. Rocciosi e spigolosi, si fanno rispettare anche attraverso metodi non sempre gentili. I rapporti sono costruiti sulla distanza e nel riconoscimento esclusivo dell'autorità. I giocatori vivono nel terrore, ma la concentrazione alta per evitare figuracce e panchina può portare a risultati insperati. Efficace con alcuni gruppi giovanili di prime donne, molto meno con squadre fatte da giocatori maturi e autonomi.

gli stakanovisti
Sono quelli che odiano Natale di lunedì perché devono rinunciare ad allenarsi. Credono fanaticamente nel lavoro in palestra e abiurano la fortuna. Non esiste casualità né nella vittoria che nella sconfitta. Quando concedono un giorno di riposo, i giocatori si danno pizzicotti per essere certi di essere svegli. Ottima specie per squadre con coefficiente basso di talento, controproducente con giocatori di esperienza e/o di qualità.

Gli scaramantici
Sono quelli che se vincono una partita al supplementare con le mutande a rovescio, sono capaci di indossarle ogni volta con l'etichetta in fuori. Odiano il colore viola a tal punto da costringere eventuali tifosi a tornare a casa a cambiarsi il maglione. Talmente fatalisti da credere che le partite vengano decise più da episodi casuali che dalle prestazioni dei giocatori. Apprezzati da giocatori di alto livello, un po' meno da giovani in formazione.

I morbidosi
Sono quelli che hanno sempre parole delicate nei confronti dei propri giocatori. Non alzano mai la voce, non si arrabbiano, non intervengono quasi mai per correggere gesti tecnici o comportamenti. Sono in assoluto i più amati dalle famiglie visto che i propri figli si divertono senza troppi traumi. Il clima generale è sereno e tranquillo, c'è da valutare quale possa essere il grado di apprendimento. Dispensano sorrisi a destra e a manca, hanno in genere vita lunga e felice.

I perfezionisti
Sono i maniaci dell'esecuzione perfetta. Ore e ore di ripetizioni per affinare i movimenti e di continue correzioni per limare le spigolature. Conoscono il manuale della pallacanestro come le loro tasche e non si fanno mai trovare impreparati. Sono eccezionali con i giocatori in formazione, rischiano di essere pedanti e noiosi con quelli già formati. La vittoria non è il fine, semmai il mezzo. Se viene concesso loro il tempo necessario, possono fare miracoli. Non sono amati dai presidenti ambiziosi.

Gli speculatori
Sono quelli che venderebbero anche la madre per una vittoria. Non importa come e quando, fondamentale è ricevere il referto rosa. Usano i giocatori a loro piacimento e in funzione del risultato. Passano ore e ore in allenamento a ripassare schemi offensivi e difensivi perché nulla deve essere lasciato al caso. Possiedono un campionario impressionante di alchimie tattiche che vengono rifornite regolarmente ad inizio stagione ad ogni giocatore tramite meticolosi e colorati quaderni tecnici. Il detto machiavellico 'il fine giustifica i mezzi' è il pensiero con cui si addormentano e si svegliano ogni giorno.



I mendicanti
Sono quelli più preoccupati dell'arbitraggio che dell'andamento del gioco. Passano più tempo a protestare che a dare istruzioni alla squadra. La filosofia sottesa a questa categoria risponde al seguente motto: prima o poi qualcuno mi ascolterà. E, difatti, a furia di insistere ricevono in genere qualche utile favore in chiave successo. In altri casi, purtroppo, la pazienza infinita degli arbitri si sgretola di fronte alla necessità comprensibile di dare un taglio all'insistenza: ecco che fioccano tecnici ed espulsioni, alibi solidi per cercare colpevolezza altrove.

I predicatori
Sono quelli che si inventano clinic di alta specializzazione quando davanti hanno alunni alle prime armi. Credono fortemente nel potere della parola e dell'ascolto, soprattutto di se stessi. Usano terminologie raffinate e ad alto effetto, ma perdono spesso di vista la capacità di tenuta degli uditori che si tengono in piedi aggrappandosi uno all'altro. Soffrono della sindrome da ultimo quarto, quando le parole sapienti poco possono di fronte all'esaurimento del carburante.

Gli urlatori
Sono quelli che usano la voce per allenare e per spiegarsi. A seconda dei decibel rilevati, i giocatori capiscono al volo se sia il caso di darsi da fare o finalmente alzare le mani dal manubrio. È possibile, passando per gli spogliatoi anche mezz'ora dopo che si siano svuotati, sentire l'eco che rimbalza da un muro all'altro e che non ha ancora finito la corsa. È difficile che i giocatori possano distrarsi ed è possibile che anche il malcapitato innocente possa prendersi delle colpe inesistenti.

PS: in verità, gli allenatori sono un po' tutto questo mescolato con gradazioni diverse. Un po' come la carbonara: c'è chi vuole la pancetta appena scottata e chi bruciata, chi con il grana sopra e chi senza. Per fortuna esiste la diversità: sapessi che noia vedere gli stessi gesti e sentire le stesse parole. L'omologazione non fa parte di questa piccola fetta di mondo.

zoologia cestistica


studio del comportamento degli animali da palestra


Oggi si gioca. E si scherza. Quella di seguito è una nomenclatura di possibili tipologie di giocatore: non c'è una graduatoria di merito, diciamo che si è fortunati quando non c'è uno sbilanciamento ma una giusta ripartizione fra modelli diversi. Lo studio non è scientifico, puramente legato empiricamente ad anni ed anni di osservazione.


I soldatini
Sono quelli sempre pronti ad eseguire gli ordini, senza chiedere spiegazioni e senza risparmio di energie. Sono adorati dagli allenatori, non danno problemi di nessun tipo e hanno un alto coefficiente di affidabilità. L'utilizzo è misurato e in genere speso nella metà campo difensiva quando c'è necessità di limitare qualche stella avversaria. Sono come gli elettrodomestici Rex, poche parole e tanti fatti. Si accontentano di essere utili per la causa, non sono invidiosi e in panchina aspettano senza troppo nervosismo il proprio momento. In attacco non hanno molte responsabilità, ma quando fanno canestro è una festa per tutti.

I chierichetti
Sono quelli che se la fanno addosso prima di entrare in campo. Hanno un basso livello di autostima e si limitano con preoccupazioni e paturnie inutili. La situazione potrebbe aggravarsi se dovessero esistere grandi aspettative nei loro confronti. Hanno bisogno di essere continuamente sostenuti e confortati. In genere il primo tiro è fondamentale per la buona o cattiva prosecuzione del gioco. In difesa hanno gambe molli e tremolanti. Se si accendono, potrebbero dare prestazioni inaspettate.

I faccia di tolla
Sono quelli che rispondono spesso e volentieri all'allenatore e che vengono puniti per incontinenza e mancanza di rispetto. Entrano in campo con atteggiamento sfacciato e non hanno paura di prendersi responsabilità e di metterci la faccia. Spesso giocano i palloni decisivi e nella fase in cui la squadra è in piena bambola la trascinano fuori dalle secche. Alcuni di questi diventano campioni per davvero, perché per sfondare ci vuole anche sfrontatezza e sicurezza nei propri mezzi. Gli allenatori in apparenza hanno verso questi un atteggiamento di insofferenza, in realtà sono felici di averli dalla propria parte.

I samaritani
Sono quelli che mettono la squadra davanti a se stessi. Sono realmente felici anche quando non entrano in campo, la cosa più importante è la vittoria. Usano molta voce e gestualità per aiutare i compagni impegnati e sono orgogliosi di far parte del gruppo. Quando entrano in campo, consapevoli dei propri limiti, restano dentro le righe e svolgono il compitino senza strafare e mettendosi a disposizione. Sono i preferiti dagli allenatori e, in genere, diventano allenatori a loro volta.

I Paperon de Paperoni
Sono quelli che mettono se stessi prima della squadra. È possibile che siano felici quando la squadra perde e tristi quando vince: tutto dipende dalla prestazione personale. Hanno un gioco bulimico, nel senso che ogni pallone che passa fra le mani viene tradotto in conclusione. Sono fissati con le statistiche, in genere prodotte dal clan famigliare e, in qualche caso, anche viziate in positivo. Hanno poco senso di appartenenza e amano stare con la valigia in mano, pronti a saltare su un nuovo carro che finalmente riconosce il talento nascosto. Per gli allenatori rappresentano le cosiddette mine vaganti: possono funzionare in alcuni casi, in altri avere effetto boomerang.



I belli senz'anima
Sono i classici giocatori d'allenamento ma non da gara. Atleti da copertina per capirsi. Ottimi dimostratori ma pessimi agonisti. Vengono ribattezzati, un po' malignamente, come giocatori finti. Quando è il momento di tirare fuori gli attributi, si nascondono dietro la colonna e fanno da osservatori. Purtroppo manca il fuoco sacro, ciò che trasforma un atleta qualsiasi in animale da guerra. Sono quelli che fanno più arrabbiare gli allenatori, che non riescono a capacitarsi della improvvisa metamorfosi da giocatori di prima classe a mezze calzette.

i coccodrilli
Sono quelli che frignano sempre e che trovano colpe e responsabilità esclusivamente al di fuori della propria sfera personale. Di solito nel mirino ci sono gli arbitri, ma ci possono essere altri validi alibi per spendere lacrime: le scelte dell'allenatore, il sole che entra dalle vetrate, il pubblico maleducato, la temperatura fredda ecc ecc. Hanno una gestualità inconfondibile: allargano spesso le braccia, sbuffano come vaporiere, aggrottano le ciglia. Con gli allenatori giusti, possono perfino trovare la spalla sulla quale piangere.

Appendice: le affermazioni contenute nell'articolo sono puramente casuali e non hanno a che fare con persone o fatti realmente esistiti ( giurin giuretto )

venerdì 6 gennaio 2017

l'eterno compiuto

Sono contento per Nicolò Nick Melli. Anzi felice. Uno che ha dovuto cercare fortuna altrove o, a seconda dei punti di vista ( vero ministro? ), un altro che è meglio avere fuori dai piedi. Sportivamente parlando, un bambino che è diventato uomo giorno dopo giorno, senza correre troppo e mai interrompendo la marcia. Sottovalutato in Italia, eroe in Germania. Nella sua barba incolta ( che, mannaggia, di questi tempi va proprio di moda ma ai miei ci scambiavano per terroristi ) c'è racchiusa tutta la vita, non solo cestistica: una faccia pulita da bravo ragazzo che, nel tempo, è diventato il simbolo di una bellissima città incastrata tra la bassa e l'alta Franconia. Credo che a Milano qualche domanda debbano farsela: come è possibile rinunciare ad un giocatore che non solo è un esempio di serietà professionale e di correttezza ma che nel tempo è diventato un top di eurolega? Quale giocatore straniero, nella città della Madonnina, incarna questi valori di appartenenza e attaccamento alla maglia? Ricordo questo ragazzo del '91 a Pordenone alle finali nazionali che giocava già con il gruppo '89 e che dava l'impressione di essere ancora in piena costruzione: diciamocelo, non è mai stato un super crack a livello giovanile, e per questo motivo spesso bollato come tenero e incompiuto. Non ci è sempre possibile conoscere il momento in cui un giocatore arriva a pieno compimento: alcuni accelerano i tempi ( e non è sempre un bene ) altri giungono a maturazione molto più tardi ma con risultati del tutto sorprendenti. Si potrebbe obiettare che Melli a Milano non sarebbe lo stesso di Bamberg: può darsi, visto che anche Simon e Kalnietis non sono gli stessi di Croazia e Lituania ( dannazione! ). Ma ci sono dati di fatto e numeri inconfutabili e, in seconda analisi, non sembra che nella città tedesca giochino dei brocchi visto che a rigor di classifica stanno meglio dei tanto decantati giocatori Olimpia. ( A proposito, citazione per Trinchieri, altro patriota transfugo e vincente ). Perciò, caro Ettore, tu puoi fare quello che vuoi - visto che sei il migliore - ma se fossi in te - e per fortuna non lo sarò mai - lascerei a casa l'eterno infortunato e promuoverei in pianta stabile 'l'eterno incompiuto' ( secondo gli stolti ). Saremo più piccoli di statura, più grandi di cuore.