"Non è il cammino impossibile, ma l'impossibile è cammino"

lunedì 29 luglio 2013

forma o sostanza

Tra i sostenitori dell'indispensabilità dei titoli per esercitare e quelli convinti che sia sufficiente aver dato prova delle proprie abilità, preferisco gli ultimi. Dividere i capaci dagli incapaci in base ad un pezzo di carta o alle stellette é ingiusto e pretenzioso. Non dico che la formazione sia inutile, lontano da me questa bestemmia. Dico solo che non esiste una graduatoria in bravura che abbia come criterio selettivo il raggiungimento dell'agognato pezzo di carta -  in campo sportivo - la fatidica tessera o patentino. Sarebbe come dire che Inzaghi non è in grado di allenare il Milan perché non ancora in possesso dei requisiti formali. Semmai non è in grado di allenarlo perché non ancora pronto. Tra l'essere pronto e conoscere la materia c'è una bella differenza: non è certo il superamento di un esame che decreta la qualità di un tecnico, semmai la capacità effettiva dimostrata sul campo. Ricordo anni fa il polverone sollevato nei confronti dell'approdo di Maifredi alla Juventus: la lobby degli allenatori scatenò una polemica nei suoi confronti, reo di non avere i presupposti necessari ma capace di esprimere un gioco rivoluzionario e frizzante a tal punto da conquistare i favori di Boniperti. In soldoni spiccioli, la forma batte la sostanza. È come dire ad un ragazzo brillante e creativo di aspettare l'esame di stato per scrivere un libro o dipingere un quadro. Quando sento dire che per fare l'allenatore mentale é necessario un laureato in psicologia, mi viene la pelle d'oca: magari uno di quelli che non ha mai praticato sport in vita sua ma che conosce perfettamente cosa succede ad un atleta prima, durante e dopo la gara. Non esiste giudice più imparziale del campo stesso: Ettore Messina non é il migliore perché possiede una tessera ad honorem, casomai possiede quella tessera perché é di fatto il migliore. Chi ha le capacità, non ha bisogno di un titolo per affermarsi; chi non le ha, non ha bisogno di una tessera o un patentino per mascherarsi. Non ho mai posseduto - udite udite - la  qualifica di istruttore minibasket: questo non significa che un diciottenne, regolarmente e formalmente idoneo, sia più preparato del sottoscritto. Posso capire che per esercitare - sic! - siano necessari i requisiti, ma non mi si racconti per cortesia la favoletta dell'orso: la bravura non è virtuale, si misura nella nuda e dura realtà delle nostre sperdute palestre.

giovedì 25 luglio 2013

porte e portoni

La selezione nello sport é da sempre un argomento scottante e di ampia discussione, anche nel nostro piccolo orticello. Esiste davvero un momento, un imbuto, un confine tra il diritto sacrosanto al gioco e la necessità di produrre atleti per la sopravvivenza del gioco stesso? È sempre difficile, se non impossibile, stabilire un'età, un sbarra, oltre la quale lo sport, da puro e sano divertimento, si trasforma in impegno e responsabilità. Trovo un po' assurdo, se non comico, pensare ad un'investitura ufficiale dove le reclute vengono messe al corrente che il tempo del gioco e del sollazzo viene sostituito prontamente da allenamenti sfiancanti. C'è, per fortuna, chi si diverte ancora a quarant'anni e chi, purtroppo, é già stufo a dieci. Non c'é una regola precisa, non esistono linee di demarcazione nette. Non mi è mai piaciuto pensare al mini basket come ad un'isola felice dove i bambini, protetti dagli eccessi dell'agonismo, vivono in uno stato di pace e incolumità  perenni: seppur piccoli, possono già fare esperienza che non tutto nello sport é latte e miele. Ci sono le regole da rispettare, le sconfitte personali e di squadra da metabolizzare, le frustrazioni inevitabili, gli istruttori da sopportare. Allo stesso tempo, non è scritto da nessuna parte che chi ha fatto una scelta di maggior impegno debba smettere di divertirsi e provare piacere: i miglioramenti individuali e le vittorie in genere ripagano con gli interessi tutte le fatiche quotidianamente affrontate. C'è una variabile che gioca un ruolo rilevante: spesso le aspettative e le pressioni degli adulti si intromettono artificiosamente e minacciosamente all'interno del processo naturale evolutivo. I bambini e i ragazzi sono giudici imparziali e sanno valutare se stessi meglio di altri: tutti hanno giustamente diritto a fare sport, ma non è detto quella disciplina o in quella particolare società sportiva. Non tutti sono e diventeranno agonisti: questo non pregiudica minimamente la possibilità di fare pratica motoria. Purtroppo in Italia la separazione fra attività agonistica e amatoriale é vissuta in modo traumatico: se non sei un fenomeno, se non hai talento, é meglio lasciar perdere. Non c'è niente di più sbagliato: esistono migliaia di modi per tenersi in forma e per provare soddisfazione nel fare movimento. L'idealizzazione del campione ricco e famoso ci ha portato in un vicolo cieco: o si fa agonismo o non si fa niente, con i risultati che tutti abbiamo sotto gli occhi. A quel bambino o a quel ragazzo, ingiustamente scartati, direi di non disperarsi più di tanto: ci sono mille altri modi per divertirsi. Si chiude una porta, si spalanca un portone. Ad esempio, Se Hakeem Olajuwon non avesse abbandonato il calcio, non sarebbe diventato uno dei pivot più forti di sempre.

lunedì 22 luglio 2013

gratitudine


" personalmente dedico questa vittoria
  ed un pensiero
  agli allenatori italiani delle giovanili
  che ormai lavorano rimettendoci
  e che hanno costruito questi ragazzi "

Pino Sacripanti - coach nazionale under 20

domenica 21 luglio 2013

vivi e vegeti


Si potrebbe titolare così: quando meno te l'aspetti. Oppure: gli azzurri son tornati. Ancora: la vittoria del cuore e del coraggio. Io preferisco questo, forse più banale e scontato, ma di certo più significativo: non sprechiamo questo oro! Mentre il campionato italiano perde pezzi di valore giorno dopo giorno con il conseguente allontanamento graduale e inevitabile dei club piú titolati dai piani alti del vecchio continente,  dodici ragazzi salgono sul trono europeo e lanciano un urlo contro la depressione e la lamentatio perpetua ed estenuante. Questo senso di inferiorità che sembrava attanagliarci e relegarci ai margini del basket che conta, d'un tratto svanisce nei sorrisi e nei pianti di una pattuglia che oltre a sfidare il pronostico, é riuscita a zittire un palazzo gremito di tifosi avversari, tra l'altro sportivissimo e competente. È il giusto tributo al lavoro sapiente e silenzioso degli allenatori che hanno plasmato questi giocatori: hanno insegnato tecnica e fondamentali, ma anche altre virtù senza le quali non è possibile arrivare in alto. È il giusto tributo ad un allenatore che, smesso i panni di una stagione durissima e stressante come la serie A italiana, si è calato nell'avventura della nazionale giovanile: Sacripanti é davvero il valore aggiunto di questa squadra. Ed é anche il giusto tributo a quelle società che hanno avuto il coraggio, o la necessità, di mettere alla prova i giovani di belle speranze: se c'è un motivo per cui essere felici della crisi incombente, lo abbiamo trovato in queste scelte, spesso spericolate, ma estremamente produttive. Landi e Imbró hanno avuto minutaggi importanti in A: sebbene il pubblico colto ed esigente di Bologna non fosse molto contento dei risultati della squadra, questi due promettenti giocatori hanno potuto maturare esperienze importanti ad alto livello. Come non ricordare i nostri talenti regionali, Ruzzier e Tonut, pedine fondamentali in lega due a Trieste. La scelta di maturare negli states di Della Valle si é dimostrata quanto mai azzeccata: chi avesse dubbi sull'amor patrio di chi emigra all'estero, é stato servito. Questo trionfo europeo ci insegna che la strada intrapresa é quella giusta: i budget si riducono? Occasione buona per lanciare subito in prima squadra i giovani che meritano di giocare: del resto, non è niente altro che quello che fanno da sempre gli altri Paesi in Europa. Non buttiamo questo oro giù per il water. Sarebbe un crimine imperdonabile. Cogliamo il messaggio che questi ragazzi ci hanno trasmesso in campo e sul podio: siamo vivi, siamo pronti, siamo senza paura, metteteci alla prova, non resterete delusi! E, soprattutto, proprio ora, noi non possiamo dimenticare: Mario Delle Cave, questa medaglia é anche tua!

lunedì 15 luglio 2013

in carrozza


Sono preoccupato di non esserlo. In epoche diverse, con entusiasmo e testosterone ai massimi livelli, avrei di sicuro contaminato persone e cose nel raggio di qualche chilometro. Sarà l'avanzamento di età, che qualche amico sgarbato non accenna a nascondere, oppure l'abitudine al peggio, forse la malattia più insidiosa e devastante di questi tempi sbandati. Lo scandalo diventa normalità e la normalità diventa scandalo: ce ne frega qualcosa se Galliani fa il bagno con la pancia verso l'alto? Eppure, é di sicuro più importante di un ragazzo qualunque che si schianta su un platano. Perciò sono stupito di non essere agitato se mi trovo fermo al palo. Non è normale che un allenatore non sia in palestra: come diceva qualcuno, siamo fatti per usare la voce, non la penna. Ho amato davvero questa città e questo lavoro per molti anni tant'è che mi ritrovo con un cuore mangiato ( cit. ) e con una sacca piena di bellissimi e indimenticabili souvenir. Nel bilancio consuntivo, ci sono molte voci in rosso, ma anche grandi e indimenticabili soddisfazioni: chi fa questo mestiere sa che il nostro vero compito non è vincere, ma far vincere. E non esiste vittoria più importante se non quella di aiutare un bambino a diventare un uomo. Da sognatore, pensavo con presunzione di avere il potere di trasformare le cose: in realtà, le cose si trasformano da sole, noi siamo solamente viaggiatori davanti ad un finestrino. Non abbiamo meriti nei successi, nemmeno colpe nei fallimenti. Nell'impotenza c'é delusione, ma anche libertá e consolazione. Le strade si dividono, non è la prima volta, forse nemmeno l'ultima. C'è sempre tempo e modo per tornare. Partire é un pó morire, dice una canzone popolare: speriamo non sia così, cominciano a farmi impressione queste parole. Nel frattempo ho rifatto la valigia: non si sa mai, forse il treno da qualche parte si fermerà. Altrimenti, mi godrò il paesaggio.

domenica 7 luglio 2013

full time full power?



L'ingaggio full time di Simone Pianigiani da parte della federazione vale almeno qualche breve riflessione. La qualità non è in discussione: non c'è al momento miglior allenatore in Italia per condurre la nazionale verso un pronto riscatto dopo alcuni anni di magra. Ciò che lascia parzialmente perplessi é la tipologia del contratto: a tempo pieno, appunto, con costi considerevoli e, soprattutto, nella direzione di un maggiore accentramento decisionale e operativo. Non passa giorno che il necrologio cestistico non annoveri qualche decesso da parte di società - alcune con blasonato trascorso - o rinunce ai campionati di pertinenza. I costi elevati di iscrizione, tasse gara, trasferte, ingaggi e premi di reclutamento e formazione stanno facendo strage anche presso realtà dove la pallacanestro ha avuto grande impatto e tradizione. È proprio necessario e conveniente, in questa fase di forte recessione, compiere uno sforzo finanziario considerevole come quello proposto al nostro commissario tecnico? Attenzione: non mi soffermo sui meriti - sui quali ho pochi dubbi - ma sull'opportunitá dell'operazione. Ci sono molti allenatori, bravi e affermati, che faticano a lavorare o che si devono accontentare di poche briciole: anche questi meriterebbero maggiore rispetto. Un conto se é un club a decidere l'entitá di un contratto, un altro é la federazione, alle cui spese contribuiscono tutte le società d'Italia, compresa la più piccola e sconosciuta. Non trovo molto congruente vedere l'allenatore della nazionale con un contratto principesco mentre molte società spariscono dalla geografia del basket. Un altro aspetto problematico, forse più importante, é relativo all'accentramento delle funzioni. Avere un allenatore a tempo pieno significa da una parte poter seguire con maggiore attenzione ed efficacia il movimento e il progetto nazionali, comprese le giovanili; dall'altra, però, sebbene non manchino collaboratori ed assistenti, é inevitabile una riduzione nella partecipazione alle scelte strategiche da parte di tutte le componenti in gioco, principalmente delle realtà di base. Potrei sbagliare, ma mettere troppi poteri nelle stesse mani può dare come esito un allontanamento da quello che è il mondo della pallacanestro reale. Anzi, visto che ormai il contratto é firmato, sarei davvero felice di essere smentito.