"Non è il cammino impossibile, ma l'impossibile è cammino"

sabato 22 agosto 2020

se fossi interista

 Se fossi interista, sarei felice se Antonio Conte se ne andasse. Un allenatore così impaziente, così avido di vittorie, può essere solo dannoso per una società che deve crescere un pezzo alla volta. Vice campioni d’Italia e in finale in Europa: dove è la tragedia? Cosa dovrebbero dire in Inghilterra, sponda City o United non fa molta differenza, dopo gli ingenti investimenti fatti? Nel calcio attuale, come in tutti gli sport del resto, vincere diventa ogni giorno un’impresa sempre più ardua: molti investono, tanti ambiscono, quasi tutti con pari possibilità. Quale è la linea sottile, il filo che separa successo o fallimento? Un autogol, un rigore non dato, un salvataggio, una parata fenomenale? Non sarà una campagna acquisti onerosa a dare certezza sugli esiti delle stagioni: una sola alza la coppa o si cuce il tricolore e a determinarlo concorrono vari fattori, primo fra tutti la pari determinazione fra i componenti del gruppo, ma anche la buona sorte ha il suo peso. Se fossi interista, sarei contento dell’esito di questa stagione. Se Antonio Conte non lo fosse, meglio che se ne vada. La costruzione di una squadra non segue una linea dritta, subisce alti e bassi come normalmente accade a tutti, grandi club compresi. Il Milan che ha vinto tutto in Europa non è stato costruito in un giorno: dopo qualche mese, il buon Sacchi era già in odore di esonero. La Juve, retrocessa in B, prima di tornare a dominare, e Conte lo sa bene, dovette fare gavetta. Ci vuole tempo per vincere, ma il nostro eroe sembra non averne. Se fossi interista, invece, avrei pazienza. Un passo alla volta. Consapevole che ciò che è fatto diventa acquisito. Che dopo una finale persa è ingiusto e crudele pensare che rimanga il nulla. Se fossi interista, e purtroppo o per fortuna non lo sono, mi accontenterei.