"Non è il cammino impossibile, ma l'impossibile è cammino"

sabato 18 luglio 2015

allarme azzurro

Inevitabile riflessione sugli europei under 20. Se non altro per la vicinanza. Ha ragione Sacripanti a sentirsi soddisfatto della propria squadra: se non avessimo fatto un vero e proprio miracolo con i francesi, saremmo qui a discutere di una probabile retrocessione, cosa peraltro capitata a vittime illustri, vedi Russia Croazia, Grecia. Gli azzurri  non potevano onestamente dare di più: costretti a giocare sempre al limite, hanno pagato dazio quando le forze, soprattutto mentali, hanno lasciato il posto all'inevitabile crack nervoso. Un gruppo di qualità mediocre con alcune punte dimostratesi carenti in leadership: inoltre, sono davvero tantissimi anni che, a livello giovanile, non si riesce a produrre - senza offesa per gli attuali e volenterosi esponenti - un giocatore interno di valore internazionale del livello, che so, di Marconato o Chiacig, solo per citarne alcuni. Le prime quattro posizioni sono occupate, guarda caso, dalle nazionali con i centri di maggior interesse e prospettiva. Fatta l'analisi, serve una diagnosi. Non credo ci faccia bene continuare ad insabbiare la testa con discorsi puerili paragonabili ai vini d'annata: non ci sono anni buoni e meno buoni, é da un po'  di tempo che gli staff della nazionale, tra i migliori al mondo, sono costretti a fare nozze con i fichi secchi. La verità, come è già stata rivelata da più parti, é che il movimento cestistico nazionale non è più in grado di creare giocatori di alto livello. Qui capiamoci subito: non sono gli allenatori bravi a mancare, semmai programmazioni mirate alla costruzione di giocatori di qualità. Ad eccezione di alcune isole felici, si va perpetuando in Italia, con risultati a lungo termine deleteri, una pericolosa enfatizzazione del risultato di squadra a discapito, spesso e volentieri, della promozione e sviluppo dei singoli talenti. Esempio lampante: per vincere, soprattutto in età precoce, é quasi sempre sconveniente utilizzare i giocatori più alti, rei di non possedere doti di coordinazione e rapidità. A lungo andare, questa operazione, consapevole o meno, ritarda i tempi di maturazione con la possibilità concreta, purtroppo già verificatasi, che alcuni non giungano mai alla definitiva consacrazione agonistica. Il centro titolare di questa nazionale proviene dai college dove, guarda caso, si lavora in modo continuo e sistematico sul miglioramento tecnico e fisico del giocatore. Si fa presto a dire " bisogna farli giocare ": non c'è nessun allenatore così stupido al mondo che lasci in panchina chi merita di stare in campo. Purtroppo, molti dei nostri giovani più interessanti, quando arriva il momento, faticano a diventare adulti, non solo in chiave sportiva. La formazione tecnica non deve mai essere solo in funzione della competizione agonistica - concetto che può valere in prima squadra per intenderci -: semmai é la competizione agonistica che deve essere in funzione della crescita di ogni singolo giocatore. Ecco perché rimango dell'idea, sulla falsariga dei college, che sia necessario un campionato per l'età cosiddetta del passaggio, non di certo giovanile come l'under 20 dove in genere i talenti migliori non giocano per ovvi motivi, permettendo ai grandi club di iscrivere una seconda squadra nei campionati minori. É allarme rosso e chi vuol bene alla pallacanestro italiana deve smetterla di far finta di nulla. Una chiamata alle armi che non prevede disertori: giocatori come Gallinari e Bargnani in giro non se ne vedono, perciò o ci accontentiamo del risultato, speriamo positivo ai prossimi europei, coprendo le pagine ed i video di vanagloria oppure ci diamo da fare perché come dicono molti - e non è retorica - la nazionale é un bene di tutti.

mercoledì 15 luglio 2015

irrilevante ai fini del risultato

Quella di Berruto - spedire a casa i giocatori della nazionale rientrati oltre l'ora stabilita - è stata una mossa sconveniente e impopolare. Sconveniente perché in queste cose, visto il valore degli atleti e di questi tempi poi, quasi sempre é il correttore a rimetterci le penne. Inoltre, per chi prende le decisioni in alto, é più facile trovare un allenatore che quattro buoni giocatori. Impopolare, perché una bravata a Rio viene contemplata dai più come fatto logico e inevitabile: si può rimanere impassibili di fronte al fascino di una città così ricca di suadenti distrazioni? Invero, il coach della nazionale di pallavolo ha fatto quello che altri, nei secoli dei secoli, non hanno avuto il coraggio di fare. Tutti conosciamo svariati aneddoti su giocatori delle nostre nazionali, famosi e non, pizzicati in atteggiamenti non certo professionali: leggende più o meno metropolitane che hanno fatto il giro della penisola e che sono rimaste sepolte grazie anche all'omertà - forse espressione troppo forte? - diciamo all'opportunismo di non voler rinunciare ai pezzi più pregiati della scacchiera. In molti hanno fatto finta di non vedere stabilendo una conseguente scala di valori dove il risultato ha priorità assoluta su qualsiasi altro aspetto. La nazionale é solo la punta dell'iceberg - e quindi ad esposizione massima - di quello che sta diventando un malcostume diffuso: concedere deroghe e privilegi a giocatori ritenuti indispensabili per vincere. L'aspetto educativo ha lasciato il posto a quello prestazionale: le regole non valgono per tutti, o almeno valgono fino a quando é possibile evitare la sconfitta. Ecco perché sto con Berruto: perché abbiamo bisogno di gesti forti ed esemplari, perché guardando la nazionale - il livello agonistico e dimostrativo più alto - tutti possano riconoscere reciprocità, correttezza, onestá. Perché chi va in nazionale deve sapere che la prima forma di rispetto é dovuta alle decine di giocatori rimasti a casa che avrebbero fatto carte false per salire sul carro. Per una volta, il coach ha dato più importanza alle regole comuni, sbattendosene delle conseguenze sul campo. Perderà, oggi, probabilmente. Ma per me, almeno, ha già vinto, ancor prima di cominciare a giocare. Irrilevante ai fini del risultato.