"Non è il cammino impossibile, ma l'impossibile è cammino"

domenica 24 aprile 2016

misura extra large

É quasi certo che qualcuno sobbalzerà, ma pazienza. Quando si dicono le cose in faccia, non si può piacere a tutti. A volte non piaccio nemmeno a me stesso, figurarsi fuori. Ciò che mi stupisce, ultimamente, é la perdita del senso della misura. Gli strumenti tecnologici ultra moderni hanno contribuito, anche se in parte, alla deformazione del reale. In parte, perché, essendo inermi, possono funzionare solo attraverso l'intenzione umana. Mi riferisco, in particolare, al concetto di impresa sportiva. Pietro Mennea ha compiuto una vera e propria impresa alle olimpiadi di Mosca; lo stesso si può dire di Panatta Bertolucci e Barazzutti che vinsero l'unica coppa Davis per l'Italia. Il Leicester di Ranieri sta per vincere la premier league - speriamo di non fare i menagramo - cosa successa in passato solo in rare occasioni, come il Cagliari di Gigi Riva o il Verona di Bagnoli nel campionato nazionale. Un'impresa sportiva é determinata da alcuni fattori indiscutibili: la collocazione, innanzitutto, dell'evento, che non può che essere internazionale o, quantomeno, nazionale. Vincere in ambito locale può portare soddisfazione, ma non può essere considerato un fatto di particolare importanza, a meno che lo si carichi di significati di per sé inesistenti. Secondo, ci deve essere sproporzione fra il valore di partenza di un gruppo o di un atleta e quello di arrivo: non c'è nulla di speciale se gli All Blacks dovessero vincere il titolo mondiale nel rugby.  Se invece il titolo lo dovesse vincere l'Italia, con tutto il rispetto che si possa avere per la squadra, sarebbe un fatto inaspettato, perciò di valenza eroica. La cosa sorprendente, e per certi versi preoccupante, alla quale assistiamo oggi, é la gonfiatura di azioni che di per sé non hanno nulla di straordinario. Ciò che é irrilevante sta diventando fatto di cronaca con conseguenze, a mio modo di vedere, nefaste, soprattutto per quanto riguarda i giovani atleti. Non é salutare, ai fini della formazione sportiva, far passare il concetto che ciò che é normale può essere eccezionale: i ragazzi devono impegnarsi con l'idea di migliorare e i campionati hanno senso solo in funzione di questo obiettivo. Perciò chiamale emozioni, se vuoi, ma non imprese. Tempo al tempo.

martedì 12 aprile 2016

miopia egocentrica

Vorrei poter dire - con necessaria delicatezza - ai giovani allenatori che si occupano di atleti in formazione, che non saranno giudicati dalle vittorie o dai trofei conquistati. Non è paternalismo, é pura constatazione. Le vittorie spariscono, i giocatori restano. Non sono i giocatori al servizio dell'allenatore, semmai il contrario. L'allenatore é un missionario, non un colonizzatore. I missionari, se onesti, sono sfruttati, i colonizzatori sfruttano. Traduzione: quando un giocatore, acerbo ma con prospettive, fa troppa panca, mentre un altro, pronto ma con ridotti margini, fa troppo campo, qualcosa non funziona. Si crea un forte squilibrio fra presente e futuro, tra il tutto e subito e quello che ancora non c'è, se non in potenziale. Se non abbiamo grande ricambio generazionale in Italia lo si deve - tra migliaia di motivi - anche a questa miopia egocentrica. Ci sono giocatori e giocatrici che a quattordici anni sembrano dei fenomeni ed altri/e che faticano ad entrare nel vivo del gioco: purtroppo, o per fortuna - a seconda di come la si voglia vedere - i conti veri si fanno più tardi, a fine ciclo formativo. Perciò, corre l'obbligo di orientare i più precoci a non accontentarsi - forse il compito più difficile - e quelli più tardivi a non rassegnarsi perché il tempo sarà amico. Se i cosiddetti 'pronti' si prendono tutta la scena, avremo vittorie e trofei, ma non giocatori. Il mio personale punto di osservazione dice che solo una minima parte dei giocatori capaci in tenera età diventano decisivi da adulti. Perciò: perché si continua a speculare sui giovani? E soprattutto: perché si é smesso di fare vero reclutamento, considerando erroneamente che il minibasket possa rappresentare l'unico bacino da cui pescare futuri talenti? É difficile, se non impossibile, trovare un allenatore disposto ad una semina senza raccolto: tutti vogliono prendersi i frutti, prima che lo facciano altri. Basterebbe iniziare a smetterla nel dare meriti solo a chi ottiene risultati, tralasciando o addirittura cancellando i percorsi che hanno preceduto o che seguiranno: il miracolo sta proprio nel considerare la costruzione di un giocatore - una vera e propria opera d'arte - come un'impresa a più mani, dove l'impronta di ciascuno determina un valore aggiunto. É la gelosia, in fondo, che rovina tutto: la smania di tenersi tutto per se. Dare un pezzo della propria vita a degli atleti in formazione di cui non si conoscerà la destinazione finale é il più grande regalo che si possa fare, prima di tutto, a se stessi. Dunque, se vogliamo essere egoisti, proviamo ad essere altruisti: servire gli altri senza servirsi degli altri.

giovedì 7 aprile 2016

Addestramento alla rabbia

Prima di rovesciare l'istintiva e infermabile sete di vendetta. Prima di inasprire le leggi. Prima di cercare i colpevoli per una condanna esemplare. Prima di fare commenti privi di senso dettati da cieca impulsività. La domanda é: da dove viene tutta questa rabbia? Se non abbiamo la risposta, non illudiamoci di trovare la soluzione. Perché la soluzione dei problemi sta sempre a valle, mai in cima. Non sono un eroe - di solito gli eroi non scrivono, vengono decantati - però ogni giorno mi trovo, un po' per scelta un po' per necessità, assieme a molti altri, ad affrontare la rabbia. Con risultati spesso, se non sempre, mediocri. Il meccanismo di difesa messo in atto da quasi tutti é quello di mantenere il controllo, rispettare le distanze, salvaguardare salute e clima generale. É un metodo onesto, che dà risultati efficaci sull'immediato, insufficienti sul lungo periodo. I ragazzi transitano, ma non riusciamo a scalfire la corazza che li protegge. Una corazza emotiva, che sembra inerme, ma che esplode inaspettatamente con conseguenze a volte devastanti. Se dovessi usare un gergo calcistico tanto caro ai nostalgici, stiamo facendo melina, sperando prima o poi di trovare un varco dove infilare un colpo vincente. Proprio domani ricorre l'anniversario di un nostro alunno che non ce l'ha fatta a resistere, aveva quattordici anni. Gesti estremi, come estrema é la voglia di sopraffazione, la tentazione che la legge della giungla prevalga sul rispetto e il buon senso. L'uomo non nasce cattivo: la crudeltà non è nei cromosomi. La qualità delle relazioni stabilisce la differenza tra un uomo in pace con se stesso o in guerra con il mondo. Gli adulti devono interrogarsi: e per adulti non intendo solo i genitori, ma l'intera comunità civile che dovrebbe prendersi a cuore la continuità non solo biologica della specie. Smettiamola di dispensare colpe e sanzioni, proviamo tutti quanti a rimboccarci le maniche e riprendere il filo del discorso: con fatica, perché il conflitto é duro da reggere, ma é nel silenzio e nell'incomunicabilità che cresce il livore. Questa rabbia ha bisogno di uscire, di disperdersi in mille rivoli innocui. Non è il momento di chiamarsi fuori. Nemmeno di sragionare. É il momento di stare sul pezzo. Chiamasi addestramento alla rabbia.