"Non è il cammino impossibile, ma l'impossibile è cammino"

venerdì 21 giugno 2013

basket pulito


Non entro in merito al risultato tecnico: deontologia e ortodossia professionale non  permettono di pensare che il titolo di Siena non sia meritato. Siamo giustamente cresciuti nella sana convinzione che non esista verità più assoluta dei numeri che appaiono sul tabellone elettronico. Ciò che sconcerta invece, e in parte offende, è successo fuori dal campo. Lancio di oggetti, agenti in stato di guerra, giocatori minacciati, arbitri colpiti. Non è questa la pallacanestro che amiamo e che vogliamo. Il fanatismo bellico tipico degli ultras da stadio dovrebbe rimanere fuori da tutti i palazzetti. Vero é che spesso il pubblico diventa il braccio armato di menti che, inconsciamente o meno, favoriscono e a volte accentuano un clima pesante e sospettoso. Certamente la squalifica prima comminata e poi ritirata di due giocatori senesi non va nella direzione della trasparenza e risolutezza nelle decisioni. Così come alcune dichiarazioni infuocate di dirigenti e presidenti non aiutano di certo a spegnere gli animi bollenti. Ci vorrebbe maggiore moderazione sia nelle scelte che nelle affermazioni: ciò che si dice e si fa, soprattutto a certi livelli di responsabilità, non può non avere conseguenze. Le parole e i gesti vanno pesati, in particolar modo quando in gioco c'è qualcosa di importante, come uno scudetto. Pensare che Siena potesse godere di qualche appoggio nei piani alti ha prodotto, in realtà, un effetto boomerang: i detentori hanno tratto maggiore vigore, gli sfidanti si sono sbrodolati negli alibi. Certamente, quello che succede in Grecia nelle finali scudetto non è nemmeno paragonabile ad alcuni episodi, fortunatamente isolati, di casa nostra. Ma non è consolante: il nostro campionato, già afflitto dal contenimento dei costi e dal conseguente impoverimento tecnico, non può perdere ulteriore appeal nei confronti dello spettatore vero, quello che si reca al palazzo per vedere la propria squadra vincere ma anche per godersi lo spettacolo. Il nostro magnifico sport, per sopravvivere, ha bisogno che i bambini/e riempiano le tribune e che possano innamorarsi dei loro eroi/eroine. Noi abbiamo avuto la fortuna di vedere in città, da piccoli, giocatori come Fultz, Masini, Lister: é ancora da quella volta che ci dobbiamo riprendere dalla cotta.

martedì 11 giugno 2013

cose nostre



Mi ero ripromesso di smettere, ma la tentazione è superiore alla prudenza. Trattare le faccende di casa è sempre pericoloso: stare sul palco e recitare dal vivo non è più comodo di stare in platea a guardare ed applaudire. Perciò, spostando il cannocchiale verso il basso, non posso dire di essere soddisfatto del panorama che mi circonda. Questa mania di ricorrere agli allenatori fuori porta non mi convince: non certo e non tanto per invidia – panchina che scotta! – quanto per sano ma incontrollabile orgoglio. Davvero questa città non è in grado di avere un condottiero locale? Se Pianigiani da buon senese ha vinto un’enormità di scudetti da profeta in patria, com’è che non riusciamo qui da noi a fare la stessa cosa? Di sicuro non tutti nascono Pianigiani; di sicuro, qui in città, non si disputa la A1. E’ proprio necessario un allenatore professionista? In realtà, se fossi nei ragazzi locali, visti i chiari di luna, penserei principalmente a studiare o a trovarmi un’occupazione. Non siamo ai tempi di Lombardi e Pellanera, al classico anno zero: quei due hanno portato una mentalità nuova, un diverso approccio all’insegnamento. Da quel laboratorio tecnico, oltre a tanti buoni giocatori, sono usciti svariati allenatori che hanno fatto fortuna in città e altrove. Non ho nulla con gli allenatori che vengono da fuori, ci mancherebbe, ma oggi ci sarebbero le potenzialità per arrangiarci artigianalmente. Del resto, basta guardare alle realtà confinanti per percepire una maggiore fiducia nel prodotto locale. Non conosco il nuovo allenatore e non mi permetto di esprimere giudizi. Naturalmente è il benvenuto. Mi permetto invece di chiedere due cortesie. La prima, non si dimentichi mai di chi l’ha preceduto. Troppo spesso, chi arriva per ultimo, si prende dei meriti che andrebbero quantomeno spartiti. Lo stesso concetto può valere anche per le colpe. La seconda, se sono vere le prime dichiarazioni di amore verso i giovani, li faccia giocare e se ne freghi delle sconfitte e delle critiche: il lavoro che è stato fatto in questi anni non deve essere vanificato. Meglio, a parer mio, una retrocessione che porta sviluppo piuttosto che una salvezza o una promozione che danno disfacimento. Ora basta. Sapevo che mi avrebbe preso la mano. Prometto che non parlerò più di cose nostre per un bel pezzo. Mi risulta, oltretutto, che non manchino le opinioni. La mia, in fondo, conta poco; o meglio, conta solo per me.

lunedì 10 giugno 2013

senza paragone


È un gioco divertente ed innocuo. Paragonare giocatori di ere diverse ha tolto qualche ora di sonno ad addetti ai lavori e semplici appassionati. In questa amena contesa dialettica, non ci sono né vinti né vincitori. Tutti hanno in testa i loro idoli e nessuno é disposto a fare spazio ad altri nella hit parade della pallacanestro mondiale. Francamente, si tratta di un esercizio inutile: ogni giocatore è figlio del suo tempo, perció non comparabile fra epoche distinte. Non si possono confrontare Adriano Panatta e Rafael Nadal, entrambi vincitori del Roland Garros: altro tennis, altra velocità della palla, altri spostamenti. Panatta giocava quasi sempre a rete, Nadal gioca esclusivamente da fondo campo. Se mi è permessa una licenza da emerito ignorante in materia, preferivo il tennis del romano de Roma: meno scontato e noioso, più spettacolare e fantasioso. Se Adriano non avesse avuto quell'aria pigra e disinvolta, avrebbe vinto molto di più. Di Nadal mi piace la mentalità e l'indole alla sopportazione: una macchina costruita per fermarsi solo dopo la vittoria. Vale lo stesso nel basket: non si possono mettere insieme Michael Jordan e Le Bron James, oppure Larry Bird e Kobe Bryant. Tutti a modo loro sono stati dominanti, ma ciascuno é notevolmente diverso dagli altri per gestualità tecnica, capacità tattica, qualità atletiche. Personalmente, e non l'ho mai nascosto, ho un certo debole per i giocatori che usano la tecnica come arma principale. In questo senso, Kevin Durant mi sembra un alieno in un regno ormai dominato dalla potenza e dall'esasperazione fisico-atletica. Sono preferenze soggettive che lasciano il tempo che trovano: non sarà mai possibile far giocare insieme campioni di diversa generazione, se non nella nostra immaginazione o nelle competizioni virtuali. Una cosa é certa: abbiamo tutti in mente il dream team delle Olimpiadi di Barcellona. Non c'è mai stata una squadra di pallacanestro con più alta concentrazione di fenomeni. Nella Croazia che vinse la medaglia d'argento c'era un certo Drazen Petrovic che, a detta di molti, e anche mia, é stato il giocatore più forte che il nostro continente abbia mai creato. Sono vent'anni che non c'è più e che ci manca: meritó il rispetto degli americani in un'epoca in cui gli europei si contavano sulle dita. Chissà cosa avrebbe fatto Belinelli se fosse andato oltre oceano a quei tempi: non lo sapremo mai. Forse, chiederselo, è persino sciocco.

lunedì 3 giugno 2013

nuove da udine


Prescindendo dall'ottima e ormai collaudata organizzazione della Micalich band - impeccabili, come sempre - aggiungo sottovoce alcune riflessioni sul campionato giovanile più importante in Italia. Non tutti i giocatori più interessanti della nazione erano presenti a Udine: ciò non toglie che le sedici squadre che si sono date battaglia siano l'espressione più alta e veritiera della pallacanestro attuale. I punteggi mediamente bassi sono indice di un livellamento generale del talento offensivo ma anche di un accresciuto tono difensivo dovuto essenzialmente alle qualità fisico-atletiche dei giocatori. Non si può praticare questa disciplina se non si è, prima di tutto, buoni atleti. L'arbitraggio, a questo punto, ha una grande responsabilità: può decidere di assecondare questo nuovo corso, riducendo la fiscalità sugli inevitabili contatti, oppure intervenire spezzando il gioco e riportando l'aggressivitá difensiva alla normalità. Non è facile per un esterno entrare in area senza riportare danni: andando di questo passo, l'evoluzione naturale del gioco sarà un allontanamento verso il perimetro con utilizzo abnorme di tiro oltre l'arco. Nel pitturato entreranno solo i cloni di LBJ, ossia macchine da guerra umane capaci di resistere ai feroci tentativi di proteggere il ferro. Le due squadre meritatamente finaliste sono le uniche a possedere giocatori di sicuro avvenire a livello nazionale e oltre. Che il talento sia concentrato nelle mani di pochi club evidenzia due fattori, tra l'altro complementari: sono sempre meno le società che investono sui giovani e sono sempre meno i giovani interessanti in Italia. Non è il caso di fare confronti storici, ma non molto tempo indietro ci sarebbero state almeno altre sei sette squadre come Bologna e Venezia. Quello di quest anno é stato forse il primo campionato in cui si conoscevano le finaliste prima ancora di vedere tutte le squadre all'opera. A Lignano, giusto cinque anni orsono, Gallinari e Aradori, non due qualunque, uscirono ai quarti di finale con Casalpusterlengo. In questo contesto di austerity, non si è vista nemmeno l'ombra di una squadra regionale. Come dire, c'é chi  sta ancora peggio. Pordenone ha avuto almeno il merito di provarci: possibile che non si riesca a creare un gruppo, non importa dove, che riesca a rappresentare la  scuola  friulvenetogiuliana in Italia? Altrimenti ci dobbiamo accontentare di vedere i nostri talenti giocare altrove: Candussi, Turel, Maghet, Alibegovic, Di Prampero, per dirne alcuni. A pensarci bene, non sarebbe un brutto quintetto.