"Non è il cammino impossibile, ma l'impossibile è cammino"

giovedì 30 agosto 2012

bravo comunque


Guidolin è un bravo allenatore. Soprattutto un uomo vero. Nella consumazione del dramma non ha accampato scuse, non ha cercato alibi. Il giorno peggiore della carriera si è trasformato in un atto di accusa a se stesso. In questi casi il copione salvavita è in genere lo stesso: squadra giovane, senza esperienza internazionale, rifatta quasi interamente, partenze non sostituibili, malasorte ed altro ancora. Con lucidità e franchezza ha riconosciuto i meriti dell'avversario e dopo un rigore sciagurato si é preso totalmente la responsabilità della sconfitta. Un uomo che da sempre si imbarazza davanti alla telecamera, strumento di tortura moderno purtroppo inevitabile. Insofferente e sofferente, in questi giorni ha varcato definitivamente la soglia del dolore. Le sconfitte, per gli allenatori, sono piccoli sorsi di veleno ai quali apparentemente è possibile abituarsi ma dove l'anima, pian piano, si appassisce. Capisco la sua voglia di chiudere, di andarsene a casa: lo sport è crudele, non fa prigionieri. C'è un lato dello sport che fa male. A giugno voleva mollare: l'affetto della gente e il masochismo tipico della categoria hanno rimandato tutto. Il tarlo resta dentro: nemico invisibile, rode nel silenzio e riappare quando il mondo crolla. A volte bisogna fermarsi: mentre il circo danza, occorre pensare a se stessi prima che sia troppo tardi. Non c'è nulla di male ad arrendersi se prima si è lottato con ogni forza. Non si affronta un esercito da soli. Cos'è che uccide lo sport? La necessità di valere. L' uomo libero è colui che non deve dimostrare nulla.

sabato 25 agosto 2012

buon mattino

È ancora presto per pensare che l'Italia del basket si trovi fuori dalle secche degli ultimi anni e che possa aver intrapreso un percorso di lenta ma progressiva guarigione. Le contendenti non autorizzano facili trionfalismi: a parte la Turchia - che non schiera gli americani - non esistono nazionali in grado, per tradizione e talento, di impensierire gli azzurri. Pagato il debito con l'onestà, non si possono però nascondere meriti e cambiamenti sostanziali. Il primo aspetto che salta all'occhio è l'atteggiamento giusto con il quale affrontare le gare: umiltà, massima concentrazione, solidità. Virtù essenziali se si vuole fare strada in assenza di grande talento. Una squadra operaia, dove tutti sono disposti ad aiutarsi sia in attacco che in difesa. Un gruppo affiatato stretto intorno al suo leader tecnico e carismatico che risponde al nome di Danilo Gallinari. Spendo due parole su questo giocatore fantastico: mai una parola o un gesto fuori posto. Pur non essendo in ottime condizioni fisiche, si è messo a disposizione facendo ciò che serve alla squadra: meno tiri dal perimetro, più presenza in area. Un esempio al quale si spera possano guardare i due grandi assenti d'oltreoceano. Gli altri giocatori hanno trovato nella nazionale quello che è mancato nei club di appartenenza: gente con molta voglia di riscatto, diventata improvvisamente un fattore nelle sapienti mani dell'allenatore. Ciò dimostra, se ce ne fosse stato bisogno, che ai nostri non manca nulla se non l'esperienza internazionale che altri maturano nei loro paesi fin dai primi anni post- giovanili. Pianigiani è il valore aggiunto: se qualcuno voleva una conferma al buon lavoro svolto a Siena, eccolo servito. La squadra gioca bene e nessuno esce mai dallo spartito: quando si è consapevoli dei propri limiti, la soluzione va cercata insieme evitando iniziative solitarie. È ancora presto, ma questo è lo spirito giusto. Per giocare una finale olimpica - come ad Atene 2004 - la strada è ancora lunga. Intanto accontentiamoci di aver imboccato la direzione esatta. Il buon giorno, spesso, si vede dal mattino.

lunedì 20 agosto 2012

perfino i beatles

"Se fai del bene e ti aspetti gratitudine, meglio che lasci perdere". Ogni tanto va rispolverata l'antica saggezza popolare. In fondo, i nostri vecchi volevano solo proteggerci. Se vogliamo vivere bene, ciò che siamo e facciamo deve essere un regalo. Quando ti aspetti qualcosa in cambio, è la volta che un tarlo ti penetra dentro e ti mangia lentamente la felicità. È quello che potrebbe succedere anche a me: dopo tanti anni di passione, lotta e sacrifici, ti aspetteresti qualcosa. Un gesto. Una parola. Qui sta l'errore: infatti, non c'è migliore ricompensa del tempo e delle cose vissute realmente. Nessuno potrà privarmi della soddisfazione di aver visto bambini diventare adulti: prima giocando, poi facendone una professione. Nessuno potrà cancellare le vittorie - come le sconfitte - , i trionfi, i riconoscimenti, gli incontri, gli abbracci. La faticosa costruzione di un edificio, talmente traballante, da non aver resistito alle intemperie. Da romantico quale sono, non mi sono preoccupato delle fondamenta, ma solo di andare in alto: errore imperdonabile, le radici valgono più dei rami. Questo è quel che resta: ma vale molto e non lo venderei per nulla al mondo. Come tutte le belle storie, anche questa ha un inizio e una fine. Per fortuna - o purtroppo, a seconda di come la si veda - nulla dura in eterno. E nessuno è indispensabile. Del resto, perfino i Beatles non esistono più.

lunedì 13 agosto 2012

riga e fila

Dovevano vincere e hanno vinto. Onore e gloria agli americani, ma questa medaglia d'oro, peraltro meritata, non mi fa cambiare idea. Non mi piacevano all'inizio, non mi sono piaciuti alla fine. Duecentosette punti segnati in quaranta minuti e in una finale olimpica sono comunque un ottimo spot per il basket: un partita bellissima, quasi una replica di Pechino 2008. Gli spagnoli sono eroici: lottano sempre, soffrono in silenzio e non mollano mai. Semplificando molto, la Spagna attacca insieme, gli Stati Uniti uno alla volta: da una parte il collettivo, dall'altra il talento, chi sta in riga e chi in fila. Non che gli iberici non abbiano qualità: tutta gente che gioca, ha giocato o giocherà oltreoceano, ma, grazie a Dio, si esprimono all'europea. Coralità, armonia, ritmo: peccato non siano italiani, l'unico esistente non può che stare in panchina. Il migliore giocatore al mondo è Pau Gasol: in pratica, sa fare tutto. Fa canestro in mille modi diversi, passa la palla divinamente, legge le situazioni in maniera impeccabile. Gioca vicino a canestro per ragioni somatiche, ma potrebbe stare dappertutto. Un giocatore totale, bellissimo da vedere. Dopo aver preso una graffiata da Lebron James, non ha fatto una piega e si è rimesso in pista: alla faccia di chi lo accusa di leggerezza agonistica! Degli americani, chi mi é dispiaciuto meno è stato Bryant: è stato decisivo nei momenti chiave ma non ha ostentato nè si è esibito con atteggiamenti divistici. Una grande prova di maturità: mentre gli altri si lasciavano andare a gesti plateali, lui andava ad abbracciare il grande compagno sconfitto. Una bella fotografia olimpica. Ai commentatori televisivi vorrei ricordare che lo scarto è stato minimo e che questo strapotere a stelle e strisce non sono riuscito a percepirlo: se Durant non fa una percentuale strepitosa da tre punti, forse staremmo qui a parlare di debacle inaspettata. Ai giovani, incantati dalle prodezze più atletiche che tecniche, suggerirei di imitare l'imitabile: c'è chi salta e chi finta, chi schiaccia e chi appoggia. Fortunatamente, almeno nello sport, non esiste dittatura. Le Bron James ve lo lascio volentieri. Mi tengo Juan Carlos Navarro. 

venerdì 10 agosto 2012

idem come prima

C'è un prima e dopo Josefa. In mezzo nove olimpiadi, più di trent'anni di agonismo, una collezione infinita di trofei. E sconfitte, perchè nessuno, nemmeno lei, può dirsi invincibile. Ha lottato fino all'ultima gara: ne sanno qualcosa le atlete - sue figlie putative? - che, per lasciarla dietro, hanno dovuto sputare sangue. Una carriera pazzesca, costellata di sacrifici, ma anche di grande soddisfazione e divertimento. Non si arriva a quarantotto anni suonati alle olimpiadi senza piacere nell'allenarsi e gareggiare. Una famiglia sacrificata sull'altare della canoa: marito allenatore, figli immancabili tifosi. Le ultime parole da agonista sono per il suo paese adottivo: " abbiamo purtroppo la cattiva abitudine di farci male da soli ". Proprio così: i nostri diamanti li nascondiamo o li perdiamo per strada. Oppure non ci accorgiamo neppure di averli. L'errore più grande è quello di mettere in soffitta gli atleti che hanno fatto la storia sportiva nazionale: non é una novità, purtroppo, che dopo lo sfruttamento agonistico non ci sia un ritorno prezioso per il movimento sportivo. Mennea e Simeoni ne sanno qualcosa. Gli atleti non muoiono il giorno del ritiro dalle competizioni: hanno moltissime cose da insegnare, soprattutto alle nuove generazioni. Non c'è discorso migliore della testimonianza di un atleta vero. È una bella storia quella di Josefa Idem, di quelle che fanno commuovere. Che non possiamo permetterci di dimenticare. Al diavolo se troppo romantica: voglio usare bene le mie lacrime.

giovedì 9 agosto 2012

sostenibile leggerezza

Stefano Baldini vinse ad Atene la maratona e giunse dodicesimo quattro anni dopo a Pechino. Tutti speravano nella replica trionfale. Giunto al termine, disse addio all'agonismo. Da campione olimpico qual' era, accettò la sconfitta. Difficilissimo rivincere, ma lo é ancor di più perdere dopo aver vinto. Così é successo a Schwazer: nella sua testa era concepibile solo la medaglia d'oro. Un tarlo che altri hanno contribuito a ficcargli nella testa: pressioni, aspettative, digiuni troppo prolungati per una federazione, quella dell'atletica, abituata a raccogliere sempre qualcosa nelle specialità di fatica. Vedere Tania Cagnotto e Vanessa Ferrari con la medaglia di legno e le lacrime agli occhi, fa tenerezza ma anche rabbia: quarto posto alle olimpiadi, perchè dovrebbe essere un fallimento? Questa assurda ossessione per le medaglie sta distruggendo i nostri atleti migliori. Chissà come mai tutti quanti chiedono una pausa agonistica o minacciano addirittura il ritiro. In Italia tutto viene maledettamente drammatizzato: chi vince é un eroe, chi arriva quarto è un signor nessuno. Senza considerare, naturalmente, che ci sono avversari altrettanto agguerriti e preparati. Un decimo di secondo, un millimetro, un piattello, una stoccata: questa la differenza tra la gloria e la gogna. La realtà è un'altra: chi arriva alle olimpiadi é già un campione e non deve dimostrare nulla. Dovrebbe essere un'esperienza unica e irripetibile, ma per alcuni diventa un incubo. Non voglio assolvere Schwazer: l'ha fatta troppo grossa. C'ero anch'io tra quelli che ascoltavano l'inno mentre si alzava la bandiera. Oltre a se stesso e i propri famigliari, ha tradito un popolo intero. Però questo triste e increscioso episodio deve insegnarci qualcosa: il successo passa attraverso la leggerezza. La leggerezza di Josefa Idem che a 48 anni suonati, due figli e otto olimpiadi, riesce ancora a trovare il gusto di allenarsi e gareggiare. E se non é arrivata la medaglia, pazienza. Per noi rimarrà per sempre un grande esempio, come atleta e come donna.

martedì 7 agosto 2012

provocazione


" Lo sport si sta rendendo sempre più ridicolo. 
Liberalizziamo il doping o aboliamo l'agonismo. 
Non vedo altra via d'uscita. ''

Reinhold Messner sul caso Schwazer

lunedì 6 agosto 2012

tricolore a pezzi

Siamo abituati a scandalizzarci degli altri. Stavolta tocca a noi. Il virus ce l'abbiamo dentro e porta il nome di Alez Schwarzer. Non uno qualunque, il campione olimpico della 50 km di marcia a Pechino. Ci mancava solo questa: dopo il calcio scommesse, la vergogna del doping. Non esiste cosa peggiore nello sport: quello che hanno fatto i cinesi - perdendo apposta nel badminton per avere un incrocio migliore - in confronto assomiglia ad una piccola bugia infantile. Come siamo orgogliosi e commossi quando si alza il tricolore e viene intonato l'inno, altrettanto dobbiamo essere schifati di fronte ad episodi inqualificabili che tradiscono l'anima di un popolo e lo spirito olimpico. Tutto ciò che di buono si è fatto viene cancellato in un istante. L'immagine nazionale ne esce irrimediabilmente scalfita: siamo di fronte ad una mela marcia o dobbiamo sospettare di tutta la merce? Chissà quanta gente, insieme al sottoscritto, ha esultato nel vedere il marciatore trionfare alle olimpiadi cinesi: tornaci le lacrime, Alex, che ci servono per piangere altrove, magari per Tania Cagnotto che dopo due legni ha avuto la forza e la dignità di prendersela con il fato e non con i giudici. Le tue parole di ammissione ti fanno un uomo sincero, ma non degno di onore. Vogliamo medaglie pulite, sudate, guadagnate con anni di sacrifici e rinunce. Hai scelto il modo peggiore per uscire di scena: purtroppo la non accettazione della sconfitta ti ha condotto verso il baratro. La stessa ansia da prestazione che ha buttato a fondo i nuotatori azzurri. In una giornata triste per lo sport azzurro, mi piace ricordare Matteo Morandi che di sconfitte se ne intende: dopo due olimpiadi a secco, finalmente se ne torna a casa con il meritato premio. Della serie: le legnate non mi hanno steso, mi hanno reso più forte.

sabato 4 agosto 2012

dream team style

Gli americani del basket non mi piacciono. Probabilmente vinceranno la medaglia d'oro ma  il mio giudizio non subirà variazioni. Superficiali, sciatti, presuntuosi, boriosi. Il Dream Team del 92 stravinceva ma aveva un altro stile. Soprattutto convinceva l'atteggiamento con il quale affrontava gli avversari: massimo impegno, totale rispetto. Mi perdoni coach K, di cui ho la massima stima, ma al momento non vedo un gioco corale, una chimica dove tanti campioni sanno usarsi a vicenda. Vedo talento, molto talento, dove straordinari interpreti del gioco sfilano sul palco in forma distinta e separata. Uso infinito del tiro dalla distanza, poca se non nulla applicazione difensiva. Tante pacche sulle spalle, tanti gesti d'apparenza, ma in fondo ciascuno cerca più la gloria personale che il successo comune. Non proprio un grande spot per la pallacanestro: ai ragazzi che guardano le olimpiadi consiglierei di seguire altre squadre, dove il concetto di gioco collettivo mette in secondo piano la prodezza individuale. Purtroppo si perde il pelo ma non il vizio: gli statunitensi da sempre si credono i migliori e considerano le qualificazioni come un'inutile perdita di tempo. Sembra che non abbiano ancora imparato dai propri errori. Faccio i miei migliori auguri al team Usa, ma mi troveranno sempre dall'altra parte: la simpatia non è un obbligo, ma in certi casi potrebbe tornare utile. A proposito: non mi é piaciuto nemmeno l'altro dream team, quello azzurro del fioretto femminile. Non si balla prima di chiudere l'assalto. La sfrontatezza che conduce al trionfo è la stessa che ti rende indigesto. La legge, condivisa universalmente, della reciprocità, dice una cosa semplice: non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te. Attenzione, c'é sempre una rivincita e, da quello che ne so, anche i balli russi sono spettacolari!

giovedì 2 agosto 2012

torre in cielo

Giuro di sapere molto poco di kayak e, ancor più colpevole, di Daniele Molmenti. Una cosa la so: era dai tempi di Alberto Tomba che non provavo certe emozioni e che non perdevo la voce davanti al video. Il ragazzo di Torre di Pordenone ( come la Trost: che sia l'acqua?) - così hanno ripetuto fino alla noia - ha compiuto un'impresa: quasi mai, infatti, alle Olimpiadi vincono i favoriti. Basta un secondo per buttare al vento quattro anni di duro lavoro: ne sa qualcosa il nostro campione locale che a Pechino saltò una porta e se ne tornò a casa a mani vuote. Appariva baldanzoso alla vigilia - infastidendo un pò la necessaria prudenza sportiva - nel predire la vittoria: dalle parole ai fatti, non è da tutti! Stessa scuola di Barbara Nadalin, purtroppo mancata prematuramente poco tempo fa: non posso non pensare, anche se ingenuamente, che ci sia un'attinenza, quasi un contatto fra la tragedia e il trionfo. Ennesimo prodotto dell'allenatore cordenonese Mauro Baron, ottimo scopritore e costruttore di talenti. Un oro olimpico preparato e conquistato all'estero: com'è possibile che a vent'anni dalla vittoria di Barcellona di Ferrazzi - mitico predecessore e attuale direttore tecnico - non ci sia ancora un canale artificiale in suolo italico dove allenarsi? L'immagine più bella rimane quella del podio: Daniele che addenta la medaglia come un bambino la merenda. Noi non potremo mai sapere quanto è costato quell'oro al collo. Nessuna lacrima, tanti sorrisi: in fondo siamo alle Olimpiadi, non ad Hollywood!