"Non è il cammino impossibile, ma l'impossibile è cammino"

mercoledì 25 settembre 2013

quei giri sul ferro

Palazzetto stracolmo. Mi chiedo dove abbiano nascosto le bottiglie: sono ad una partita dalla promozione, ma nessuno tradisce euforia. Entriamo in campo con la faccia dei guastafeste: in fondo, non abbiamo nulla da perdere, dobbiamo solo fare la nostra onesta figura e tornare nell'ombra. Non abbiamo paura: i fischi ci rimbalzano e tornano indietro. Gli insulti, sparuti ad onor del vero, ci passano sopra. Fatichiamo, come é giusto che sia. Non c'é discussione su chi sia più forte: loro sono la conferma, noi la sorpresa. Rimaniamo aggrappati, in fondo siamo orgogliosi e vogliamo continuare a stupire. Nel frattempo il pubblico si preoccupa: quella che doveva diventare una cavalcata vincente si sta trasformando in lunga e pericolosa agonia. Arriviamo alla fine punto a punto, ma con una zampata di Stefano "barba" Barbisin - uno dei giocatori più belli e puliti - in senso cestistico ovviamente - visti in circolazione da queste parti, mettiamo il naso avanti. Gli spalti ammutoliscono, si sentono delineatamente le urla della panchina ospite, accarezziamo il sogno di battere la capolista e di ritardare i festeggiamenti. L'addetto al tavolo, malandrino, ferma il tempo: cavolo, non siamo ancora nel basket moderno, i secondi devono scorrere. Sulla rimessa, Fabio Napoli, rubato tra i pali per fare il giocatore di basket, devìa ma non trattiene. Mancano tre secondi, siamo sopra di uno, non possiamo nemmeno fare fallo. Ci aspettiamo un passaggio in area, dove i bravi ed atletici Grion Montagner e Freeman avrebbero potuto disporre facilmente. Copriamo bene l'area ed il pallone va sul perimetro. Lí per lí siamo contenti: non c'é tempo per andar dentro, si può solo tirare. Riceve Pontani, ottimo giocatore per entrare nel pitturato ma non specialista nelle conclusioni da lontano, si alza in sospensione da otto metri con i tentacoli di Marco Stroppa addosso. Succede l'inverosimile: il pallone comincia a girare sul ferro per un tempo indefinito ma interminabile. Non si sente una mosca, forse un bambino che gioca sugli spalti ignaro di quanto stia accadendo. Gli occhi di tutti non si staccano dalla scena: per un attimo la palla pensa di uscire, poi inesorabilmente viene risucchiata dalla retina. Mi tolgo la giacca e la sbatto per terra mentre suona la sirena e d'incanto veniamo sepolti da un urlo animale e liberatorio e annegati da fiumi di alcool che attraversano noncuranti il parquet. Mi dico che é tutto maledettamente scritto e che sarebbe meglio evitarci questo dolore: avessimo perso di quaranta, la sofferenza sarebbe stata minore. Abbraccio i giocatori e cerco inutilmente parole consolatorie: non possiamo lottare contro il destino. Lasciamo il palco ai protagonisti e usciamo fra gli applausi: siamo combattuti tra rabbia e dolore, tra orgoglio e beffa. A volte vorresti uscire dal campo tra gli sputi ma con la vittoria in tasca. C'é chi piange in spogliatoio, chi impreca, chi si morde le mani. Questo é lo sport. O meglio, questa é la pallacanestro: in quei momenti non ci sono gioie più forti, non esistono dolori più grandi. Tutto quello che c'é da provare lo trovi, non c'é bisogno di affannarsi troppo. É sufficiente trovarsi un anno qualunque in una cittadina semisconosciuta del nord est in un campionato di serie D: anche questa è leggenda e come tale va raccontata.

domenica 22 settembre 2013

una gallina domani


Rimango cocciutamente aggrappato al concetto primordiale: non tutti i mali vengono per nuocere. Certo, tutti quanti avremmo voluto usare le carte buone del mazzo, ma non siamo stati gli unici a lamentare assenze importanti. É cosa buona far tornare alla mente, sviati per alcuni giorni da euforia agonistica, alcuni aspetti forse leggermente accantonati: a parte Belinelli, nessun giocatore ha mai partecipato da azzurro o da protagonista ad una fase finale di qualsivoglia livello internazionale. Per pignoleria, aggiungo che Cusin ha praticamente passato in panca l'intero play off di Cantù - a proposito, per la legge del contrappasso il suo allenatore, che a mio modesto parere aveva il gruppo più completo e solido, ha dovuto guardarsi la fase finale in poltrona - Aradori ha giocato di striscio l'eurolega con Cantù e Siena, il sorprendente Cinciarini non ne parliamo, Gentile e Melli troppo chiusi da un roster di prime donne in una Milano spendacciona e confusa, Datome dominante in Italia, pronto con la valigia in mano ad espatriare saltando a pié pari l'agone europeo ( a proposito, buona fortuna Gigi! É impossibile non volerti bene ). Conosciamo tutti la storia: se ci fossero stati Bargnani, Gallinari Mancinelli e Hackett, forse avremmo raggiunto un risultato migliore - non abbiamo controprove, se non altro con una rotazione maggiore non saremmo arrivati in fondo stremati e depressi - ma alcuni giocatori non sarebbero cresciuti e diventati, in soli venti giorni, degni dell'attenzione mondiale. Pianigiani sapeva che prima o poi si sarebbero accese le spie rosse: é successo al termine del terzo quarto con la Lituania e da quel momento la nazionale ha navigato a motori spenti, finendo inevitabilmente la corsa contro i simpatici ucraini, stregati da un santone del basket come Mike Fratello approdato all'est per dare solidità e tattica ad un gruppo di giganti inesperti ma volenterosi. Chiedere, a questo punto, una wild card per i prossimi mondiali, non é una mossa azzardata, tantomeno impertinente. Questo processo di maturazione deve continuare e, se il destino per una volta non ci sarà avverso, potremo vedere accanto ai nostri giocatori migliori non tanto dei comprimari, ma gente ormai abituata alla lotta e agli scontri dentro-fuori. Se c'é stato un problema per la nostra nazionale nel recente passato é proprio nella forbice tra i big e il resto della truppa: da oggi, grazie a questo europeo, il divario si é notevolmente ridotto. C'è solo da aspettare fiduciosi: la semina di questi giorni avrà un buon raccolto. Non ho mai avuto dubbi sui proverbi: se l'uovo di oggi diventa marcio, meglio una gallina domani.

mercoledì 11 settembre 2013

rosa argento


Ho fatto un sacco di sbagli nella vita, ma ho fatto centro nella cosa più importante. In determinate circostanze, devi avere classe o fortuna. Classe ne ho sempre avuta molto poca, perciò ho pochi dubbi: non ho meriti, semplicemente ho pescato il jolly dal mazzo, ho estratto il numero giusto. Io che non ho mai vinto, dicasi una volta, al gioco della tombola - fin da bambino - mi sono aggiudicato il migliore fra i montepremi. La legge non scritta della compensazione: sfortunato nel gioco, fortunato in amore. Due persone che vogliono unire le strade non devono cercare, devono solo aspettare di incontrarsi: non so chi o cosa mi abbia guidato, certamente non mi stancherò mai di provare gratitudine e riconoscenza. Navighiamo distrattamente verso lidi effimeri e fuggevoli mentre ciò che abbiamo a portata di mano ci aiuta ad ancorarci all'essenzialitá del vivere quotidiano. Un sorriso, un abbraccio, una parola di conforto, una sgridata se serve: questa é l'umanità di cui abbiamo bisogno. Finché esiste complicità, finché le dita e le anime continuano ad intrecciarsi, non é vano sperare in un domani migliore. Non è tutto rose e fiori: c'è anche il distacco, la solitudine, l'orgoglio, la gelosia. Anche l'amore più solido deve fare i conti con delusioni, stanchezza, incomprensione, a volte tradimenti: non sono difetti di fabbricazione, solamente la via stretta e impervia per raggiungere vette più alte. Sono venticinque e francamente si sentono tutti: utilizzando una metafora sportiva, non rappresentano un traguardo, semmai una tappa. Una coppia ha costantemente bisogno di due elementi: radici e linfa. Radici ben piantate per rimanere in piedi nonostante i continui sussulti, linfa nuova per non prosciugarsi e dare frutti rigogliosi. "La costruzione di un amore spezza le vene delle mani, mescola il sangue con il sudore": proprio così, grazie a chi l'ha scritta (I. Fossati), non saprei dirlo meglio.




"Rosa che rosa non sei
Rosa che spine non hai
Rosa che spine non temi
Che piangi e che tremi
Che vivi e che sai
Rosa che non mi appartieni
Che sfiori che vieni
Che vieni che vai.
Rosa che rose non vuoi
Rosa che sonno non hai
Rosa di tutta la notte
Che tutta la notte non basterà mai

Rosa che non mi convieni
Che prendi e che tieni
Che prendi e che dai
Rosa che dormi al mattino e venirti vicino non oso
Rosa che insegni il cammino
Alla sposa e allo sposo
Rosa d'amore padrona
Punisci e perdona
Non chiuderti mai
Rosa d'amore signora
Digiuna e divora
Non perdermi mai"
(F. De Gregori)



martedì 10 settembre 2013

azzurri di rabbia


Mi sono stupito fino ad un certo punto. Non si buttano via anni di vittorie e di grandi soddisfazioni - in veritá anche di grandi delusioni - solo per assenze illustri o per destino avverso. Nella nazionale di questi giorni pulsa il cuore nobile di chi l'ha preceduta: la tradizione non si cancella, l'orgoglio si eredita a grandi dosi. Nello sport non esiste condizione migliore: giocare leggeri, senza aspettative e pressioni, senza la maledetta necessità di dimostrare qualcosa a qualcuno. Poi ci sono i giocatori, forse ingiustamente sottovalutati: due di questi hanno contratti oltre oceano, gli altri si sono fatti le ossa approfittando di campionati e squadre che si stanno - mi sia concesso il neologismo - destranierizzando. Come ho già avuto modo di dire, non tutte le crisi vengono per nuocere. L'Italia in pratica gioca con un centro - il nostro e bravo Cusin - che non prende mai posizione spalle a canestro ma porta blocchi in continuazione e taglia perennemente a canestro. Gli altri giocano penetra e scarica mantenendo vantaggio con i passaggi: sembra di vedere la Jugoslavia di Djordevic di qualche anno fa. Pianigiani non aveva e non ha alternative: fino adesso il giochino ha fruttato l'imbattibilitá e forse la pallacanestro più godibile di tutto l'europeo. Paghiamo un pó a rimbalzo e vicino al nostro canestro, ma le statistiche dicono chiaro che siamo quelli con l'attacco migliore. Qualcuno, pescando nel mondo dei se e dei ma, azzarda che la squadra se fosse stata al completo avrebbe vinto la manifestazione a mani basse: non ne sono per niente convinto, se siamo a punteggio pieno é perché questi giocatori sono stati in grado di mutare pelle e di moltiplicare la propria energia per meritarsi il giusto rispetto. Ora arriva il difficile: non siamo più la sorpresa del torneo e le nazionali di valore e solidità aumenteranno la qualità del gioco; se poi la rabbia che ci ha condotto fin qui dovesse placarsi, tutto ciò che di buono abbiamo fatto andrebbe perduto in un amen. Coraggio azzurri, avete ragione di essere offesi: nessuno, o molto pochi, credevano in voi. Ora, che tutti credono, fateci ancora orgogliosi di voi: potete anche prenderci a parolacce, se vi fa piacere. A noi basta vedervi vincere.