"Non è il cammino impossibile, ma l'impossibile è cammino"

lunedì 29 aprile 2013

meglio prima


Ho già dichiarato in tempi non sospetti la mia contrarietà alla discesa in politica della campionessa Josefa Idem. Figurarsi se sono contento di vederla giurare nel nuovo governo. Intendiamoci: non ho obiezioni da fare nè sulla persona né sull'atleta - di cui ho  lodato spesso le gesta - tantomeno sulla provenienza partitica. É un ragionamento esclusivamente legato all'opportunità. Non credo l'olimpionica abbia potuto approfondire le conoscenze in campo politico-amministrativo mentre si allenava otto ore al giorno tra una pagaiata e l'altra. Essendo moglie e madre, ritengo abbia giustamente trascorso i rimasugli di tempo in famiglia. Che abbia fatto l'assessore nel paese di residenza non toglie i dubbi sulla preparazione necessaria a svolgere un compito di alta responsabilità come un ministero di governo nazionale. Mi sembra una trovata sensazionale da dare in pasto alla superficialità giornalistica - la rosa ne andava fiera, quasi ne fosse l'artefice - e all'ingenuitá del popolo sportivo. Lo sport italiano non si risolleverà grazie ad un ministro ex-atleta: avrei preferito vedere la Idem in un ruolo di affiancamento o di consulenza, grazie al quale mantenere la necessaria libertà di pensiero evitando implicazioni e compromessi. Si accorgerà ben presto che le sue idee di rinnovamento in materia dovranno necessariamente scontrarsi con posizioni differenti e indisponibilità economica. Conservo inoltre un altro motivo di perplessità: non credo siano state date alla super atleta di origine tedesca delle doti speciali al punto di poter vincere tante medaglie d'oro e allo stesso tempo governare con abilità il variegato e complesso mondo dello sport. Se ci riuscirà, sarò il primo a togliermi il cappello e cospargermi di cenere, ma al momento preferisco credere alla teoria dei talenti, consegnati variegatamente ma non indistintamente a ciascuno perché vengano coltivati nel proprio campo. Non sono sicuro di essere un buon allenatore, ma di certo non sono stato un buon giocatore: chi vive di sport, sa quanto sia difficile che le due cose si combinino - con le dovute illustri eccezioni. A maggior ragione fra due campi così distanti come politica e sport: non oso pensare alla Idem chiusa in ufficio per ore e ore dopo aver passato l'intera vita tra acqua e aria: spero la dotino di una finestra con visuale sul Tevere. Buona fortuna Josefa: a me piacevi più dov'eri prima!

martedì 23 aprile 2013

spalle strette

Sul divertimento in palestra ho un'idea tutta mia. Quando leggo o sento " i ragazzi devono divertirsi " mi viene una ripulsione istintiva, quasi epidermica. Cosa significa " devono divertirsi "? Devono ridere, far riposare la mente troppo oppressa, alleggerire le pene quotidiane, o cos'altro? Semplicemente, non si può praticare alcuna attività sportiva se l'attenzione e la consapevolezza sono in modalità assente. Per vari motivi: non si può imparare se non esiste volontà, ci si può far male se si è distratti. L'esigenza di svago può essere soddisfatta in altro modo: cinema, musica, internet. La domanda vera oggi é casomai un'altra: " quando e dove i ragazzi imparano? " oppure " quando mai sono davvero mentalmente presenti "? Sono un uomo di scuola, perció conosco molto bene i tempi di attenzione della nostra gioventù durante le lezioni mattutine. A parte qualche debita ed illustre eccezione, non vedo una grande massa sfasciarsi il cervello sui libri nei lunghi pomeriggi invernali. Fare sport distrattamente significa né più né meno che prolungare la fase vegetativa dei ragazzi con esiti che sono sotto gli occhi di tutti: abbassamento degli standard agonistici e cattiva qualità del gioco. Provo a svelare il mio personale segreto di Pulcinella: divertimento é capire la connessione tra fatica e premio. Non c'è soddisfazione più grande se non nella consapevolezza che ciascuna stilla di sudore non viene sprecata invano. Divertimento é passare da un pallone che non tocca il ferro ad un altro che brucia la retina grazie ad un passo dopo l'altro e ad una continua serie di correzioni. Vincere una partita dopo dieci sconfitte consecutive. Provare a fermare l'avversario più pericoloso. Divertimento é smentire l'allenatore con le sue rigide e retrograde idee - a proposito, quante volte avrei voluto essere smentito! - . Divertimento é ridere dentro: quante volte, sotto il broncio fieramente esibito, mi sento appagato nel vedere giocatori attenti, altruisti, coraggiosi. Smettiamola una volta per tutte di prenderci in giro: lo sport non è fatto per evadere, casomai per irrobustire corpo, mente e anima . Anche - anzi soprattutto - attraverso delusioni e prove. Mi viene una domanda: non è che i ragazzi smettano di fare sport non tanto perché non si divertono, ma in quanto incapaci di resistere alle avversità? Spalle strette, in due parole.

giovedì 11 aprile 2013

odissea in rosa

Un viaggio faticoso, per nulla monotono, senza dubbio affascinante. Un'odissea sportiva e moderna: come Ulisse, navigando tra una vicissitudine e l'altra. Ne valeva la pena? Ne valeva la pena. Come l'eroe epico, siamo ritornati in patria migliori di quando siamo partiti. Quello che abbiamo sofferto - e non è poco - ce lo porteremo dentro e farà da scorza agli anni a venire. Nello sport non c'è solo divertimento e leggerezza: spesso c'è frustrazione, esclusione, rinuncia, sacrificio. É il triste ma necessario passaggio dall'etá giovanile a quella adulta. Non esiste una scuola migliore di questa per conoscere la durezza del vivere: e che la vita sia un mestiere, non lo dico io, semmai Cesare Pavese. Ciò che vorrei che questa storia ci insegnasse sta tutto nel perentorio rifiuto della cultura dell'alibi. Ne abbiamo avuti a migliaia quest'anno - alcuni persino credibili -  ma per quanto mi riguarda esiste una sola verità: la nostra onestá, il nostro modo di metterci in gioco sempre, comunque e a prescindere. Se non siamo sprofondati, lo dobbiamo solo a questa lotta feroce e senza quartiere contro la giustificazione facile. Ammetto: in trenta e più anni, non sono mai stato messo a dura prova come in questo caso. Stare sotto acqua e provare a risalire mentre forze superiori te lo impediscono. L'ultimo posto in classifica, la bocciatura sul campo del nostro gioco. Le difficoltá interne, lo spogliatoio spesso disunito, le sconfitte che non aiutano. Invidie e gelosie, interferenze esterne, che da uomo navigato non mi hanno certo sorpreso per la presenza, semmai per l'entitá. Sarebbe stato facile mollare tutto, ma, tra mille difetti, la codardia non rientra nel mio vocabolario etico. La debolezza? Non avrei mai sopportato una retrocessione: sono troppo orgoglioso per andarmene lasciando in disordine. Questa società, per quello che ha fatto e sta facendo, non meritava una delusione così grande, all'esordio nel circuito della pallacanestro nazionale. Non mi resta che ringraziare. Tutte e tutti, per non dimenticare nessuno. Anche se mi é costato parecchio, sono certo di avere aggiunto qualche freccia in più al mio arco. C'è una scritta su una piccola pietra nel soggiorno di casa che é riportata nel blog. " Non il cammino è impossibile, ma l'impossibile é cammino ". Noi abbiamo sfidato l'impossibile. Per questo sono arciconvinto che ognuno di noi, adesso, sia meglio di quanto fosse all'inizio. Quello che oggi vediamo in modo confuso, un giorno ci apparirà chiaro. E forse sorrideremo, anche del dolore con cui abbiamo imparato a convivere.

domenica 7 aprile 2013

maglia nel cuore

Su questo argomento ho pochi dubbi: non c'è evento dove c'entri il basket che può pareggiare le finali universitarie. Una marea umana di coloratissimi spettatori; in campo ventenni o poco più, che si danno battaglia fino all'ultimo sangue. Nessuna ricerca spasmodica di spettacolo, eppure il fascino è irresistibile. Allenatori di grande carisma, ottimi insegnanti, capitani di lungo corso che hanno formato decine di giocatori. Ma l'aspetto più rilevante é il senso di appartenenza. Tutti sono disposti a sacrificare se stessi per la vittoria della propria squadra. La causa comune è più importante di qualsiasi necessità individuale: prova ne sia che chiunque non metta piede in campo vive le stesse emozioni di chi ha giocato. Tutti sono in piedi dopo un canestro segnato, tutti si coprono il viso dopo una cocente sconfitta. Se fosse inganno, sarebbero davvero dei bravi attori. Il paragone è inevitabile: certamente da noi non esiste lo sport scolastico e universitario - se non in minima dose e con pessimo risalto - ma l'impressione é che i valori siano totalmente ribaltati. Per quanto la pallacanestro sia uno sport di squadra, al primo posto ci stanno i bisogni di ognuno e, casomai ma in ultima analisi, quelli di tutti. L'enfatizzazione é sull'individuo, non sul bene collettivo. L'immagine simbolo é lo spogliatoio dove si incrociano sguardi soddisfatti ed altri infelici. Come se la festa non possa essere di tutti, ma solo di alcuni. O, al contrario, come se il dramma si consumasse solo per una parte del gruppo. La scritta sulle spalle diventa più importante di quella sul petto. Giocare per una maglia non è propriamente la stessa cosa che giocare per se stessi. Qualunque sia la maglia, perché tutte hanno pari dignità. Per fortuna ci sono le final four e mi torna il sorriso.  Mi convinco che da qualche parte, anche se oltre oceano, esiste ancora chi é disposto a rinunciare a se stesso per un sogno comune. Proprio così: gli individui passano, le maglie restano.