"Non è il cammino impossibile, ma l'impossibile è cammino"

giovedì 30 marzo 2017

caro Fabio

lettera appassionata e accorata a Fabio Fognini

Caro Fabio,
( mi rifiuto di pronunciare l'appellativo affibbiatoti storpiando il cognome, anche se a volte parrebbe così indicato....) ci sono due cose che ti invidio: la moglie e il talento. Sulla prima, il vincolo di marito e padre mi impedisce di proseguire. Sul secondo, mi permetto di proporti una breve e facile riflessione - essendo stato in gioventù un discreto tennista amatoriale capace di vincere il master della mia classe alle superiori - convinto che il valore tecnico aggiunto di cui alcuni atleti dispongono in natura possa valere per tutte le discipline sportive. Anche se mi costa molto, te lo devo dire: sei un tennista di grande talento. Che non significa, attento, che tu sia un bravo tennista. Federer è un bravo tennista, capace a trentacinque anni suonati di suonare e di suonarle. Se mi permetti, tu devi ancora dimostrare di esserlo. Cosa ti manca? Semplice, al talento non ha fatto seguito ciò che è necessario per diventare un campione: l'incontro con la fatica e la frustrazione. Non conosco la tua storia, ma immagino ti sia sempre riuscito tutto facile: hai vinto tutti i tornei giovanili che c'erano da vincere e non hai mai incontrato sulla tua strada qualcuno che ti ricordasse quanto sia importante perdere. Sono sincero: ho provato a seguire alcune tue partite, ma non ce l'ho fatta. Non appena vedo quegli sbuffi e quella faccia caracollare i miei occhi sono già su un altro canale. La tua racchetta vola a terra assieme al mio telecomando. Non posso sopportare il fatto che un giocatore con così grande potenziale abbia la cattiva abitudine di autosabotarsi, di rendere difficile ciò che è facile, di buttare a terra per un nonnulla un castello di sabbia costruito con tanta abilità. La rabbia non è un difetto: nello sport, chi non ne possiede non può raggiungere risultati. La rabbia non va repressa, ma nemmeno esibita: va cavalcata, dosata lungo tutto il percorso, diluita. E, poi, lasciatelo dire, smettiamola con questo vittimismo, come se tutto dovesse riuscirti alla perfezione: sai perché Roger è il numero 1? ( anche se nella classifica attuale non lo è, per me rimane e rimarrà sempre ) Perché è capace di andare oltre i suoi errori ( ebbene sì, anche lui sbaglia ), perché non si scompone, perché dentro si sè non smette mai di crederci. Un uccellino mi ha detto che ultimamente stai cambiando e che si vedono già i primi risultati: forse l'età non più verde, forse la cura Pennetta, forse sarai stufo anche tu di buttare al vento tutte le occasioni che ti si presentano. Voglio darti fiducia: davvero puoi essere un top ten, come si dice in gergo. Ma ti aspetto al varco: Parigi e Londra sono i veri esami. Se sei davvero un altro tennista, un'altra persona, è tempo di dimostrarlo.

martedì 28 marzo 2017

delirio psichiatrico



' Un delirante gesto altruistico '. Mi si rivolta lo stomaco. Cosa c'è di altruistico nel prendere a martellate due figli di tre e quattro anni? Sei uno psichiatra e hai studiato tanto? Bene, mi viene da dire che hai buttato nel cesso il tuo tempo, anzi, che l'hai usato nel peggiore dei modi. Le parole non sono innocue, vanno pesate e somministrate nel modo giusto. Il significato corretto di altruismo è dare se stessi per gli altri, non dare gli altri per se stessi. E chi titola a lettere cubiche queste bestialità è complice e colpevole in egual misura. Non ci si deve stupire se l'emulazione è diventata una disciplina di massa. E se la paura di alcuni e la crudeltà di altri aumentano ogni giorno di più. La terminologia clinica può essere usata tra ricercatori, non data in pasto al pubblico senza istruzioni. Ho profondo rispetto e cordoglio per il dramma umano, ma non esiste un buco da dove non si possa uscire: è piena la storia, fortunatamente, di chi è partito in svantaggio ed è arrivato davanti. Di chi aveva un etichetta di perdente appiccicata in testa e se l'è tolta grazie a tenacia e coraggio. Questo è il messaggio che dovremmo lanciare: che non c'è un libro con le pagine già scritte, che il destino è nelle nostre mani e, soprattutto, che il nostro dolore non deve contagiare e rovinare altre vite. Lottare: per questo siamo al mondo. Ognuno ha i suoi fantasmi da combattere, compresi quelli che ad una vista superficiale paiono privilegiati. Questo è quello che dovremmo insegnare ai nostri figli: a non mollare, anche quando tutto sembra andare storto. Ecco un'altra definizione di altruismo: avere fiducia nell'uomo.

sabato 25 marzo 2017

uno per tutti

Ci vuole un bravo formatore. Che poi sia bravo anche ad allenare, non guasta. Uno che sappia tirare fuori il meglio da ciascun ragazzo. Uno che non fa sconti, non scende a compromessi, che detta regole di vita valevoli per tutti, indistintamente. Uno che si fa rispettare ed ascoltare e allo stesso tempo rispetta ed ascolta. Uno che non rinuncia alle proprie idee per una vittoria in più e che fa della coerenza il proprio credo. Uno che non le manda a dire e che ha sempre detto ciò che pensa. Poi ci vuole una città. Una città aperta e lungimirante. Una città che sa vedere dove gli altri guardano, che trova dove gli altri cercano, che premia dove gli altri snobbano. Una città coraggiosa, che distribuisce onorificenze a gente che ha la specialità nella normalità. Cosa può avere un allenatore per meritarsi un riconoscimento alla stregua di scrittori, attori, musicisti? Se fossi Federico Danna - purtroppo non lo sono, mannaggia - sarei mille volte più felice di tutti i trofei e i campionati conquistati in carriera. Le coppe si alzano, si abbassano e si impolverano, le medaglie si indossano e si levano, gli scudetti si cuciono e si strappano. Quando una città ti nomina cittadino onorario, tutto quello che è stato fatto si riveste di luce nuova: la vita spesa sui campi non è stata solo un mestiere, ma anche un servizio alla comunità. Il passato diventa presente e il presente, futuro: non c'è più dimensione temporale, ciò che è stato vive e vivrà per sempre. Tutto diviene più chiaro: che le notti insonni, i litigi, le delusioni, le sconfitte atroci hanno il sapore dolce dell'inevitabile e avventuroso viaggio verso la scoperta di se stessi e del proprio compito sulla terra. Che quello che oggi non è possibile vedere, sarà possibile e certo domani. La mia presunzione vuole andare oltre: ciò che ha fatto Biella per un suo cittadino lo fa per tutti noi. Per chi non ha mai vinto niente, per chi si trova a lavorare in condizioni sfavorevoli, per chi pensa erroneamente di perdere tempo, per chi non ha mai potuto avere in dotazione materiale di prima scelta, per chi vorrebbe alzare le mani dal manubrio e chiudere bottega. Educare attraverso lo sport: chi non ci crede lo vada a chiedere ai ragazzi e ragazze diventati uomini e donne del nostro tempo. Un giorno forse avranno odiato, faticato, pianto, imprecato: oggi sono gelosi e orgogliosi dei ricordi indelebili che si portano dentro. Congratulazioni, Federico: finalmente la bravura ha incontrato il merito. Congratulazioni Biella: non so di che colore sia il governo locale - francamente irrilevante - ma se questi sono i valori di riferimento, i cittadini possono essere soddisfatti.

venerdì 17 marzo 2017

c'è ma non c'è

La sfida del futuro, per la pallacanestro e lo sport in generale, sarà l'inesistente. Vedere dove gli altri riescono solo a guardare, pensare l'impensabile, osare dove non osa nessuno, scommettere uno a cento. C'è ma non c'è. Chiunque in tribuna sarebbe in grado di usare l'esistente: chi lascerebbe, ad esempio, fuori dal campo un giocatore come Gallinari? Nemmeno il custode del palazzetto sarebbe capace di tale ignominia. Far giocare chi non dovrebbe giocare, grazie a coraggio ed intuito profetico. Ne va della sopravvivenza: vivrà chi non si accontenterà dell'attimo fuggente, chi saprà andare oltre la soddisfazione del momento, chi avrà lo sguardo proiettato in avanti, chi userà il grandangolo e non il teleobiettivo. Parliamoci chiaro: che merito hanno quelli che fanno le stesse scelte che farebbero tutti? Perché non lasciare un segno, esplorare nuove vie, affrontare orizzonti diversi, mescolare il mazzo e giocare altre carte? I miei occhi sono stanchi - un po' per l'età e un po' per la ripetizione ossessiva delle immagini che scorrono davanti - di vedere giocatori 'acerbi' ( traduzione, non pronti ) ammuffire negli scaffali della cantina (pardon, panchina). Se si è così convinti che non potranno mai maturare, meglio dirottarli altrove; ma se c'è anche una probabilità su cento che possano migliorare, qualcuno mi deve spiegare come è possibile che avvenga visto che hanno sempre il sedere appiccicato al legno o le rare comparse in campo non superino i cinque giri di lancetta. In particolare i giocatori più alti, quelli che in teoria dovrebbero calcare i campi non appena si fa sul serio e che durante gli anni giovanili vengono messi da parte in quanto poco adatti al raggiungimento di risultati immediati, vedi trofeo dei rioni. Che ci piaccia o no, il lungo tontolone non appena scoprirà di avere il corpo adeguato alle circostanze si prenderà gioco del basso furbacchione che per anni si è goduto la scena ma che ad un certo punto troverà la strada sbarrata dall'evidenza. So di dire una bestialità, ma nel paleolitico esistevano i presidenti padroni che obbligavano gli allenatori a produrre merce spendibile sul mercato. Anche lo scrivente ha lavorato sotto padre padrone e non ne ha nostalgia: vedere però oggi le società impotenti di fronte a scelte personali discutibili o, peggio ancora, ricattate da famiglie ' sportivore ' non è certo uno scenario migliore del precedente. Una volta i giocatori avevano un valore individuale ( aberrazione antica ), oggi valgono solo se conducono alla vittoria. ( aberrazione moderna ). C'è bisogno di qualcuno che non abbia nulla da perdere, che creda che i giocatori vengano prima dei risultati, che metta coraggio al posto della paura. Sognatori, in una parola. AAA cercasi, come dice quello che ha appena cantato nella città dei fiori. Non chiedetemi il nome, vi supplico.

martedì 14 marzo 2017

alla luce del sole

La cultura o, meglio, sottocultura dell'anonimato sta mietendo vittime ovunque e in tutti gli ambienti. Il metterci la faccia è stato sostituito dall'invisibilità. Il corpo, la voce, gli occhi, tutto ciò che era riconoscibile e distinguibile ora diventa spirito, anteprima della vera dipartenza da questo mondo terreno. Il nickname pervade il web - anche il sottoscritto non sfugge alla regola avendo uno pseudonimo - e chiunque può dire e scrivere di tutto rimanendo sconosciuto alla comunità. È il trionfo della vigliaccheria, della cattiveria più crudele, dell'omertà più becera. Provate oggi a chiedere in aula 'chi è stato?' e non troverete risposta. La conseguenza immediata è lo stravolgimento del senso di responsabilità: le cose accadono ma non c'è nessuno a commetterle. La prima cosa che si impara è la non ammissione di colpa. La paura di sbagliare diventa il motivo principale per cui è conveniente non fare nulla. Ma questo è un blog sportivo o cosa? La traduzione è presto fatta: sbaglio o ci si lamenta sempre di più della assenza di leadership in campo, di giocatori che svolgono il compitino e che non si avventurano in spazi inesplorati, di altri che si nascondono invece di farsi vedere o che non si accusano dei propri errori scaricando su altri le colpe? Prendersi le proprie responsabilità quando la partita si fa delicata, metterci la faccia quando il gioco si fa duro, esserci quando sarebbe più comodo e conveniente sparire. Queste sono le sfide attuali: certo, bisogna insegnare la tecnica e la tattica del gioco, ci mancherebbe. Ma non ce ne faremo niente di un giocatore bello da vedere ma incapace di stare in campo. E non possiamo nasconderci dicendo che questi non sono i nostri compiti: se vogliamo formare giocatori/trici, dobbiamo formare uomini/donne all'altezza. Rinunciando anche ad una vittoria in più, se necessario. Sempre che si possa essere giudicati dall'onestà e completezza del nostro lavoro e non dal numero di vinte/perse: dipende se vogliamo stare in superficie o scendere in profondità.

giovedì 9 marzo 2017

buona sfortuna

Dietro ogni problema c'è un' opportunità. Parola di Galileo, che non ha certo beneficiato di una vita facile. Potrebbe essere anche una bella frase da baci perugina o Mulino Bianco come banale antidoto alla lamentazione perenne, così in voga di questi tempi. Eppure è una sacrosanta verità. Prendiamo Alessandro Gentile: va in Grecia, gioca poco, sbaglia e torna in panchina. La licenza assoluta di Milano non esiste ad Atene. Ciò che era un abitudine deve diventare una conquista. Cosa fa il nostro eroe? Si arrende, cercando un altro Egitto dove ripararsi. Invece di lottare per guadagnarsi un posto, cerca un posto dove smettere di lottare. Per uno abituato a saltare la coda ( un po' per bravura, ma anche per diritto divino ), avrebbe tratto profitto, una volta tanto, da una certa parità di trattamento: basti guardare suo fratello Da Tome ( altra pasta di sicuro ) che dagli scantinati dell'NBA è passato agli ordini del miglior allenatore d'Europa guadagnandosi stima e minutaggio. A Gentile la faccia tosta non manca: dove è finita? Oppure come a scuola, si è forti con i deboli, ma deboli con i forti. Non è detto che avere un percorso liscio sia sempre un bene, come non è detto sia un male affrontarlo pieno di ostacoli. Lo stesso concetto vale anche nelle periferie del mondo, dove la cronaca non ha il tempo e l'interesse ad arrivare: gli allenatori si lamentano per l'infortunio del giocatore migliore e non si accorgono che in magazzino ( alias spogliatoio ) ci sono pezzi di ricambio ( sostituti ) che possono fare al loro caso. Un grave flagello sta inesorabilmente mettendo in ginocchio lo sport giovanile: si chiama indispensabilità. Il virus ha questi sintomi: non ci si adopera per cercare alternative - quindi, in pratica, si lavora sull'esistente ma non su ciò che potrà essere - ; ci si rifugia nel più classico e banale degli alibi - non si può vincere se non in presenza di tutta la dotazione - ; peggio del peggio, gli stessi giocatori di valore vengono rovinati con un vaccino adatto ad evitare ogni genere di frustrazione - irrinunciabili a tal punto che anche se si allenano o giocano male staranno sempre in campo,  nei secoli dei secoli. -. Il guaio è che nessuno nasce con l'etichetta di fenomeno in testa. Qualcuno gliela appiccica e da quel momento si è creato un danno irreparabile per tutti: per l'interessato, per chi gli sta attorno ( famiglie invasate ), per i compagni di squadra che giustamente reclamano maggiore attenzione e per lo stesso allenatore che non riesce più a governare la situazione. A Milano ora giocano Fontecchio Abass e Pascolo: non vinceranno l'eurolega, pazienza. Se Gentile non se ne fosse andato e Simon non si fosse infortunato, avrebbero fatto panchina. Buona sfortuna. Chissà se Gelsomino è d'accordo.