"Non è il cammino impossibile, ma l'impossibile è cammino"

sabato 29 aprile 2017

vie di fuga

Da cosa si fugge? In cerca di cosa? Mi viene in mente l'esercito di uomini e donne che hanno trovato fortuna fuori dalle proprie mura. Io non ne faccio parte: sono stato talmente frignone e codardo da accontentarmi di ciò che avevo a portata di mano. Eccetto una breve parentesi di esilio dantesco dalla città dove peraltro ho potuto toccare con mano cosa sia la gratitudine. Lavorare per e nella terra d'origine è un dato di normalità: diventa perciò insensato aspettarsi particolari attenzioni o riconoscimenti. Se potessi tornare indietro, prenderei lo zaino, una certa dose di incoscienza e giocherei le mie carte nello sfidare il futuro e la sorte. Non è il denaro a spingerci altrove: è il desiderio di essere giudicati per ciò che siamo e non per ciò che dovremmo essere. Partire da zero non è detto sia un handicap: possiamo misurarci su ciò che veramente sappiamo e sappiamo fare, non su quello che altri pensano e dicono di noi. Si gioca ad armi pari: nessun retaggio, nessuna raccomandazione, nessun pregiudizio. Dobbiamo uscire dal guscio per capire se la nostra bravura è reale, se i nostri meriti hanno consistenza, se i nostri desideri possono realizzarsi. C'è molto orgoglio nel sedere sulla panchina locale o nel giocare portando sulle maglie i colori e i simboli della propria città: ce n'è molto di più nel vedere i nostri ragazzi o ragazze che si fanno valere in giro per lo stivale o addirittura nel mondo. Esportare noi stessi non equivale a dimenticare: le origini rimangono impresse per sempre, come un marchio leggibile e indelebile. Ecco perché, semmai un giovane dovesse chiedermi un parere, non avrei dubbi: insegui i tuoi sogni, mettiti alla prova, cerca la verità che è dentro di te. Non aver paura di andare, farai sempre tempo a tornare. Anche se l'avventura non andasse come nelle previsioni, c'è sempre qualcosa da portare dentro che ti renderà più forte e migliore. Il coraggio che chiediamo agli altri è lo stesso che dobbiamo chiedere a noi stessi. Sembra un bisticcio di parole, ma è la verità: partire per tornare a casa.

sabato 22 aprile 2017

musi virali

Arriva un momento in cui tutti quanti dobbiamo fare i conti con la nostra coscienza. Se quello che stiamo facendo non ci piace, non ci soddisfa, non ci gratifica, meglio abbandonare e lasciare il posto ad altri. Una persona scontenta è in grado di contagiare chiunque navighi a fianco e, indirettamente, condizionare la prestazione altrui. Questa regola antica come il mondo vale per i dirigenti, gli arbitri, gli allenatori, i preparatori, gli atleti. Vale anche per i cosiddetti professionisti, malgrado le gratificazioni economiche possano parzialmente lenire la frustrazione. È sufficiente che uno solo in un gruppo decida di non collaborare per provocare una falla irreparabile: si può cercare di remare più velocemente, di raddoppiare le forze, ma è pressoché impossibile sostituire un pezzo mancante. I musi lunghi, i guastafeste, hanno un potere enorme nello spargimento della negatività: il malcontento si insinua e si diffonde fino a minare le certezze del gruppo. Dopo anni di onorata - e disonorata - carriera ho, a proposito, pochi dubbi: è la passione che ci spinge avanti, il piacere di vedere che le cose, come le persone, possono cambiare, migliorare, trasformare. Se la passione non esiste, o si dirotta su altri lidi, dobbiamo avere l'onestà e il coraggio di non provocare ulteriori danni a chi ci sta intorno. Quando la spinta motrice si esaurisce, condanniamo i compagni di viaggio a rallentare: chi vorrebbe e potrebbe volare, è costretto a tenere i piedi per terra. Non c'è contraddizione maggiore che fare sport ed essere infelici: nei momenti difficili c'è bisogno di incrociare uno sguardo sereno e sicuro di sé, in quelli trionfali di vedere braccia alzate, in quelli disperati di trovare una spalla dove appoggiarsi. Cosa guardano i bambini/e ragazzi/e che entrano in palestra? Non i palloni, non i canestri, ma se il loro allenatore è innamorato di quello che sta facendo: e con il sesto, anche settimo senso che solo loro possiedono, troveranno la risposta.

venerdì 14 aprile 2017

come i salmoni

Come i salmoni. Risalgono faticosamente la corrente dal mare al fiume. Percorrono centinaia di chilometri per poi morire sfiancati. Non mi viene un'immagine migliore per descrivere la fatica che fa una regione piccola come il Friuli Venezia Giulia per stare al passo con i grandi. Non siamo la Lombardia, stato nello stato, nemmeno l'Emilia Romagna o il Veneto. Nessuno ci regala niente; nessuno, giustamente, prova pietà. Dobbiamo arrampicarci sugli specchi, lottare con le unghie, rimanere agganciati alla vetta. Con un costo psicologico ed emotivo di dimensioni inumane: è vero, siamo una terra di grandi tradizioni e grandi giocatori e giocatrici, non possiamo deludere le aspettative. Allo stesso tempo siamo schiacciati dal peso delle responsabilità, dalla necessità di lasciare sempre qualcosa in eredità. Giochiamo spesso contro noi stessi, i nostri fantasmi, accecati dalla paura di non soddisfare le aspettative. La tensione ci assale, avvelena i nostri muscoli, annebbia la vista e fa tremare le mani. Eppure orgoglio e istinto di sopravvivenza non ci mancano: quello che ci permette e che ci ha permesso in passato di metterci in salvo, anche con l'ultima scialuppa a disposizione. Eccoci ancora qui, a recuperare centimetro dopo centimetro per guadagnarci la stima e il rispetto del resto Italia. Quello che vogliamo è misurarci con i più bravi per diventare migliori di ciò che siamo: lottiamo per imparare, prima ancora che per vincere. La vittoria non rappresenta l'unico sistema metrico infallibile: esistono coraggio, volontà, sacrificio, coesione. Non saremo giudicati dalle vittorie, ma dalla determinazione a vincere. Come i salmoni: molti non ce la fanno a tornare a casa, ma nessuno di loro si arrende.