"Non è il cammino impossibile, ma l'impossibile è cammino"

martedì 31 gennaio 2012

donne al comando

Sempre per sempre. Per l'ennesima volta sono le ragazze a tenere in alto i colori. C'è un filo comune tra pallanuoto, Arianna Fontana e Carolina Kostner? Evidentemente si ed è ufficiale: il carattere è rosa. Non si arriva in cima senza sacrificio, coraggio e sopportazione: qualità morali che probabilmente sono in maggior misura presenti nel cosiddetto sesso debole. Da femminuccia a maschiuccio: potrebbe essere questa la battuta offensiva nei confronti del setterosa. L'impressione è che siano proprio i soggetti maschili ad aver subito maggiormente il fascino della vita comoda. Le donne sono più attrezzate verso l'imprevisto, la difficoltà, la rinuncia. Ed è per questo che vincono, perchè sanno soffrire. E dire che l'attenzione verso lo sport femminile resta, anche ai vertici, di una esiguità imbarazzante e, spesso, colpevole. Salvo ricordarsene quando vincono titoli o medaglie. Nel mio piccolo, vivo con curiosità e stupore l'esperienza professionale al femminile. Ci sono cose che non posso e nemmeno voglio capire: è un mondo al quale è vietato l'accesso.Ce ne sono altre dalle quali è possibile imparare. Ad esempio, ho imparato che le donne sono padroni del loro destino: se non vogliono mollare, non molleranno. Se vogliono farlo, lo faranno. Non ci sarà nessuno a farle cambiare idea. Puoi urlare e sbattere le bottiglie per terra, ma solo loro possono decidere se vincere o meno. Sono un amante di Tom Cruise e Mission Impossible, ma forse sarebbe il caso di metterci una donna prima o poi.

venerdì 20 gennaio 2012

l'ultimo samurai

Quella di Gianluca Basile è davvero una bella storia, quasi una favola a lieto fine. Non ci si alza in piedi ad applaudire per lunghi minuti se non senti qualcosa di forte dentro. E’ successo a Barcellona – mica poco – una delle sedi prestigiose dello sport europeo, non solo del basket. Per chi ha avuto la fortuna di visitare il Camp Nou e il Palau Blaugrana sa di cosa si parla: non solo e non tanto di strutture sportive modernissime, ma di storia, tradizione, appartenenza. Vedere un italiano in mezzo al campo mi ha fatto dimenticare, almeno per un attimo, le nostre misere vicende interne. E’ stato un lampo, ma in quel momento ho provato orgoglio ed ammirazione. Non siamo ingenui, sappiamo tutti che Baso non è andato in Spagna per fare del volontariato: è andato per lavorare e credo oltretutto per essere trattato molto bene. Ma i catalani, gente calda ed esigente, non ci hanno messo molto ad apprezzare questo ragazzo del sud timido e generoso, di poche parole ma di grande cuore. Esistono molti modi per lavorare: lui ha scelto quello più difficile, che ti immedesima con la maglia che porti, sia della nazionale che di una città straniera. Avrebbe potuto fare il professionista in senso puro, ha deciso di amare quella maglia fino al midollo. Ha avuto l’accortezza e la modestia di capire che non avrebbe potuto competere con la stella nonché bandiera locale della squadra, Juan Carlos Navarro. Il fatto che i due provino una stima sconfinata reciproca sta a testimoniare l’intelligenza e la delicatezza dell’italiano: nessuna invidia né battaglia interna in sei anni di militanza. Quasi mai titolare, ha aspettato con pazienza il momento opportuno per dimostrare il proprio valore. Quando lo vedi giocare, capisci che sei alla presenza di un uomo speciale: carisma, difesa, tecnica sopraffina (altro che tiro ignorante, avrei qualche altra idea su come utilizzare l’aggettivo), sagacia tattica. Mi verrebbe da dire, a malincuore, merce sempre più rara. L’ultimo samurai.

giovedì 19 gennaio 2012

basta la fiducia

Ora vi spiego perchè preferisco il tifoso classico ai genitori presenti in tribuna. Il tifoso sostiene la squadra, i colori, la tradizione. I genitori vengono per seguire il proprio figlio. C'è una bella differenza: un tifoso non abbandonerà mai la squadra del cuore. Cambiano i giocatori, l'amore rimane. Se un ragazzo smette di giocare, stai certo che anche i parenti stretti abbandoneranno il loro seggio sugli spalti. Ad essere onesti, esiste una componente di adulti che riesce ad andare oltre il proprio sangue, ma è la classica eccezione che conferma la regola. Sono poche le famiglie che rimangono impassibili di fronte ad un figlio relegato in panchina o, nelle valutazioni di parte, sottoutilizzato. Purtroppo, questo è anche il virus che sta uccidendo lo sport in Italia ed uno dei motivi per cui molti giovani promettenti rimangono tali e non giungono al traguardo. Qualsiasi rapporto formativo, da quello scolastico a quello sportivo, si basa sulla fiducia. Se i genitori non hanno fiducia negli insegnanti o negli allenatori, è meglio lasciar perdere. Fiducia significa essere certi che posso contare su qualcuno per far diventare mio figlio migliore di quello che é. Insegnanti, allenatori, educatori: non sono nemici da affrontare, semmai complici nella difficile missione educativa. Devo ancora trovare un allenatore felice di veder soffrire un ragazzo: spesso, se non sempre, è proprio attraverso queste esperienze in apparenza frustranti che ci si può creare la scorza necessaria per riuscire in ogni campo della vita. Ho profonda invidia per il campionato universitario americano: palazzetti gremiti da coetanei festanti e colorati, orgogliosi di incitare i propri beniamini. Stiamo parlando di giovani, non certo di professionisti. So che non è un modello riproponibile, ma provate a chiedere al dodicesimo che forse entrerà in campo un minuto con la squadra sul + 30 se vuole cambiare squadra. Inutile che vi dia la risposta.

martedì 17 gennaio 2012

capolinea

Dal Palazzo giungono voci che superDino sia agli sgoccioli. L'ultima bacchettata di Petrucci deve aver fatto traboccare il vaso. Nei giorni ormai lontani dell'incoronazione presidenziale era stato presentato come un liberatore, colui che se ne sarebbe fregato delle procedure e che avrebbe portato aria fresca nell'ambiente logoro e stantìo della pallacanestro italiana. Non è stato così: nemmeno un uomo informale come Meneghin è riuscito a risollevare le sorti della palla a spicchi. Sarebbe stato più semplice entrare in campo, tirare due gomitate e dare qualche spintone a rimbalzo. In realtà, il problema è anche politico, ma non solo: ci sono indubbiamente molte cose che la Federazione può e deve fare - ad esempio, per dirne una, può limitare alcuni sprechi soprattutto sulle nazionali - ma il vero nodo gordiano può essere sciolto unicamente all'interno delle  migliaia di palestre sparse nel territorio. Non è colpa del presidente se il playmaker della nazionale italiana, con tutto il rispetto dovuto, risponde al nome di Maestranzi. Si può capire una certa difficoltà nel reperire giocatori di stazza di valore internazionale: non nascono tutti i giorni giocatori come Marconato o Chiacig, solo per citare gli ultimi in ordine cronologico. Nel caso del playmaker, stiamo parlando di un atleta con caratteristiche fisiche normali, ritrovabile all'interno del 90 % dei giovani cestisti italiani. E' evidente che esista una crisi vocazionale: è sempre più difficile trovare e creare giocatori di alto livello. Bargnani, Belinelli e Gallinari sono la classica eccezione alla regola: sotto di loro, ampiamente dimostrabile all'ultimo europeo, non c'è ricambio. Anche a me farebbe comodo sparare sulla federazione e liberare la coscienza da un tarlo insistente, ma i mali della pallacanestro italiana non sono di natura politica. O almeno non solo. Caro Petrucci, dica pure quello che vuole. Se la prenda con Meneghin. Affermi comodamente che la pallanuoto si è risollevata grazie ad un grande allenatore. Il problema è che Pianigiani è part time? Non vedo nelle altre nazionali panchine in esclusiva. La questione è, purtroppo, più grossa di quel che sembri. Non saranno le riforme a riportarci la nazionale alle Olimpiadi. Solo le maestre potranno salvare la pallacanestro, prima che sia troppo tardi.

martedì 10 gennaio 2012

kronos e kairos

Non è mia intenzione fare esercizio accademico gratuito, ma nell'antica Grecia esistevano due termini per definire il tempo: kronos, che é quello che noi conosciamo come sequenza numerica e perfetta di attimi misurabili, e kairos, traducibile come tempo opportuno, sfuggente a criteri scientifici e oggettivamente verificabili. Arrivo al punto: la pallacanestro è uno sport dove la variabile tempo è fondamentale. Molte regole si basano sul kronos: 3 secondi in area, 8 secondi per superare metà campo, 24 secondi per attaccare, 5 secondi per fare la rimessa. Ma anche kairos, il cosiddetto tempo favorevole, partecipa a pieno diritto all'essenza del gioco: basta un niente per vincere una partita, un gesto, un particolare, la cosa giusta al momento giusto. In sintesi, esiste un tempo quantitativo, fatto di secondi e minuti, e un tempo qualitativo, fatto di azioni che cambiano il corso delle cose. Non è necessario giocare 40 minuti per decidere una gara, è sufficiente un tiro, un rimbalzo, un recupero. Mi piace questa distinzione perchè siamo spesso schiavi dei numeri e delle statistiche, dimenticandoci che non tutti i secondi nel corso di una partita hanno lo stesso valore. Un rimbalzo preso all'inizio della contesa agonistica non ha lo stesso peso di un altro conquistato all'ultimo secondo. Così vale per l'impiego dei giocatori in campo: l'allenatore di basket non è come l'istruttore di nuoto che rileva meticolosamente i tempi parziali dei vari passaggi in vasca. Giocare un minuto da leoni può valere molto di più di 39 in modo anonimo. Non è il numero di minuti giocati che stabilisce il valore di un giocatore: spesso sono quelli che giocano meno, in senso quantitativo, a dare di più qualitativamente alla squadra. È la produzione in rapporto al tempo di gioco il vero criterio di verifica. Se capissimo questo, molti problemi che oggi sembrano insormontabili potrebbero sgonfiarsi in men che non si dica.

domenica 1 gennaio 2012

egregio presidente

Ho profondo rispetto per lei e per il ruolo che rappresenta.  Nel discorso di commiato dal vecchio anno, non ho trovato nulla da eccepire. Peccato per aver sprecato l'ennesima occasione per dare un volto e un nome ai responsabili della crisi e per essere rimasto troppo vago nell'elencare le proposte risolutive. Mi scusi, signor presidente: chi ci ha portato sull'orlo del baratro? Sbaglio o esistono delle persone, chiamate amministratori del bene pubblico, che dovrebbero vigilare sull'utilizzo corretto delle entrate e uscite di denaro proveniente dai cittadini? Quando una persona riceve un mandato, deve portarlo a termine nei tempi e modi richiesti. Troppo facile correggere i propri errori con denaro altrui: per la legislazione, mi sembra di capire che chi sbaglia debba pagare di tasca propria. Questo vale per tutti in condizioni di normalità, non per la classe politica. Se io come insegnante non faccio il mio dovere, sono punibile civilmente e penalmente. Possiamo dire la stessa cosa di chi vive in parlamento? E poi, signor presidente, mi sarei aspettato un invito pressante e inequivocabile alla casta a fare delle scelte esemplari in tempi di particolare gravità economica. Da chi può venire un monito se non dalla figura istituzionale più autorevole dello stato italiano? Mi sarebbe piaciuto sentire parole del tipo "cari colleghi, noi che siamo i privilegiati e che viviamo in una situazione di ricchezza spropositata, abbiamo il dovere di dare l'esempio al popolo italiano attraverso gesti concreti che mirino a contenere la spesa pubblica. Abolizione dei vitalizi, riduzione degli stipendi, diminuzione del numero dei parlamentari, soppressione delle auto blu e delle scorte, ecc ecc". Invece, niente: certo, ha parlato di colpire ricchezza e privilegio, ma restando molto sul generico. Una volta tanto, mi sarebbe piaciuto sentire nomi e cognomi: abbiamo forse paura di dire che i politici sono ricchi e privilegiati? No, egregio presidente, il suo discorso è rimasto a metà. E non mi interessa sapere che lei e qualcun altro avete già rinunciato a questo e quello: ci vuole un atto politico, coraggioso, inequivocabile, che valga per tutti.  L' anno poteva iniziare sotto una buona stella. Così, invece, è nuovo solo per il calendario: per il resto, nulla di nuovo sotto il sole. 

va e viene

Il bilancio è in pareggio, a reti inviolate Alti e bassi, come sempre. Vittorie e sconfitte. Gioie e dolori. Solo il vino risponde a criteri d'annata. Per noi uomini esiste la compensazione: tra una scoppola e l'altra, ogni tanto schiarite e boccate d'aria. Così il 2011 non fa eccezione: nulla di speciale, nulla di normale. Solitamente preferiamo salutare l'anno vecchio come se fosse una liberazione, ma in realtà sappiamo tutti che potremmo pentircene: non è scritto da nessuna parte che quello che arriva sia migliore. Possiamo esprimere dei desideri, ma abbiamo poche certezze che possano avverarsi. Personalmente conosco tre motivi per ritenere l'anno appena trascorso meritevole di essere ricordato: è nato il blog del console, il sottoscritto è ritornato in panca, il milan ha rivinto dopo anni lo scudetto. Per il 2012 non ho grandi pretese, ma se potessi sfregare la lampada un'idea ce l'avrei: fatti, non parole. E silenzio, tanto silenzio.