"Non è il cammino impossibile, ma l'impossibile è cammino"

giovedì 31 dicembre 2015

porgi l'altra guancia

Porgi l'altra guancia. Assurdo. Impossibile. Posso concepire l'amore per il prossimo, la solidarietà verso chi soffre. Qui mi viene chiesto di rimanere impassibile, di non reagire alle offese. Chi é quella donna o quell'uomo che riesce a praticare la nonviolenza non solo come metodo, ma come atteggiamento dell'anima. Forse Madre Teresa, Gandhi, Martin Luther King. Io non ci riesco. Non ce la faccio a perdonare il male. La cattiveria che ci arriva addosso invece di depositarsi si infrange e rimbalza fuori: forse questa é una spiegazione  - non certo l'unica - dell'infelicità umana. Chi ha pronunciato queste parole era pazzo? Ci ha sopravvalutati? O forse era solo un bravo oratore a caccia di facili consensi? Eppure le donne e gli uomini che hanno lasciato un'impronta indelebile -  non lo dico io ma la storia - sono quelli che hanno scelto di vivere in pace con gli altri ma, soprattutto, con se stessi. Quando c'è un cuore sano e pulito non c'è spazio per il rancore: se c'è amore per se stessi, non c'è odio per gli altri. Tutti noi conosciamo queste verità in superficie, ma in profondità siamo vulnerabili e preferiamo obbedire agli istinti primordiali. Purtroppo, per natura  siamo più orientati ad ottenere la ragione piuttosto che a vivere bene. Porgi l'altra guancia, cioè fai in modo che il male che ti è stato fatto non si trasferisca altrove, ma si perda nei rivoli nascosti e inutili dell'anima. É un'impresa titanica, ma é anche l'augurio che mi faccio. Ed è anche l'augurio che vi faccio.

lunedì 28 dicembre 2015

dietro la linea gialla

Rimango sinceramente esterrefatto. Leggo su piazza virtuale - anche locale - resoconti di presunte e mirabolanti prodezze da parte di bambini ( o giù di lì ) già campioncini in erba e capaci di eroiche gesta sportive tra coetanei. É l'ultimo ritrovato di violenza - mascherata da adulazione - perpetuata dal mondo degli adulti nei confronti dei minori. I genitori proprio non ce la fanno a stare dietro la linea gialla: in tribuna urlano, a casa parlano ( spesso sparlano ), ora addirittura scrivono. C'è da preoccuparsi, e non poco: crescendo con una percezione deformata della realtà - perché, parliamoci chiaro, a quell'età nemmeno Gallinari era un fenomeno - l'effetto che si ottiene è inevitabilmente catastrofico. Quando si accorgeranno di essere stati ingannati, quei bambini, ormai adolescenti, ci metteranno poco a rinnegare tutto quanto e cercare altrove soddisfazioni veritiere. Le parole, dovremmo saperlo, sono più potenti di qualunque spada: possono accarezzare, incontrare ed alleviare, ma anche illudere, fuorviare e generare malintesi. Dire ad un bambino che ha compiuto una vera impresa nell'aver vinto contro i simili del paese accanto - che, magari, hanno cominciato proprio ieri a fare sport - , significa non aver compreso quale sia il messaggio autenticamente formativo da usare in questi casi. Chiediamoci seriamente se la penuria di giocatori di alto livello - intendendo atleti al termine del percorso giovanile - sia dovuta anche  - certamente non solo - ad un'esaltazione sconsiderata delle capacità tecniche che conduce come esito ad un abbassamento delle motivazioni a migliorare. Poi, non ultimo, c'è il rispetto per i perdenti, elemento per nulla secondario. Chi ha subito una sconfitta, in particolare se giovane d' età, non sente necessità di ulteriori commenti. Una sconfitta, come una vittoria, parlano da sé, non hanno bisogno di aggiungere parole. Fosse per me, vieterei non solo gli articoli, ma anche i tabellini e le menzioni individuali: i risultati delle squadre sono visibili sui siti ufficiali delle singole federazioni. Sono consapevole, non è un discorso particolarmente natalizio, ma quando ci vuole ci vuole.

martedì 22 dicembre 2015

un anno da non so dove

Un anno. Chissà che risate dal non so dove nello spiare noi poveri mortali preoccupati di futilità e invano affannati a far quadrare conti che non tornano mai. Chissà se nel non so dove ti è capitato di incontrare i nostri angeli - Matteo Luca Andrea - che come te hanno lasciato questo mondo troppo in fretta e con intere pagine di domande che attendono ancora risposta. Un anno. Chissà se nel non so dove esistono il tempo e lo spazio, chissà, se dalle tue parti, é passato davvero un anno. Chissà se nel non so dove i miei genitori possono sentirmi, se è possibile recuperare il tempo perso, perché non sono bastati quasi cinquant'anni per dirsi e perdonarsi tutto. Chissà, forse il non so dove non si trova così lontano, forse siete nei nostri pensieri, nei gesti, siete al nostro fianco nella lotta quotidiana contro il marcio che cresce dentro e fuori di noi. Chissà, forse siete artefici impalpabili della faticosa e lenta trasformazione dei cuori da pietra in carne. Forse, se il mondo non è ancora sprofondato negli abissi, lo dobbiamo a voi, anime silenziose che vegliate sui nostri passi incerti. Un anno. " Caterina, se ancora per un attimo potessi averti accanto " sembra scritta apposta per chi ancora non riesce a spiegare e a darsi pace per la tua assenza temporale. Chissà, forse non te ne sei mai andata, forse sono i nostri occhi che non sono in grado di vedere il tuo sorriso e il tuo immancabile libro. Forse sono le nostre orecchie che non riescono più a sentire la tua fine ironia e le tue idee stravaganti e creative che ci hanno fatto e ci fanno navigare nel mare della tranquillità. Dal non so dove, insieme a tutti gli altri angeli, vigila su di noi, creature fragili e fallibili. 

sabato 19 dicembre 2015

indispensabile un corno

Va fatto un ragionamento nudo e crudo sull'indispensabilità. A maggior ragione oggi, che il talento lo si vede al binocolo e che la quantità di giocatori bravi si riduce considerevolmente. C'è il rischio, più o meno consapevole, che si creino dei mostri al posto di campioni. Il veleno somministrato a piccole dosi, basato sulla totale accondiscendenza, prima o poi farà effetto: l'adulato, non appena scoprirà l'inganno - 'forse non sono il fenomeno che tutti pensavano che fossi' - cadrà in un pozzo profondo senza aver speranza di risalita. É quello che più o meno succede ai giovani atleti cosiddetti promettenti: non escono mai dal campo, se non per cause di forza maggiore, non sono redarguiti (se vanno cazziati questi, figurati gli altri!), sono trattati con i guanti bianchi, ci si premura costantemente dello stato di salute perché, se dovessero marcar visita, sarebbero guai seri. Così, per riempire il taccuino di vittorie, ci si dimentica del primo e vero obiettivo con i giovani: guidarli alla maturità piena, fatta di consapevolezza ed autonomia, dove i limiti non sono peccati mortali ma elementi funzionali al miglioramento. In realtà, in questi casi chi subisce maggiori danni non é il giocatore in difficoltà che vede a malapena il campo - anche se la sofferenza di restare seduto in panchina per quasi due ore non é paragonabile al peggior insulto - semmai il predestinato che trovando davanti a sé praterie di libertà concessagli non può conoscere il confine tra ciò che é giusto e non giusto fare nelle diverse situazioni di gioco. L'indispensabilità, a prima vista placebo, diventa un boomerang fatale quando il gioco si fa duro ed é necessario avere atleti abituati non solo alle vanità della gloria temporanea, ma anche alla frustrazione imprevista ed inevitabile. Mi vengono in mente migliaia di giocatori che a livello precoce giovanile fanno sfracelli e che non appena raggiunta la fase della maturità agonistica non riescono a compiere il passo decisivo: tutta colpa del fisico? O della tecnica? O forse di una inabitudine a soffrire e sopportare, figlia di tanti, troppi anni passati sotto i riflettori senza aver mai provato la gavetta, la solitudine, il rimprovero, l'esclusione? Non si può non essere d'accordo con la Piccinini sulla disanima dei giovani atleti d'oggi: siamo però proprio sicuri che le responsabilità siano a totale carico dei giocatori? Non è che per caso, la vita troppo facile e spedita degli anni precedenti abbia inquinato le attese, le resistenze, le solidità? Nessuno é indispensabile, tutti sono utili: sembra un luogo comune, oggi invece è l'unica via percorribile per la salvezza dello sport. E forse non solo.