"Non è il cammino impossibile, ma l'impossibile è cammino"

sabato 28 dicembre 2013

l'anno che verrà


Vorrei potermi/vi convincere che l'anno che sta sfiorendo sia peggiore di quello che sta per sbocciare. Vorrei poter dire che domani non ci saranno più guerre e pestilenze, l'aria sarà più respirabile, i rapporti fra gli umani più cordiali e corretti. I parlamentari si ridurranno lo stipendio mentre gli operai non perderanno il lavoro. Il Milan vincerà lo scudetto, l'Olimpia Milano l'eurolega,  Balotelli non si farà più espellere e Bonera, difensore sottovalutato oltre che prete mancato, diventerà per acclamazione popolare il giocatore modello dell'anno. A Pordenone nascerà una nuova era di collaborazione fra le società di pallacanestro. I giornalisti, soprattutto locali, smetteranno di fare inutile ed offensivo gossip e cominceranno a raccontare le verità che contano. I dirigenti abbandoneranno i primi posti in parterre e finalmente si rimboccheranno le maniche. Gli allenatori abbracceranno la filosofia del dubbio mentre i giocatori, specialmente giovani, si lasceranno ammaliare dalla religione delle ginocchia sbucciate. Il pubblico, specialmente adulto, si convincerà  dell'inutilità, anzi dannosità, dei propri urli e abbandonerá alla chetichella i propri posti in tribuna per fare spazio agli amici e, perché no, fidanzate e morosetti. Gli arbitri scherzeranno con allenatori e giocatori e invece di dare tecnici tireranno le orecchie, alternando meticolosamente e ritmicamente il lobo destro al sinistro. Tutti saranno felici e smetteranno di lamentarsi. Ciascuno avrà innumerevoli motivi di gratitudine ed il perdono sarà lo sport nazionale più praticato. Dal saluto a denti stretti passeremo al sorriso convinto e dalle strette di mano agli abbracci. Non ci saranno più azioni legali e denunce e gli avvocati dovranno escogitare altri sistemi per guadagnare il pane quotidiano. L'anno che sta arrivando, fra un anno passerà. Io mi sto preparando: é questa la novità. 

domenica 22 dicembre 2013

le parole del silenzio


Immagino, quella notte. Buio, freddo, silenzio. Soprattutto silenzio. Forse il soffio del vento, il respiro di uomini e animali, il pianto di un bambino - un bambino qualunque, giovane incompreso , morto tragicamente  -. Nessun suono, nessun rumore, in particolare nessuna parola. Le parole: fatte per amare, per esprimere emozioni, per consolare, per perdonare. Oggi spesso usate per offendere, aggredire, preoccupare, umiliare, maledire. Parole che salvano e tolgono la vita. Abbiamo talmente oltrepassato il limite da non renderci conto di quanto bene o male facciano le parole dette e, talvolta, taciute. Di quale spirale perversa siamo a volte complici nel dar fiato e credito a dicerie, leggende, pettegolezzi. Oggi, il presepio chiede silenzio. Nel silenzio emerge la versione buona e ragionevole dell'umanità. Certo, esiste anche un mal silenzio: quello delle incomprensioni, della incomunicabilità, dell'ipocrisia strisciante. Ci si può far male a parole, ci si può far male tacendo. Però di quel silenzio, di quello vero e buono, ne abbiamo bisogno. Ne ho bisogno. Ricordi, immagini, persone, emozioni: liberare ciò che ci tiene in vita. Il silenzio ci invita a scrivere, più che a parlare: non messaggini standardizzati, ma lettere vere, magari con la penna. La paura ha riempito il silenzio: musica, cuffiette, auricolari, cellulari. In realtà, tutto ciò di cui abbiamo davvero bisogno lo troviamo dentro di noi. Il resto, é solo rumore. Rumore assordante.

Un abbraccio e un augurio a voi, miei fedeli e prodi lettori. Ci vuole coraggio, non solo nello scrivere, ma anche nel leggere!

martedì 17 dicembre 2013

dalla pallacanestro al basket




Sorrisi, abbracci, forse qualche lacrima - naturalmente nascosta, perché chi fa sport non deve piangere! -. Merito di un libro, delle sue foto, dell'uomo che faticosamente e meticolosamente ha messo insieme 80 anni della storia della pallacanestro pordenonese. Che é poi la storia di ciascuno di noi: se non ci fosse stato Dado Lombardi, se non gli fosse venuto in mente di passare di qua,  chissà ora dove saremmo tutti quanti. Colpiti e affondati da un omone livornese di origine - perciò inevitabilmente focoso - che faceva paura solo a vederlo. Un giorno mi passó accanto, avevo 14 anni, e mi chiese se mi avrebbe fatto piacere giocare nella Romolo Marchi. Certo che mi avrebbe fatto piacere! Finalmente avrei avuto quell'alieno di Domenico Fantin dalla mia stessa parte e forse avrei potuto giocare qualche finale nazionale. Ma ero tesserato con l'Edera, la vecchia società repubblicana, e Bosari, presidente nonché dirigente tuttofare - perché a quel tempo i presidenti facevano tutto -, mi avrebbe impalato all'istante. In qualsiasi caso, non avrei avuto scampo: decisi di restare, un po' per codardia e un po' per fedeltà, così tornai alle irrimediabili stoppate dell'uomo con le antennine maledendo ogni giorno la scelta, o non scelta, fatta. Mario Ferracini, burrascoso ma indefesso allenatore della squadra, ci riunì in spogliatoio dicendo che avrebbe lasciato andare chiunque ne avesse fatto richiesta: stavo per alzare la mano quando cominció ad elencare gli obiettivi tecnico-tattici della nuova stagione. In sostanza non me ne andai perché fui troppo lento. Così capii l'importanza del tempo: se arrivi tardi, perdi. Questo vale anche oggi, dopo quasi quarant'anni. Malgrado non fossi un fenomeno come giocatore e non avessi mai vinto niente in carriera, conservo gelosamente ancora oggi il mio inattaccabile alibi di ferro: nacqui purtroppo nello stesso anno del giocatore locale più forte mai visto in città. Sfido chiunque a contestare la veridicità di questa tesi. Lombardi non era solo l'allenatore della prima squadra: non perdeva una partita delle giovanili stando in tribuna e, talvolta, quando le cose si mettevano male, ci metteva poco malgrado la mole a scavalcare le transenne del vecchio palazzetto ( quello con un piano solo, dove la domenica si stava pigiati mentre oggi che c'è un piano in più non si capisce a cosa serva ) e prendersi d'autoritá il posto in panchina spostando di peso il malcapitato allenatore nei guai. Se oggi possiamo fare pallacanestro, lo dobbiamo agli uomini che hanno amato prima di noi e come noi questo sport, questa città, questi colori. Grazie a Roberto Ponticiello e al suo lavoro certosino, questa storia non é più leggenda narrata, ma storia vera scritta e impressa nei cuori di ognuno. Malgrado le delusioni, le cadute, i tradimenti, le sconfitte, i rimpianti, siamo ancora qui a lottare e soffrire per la pallacanestro. Un motivo ci deve essere. O siamo masochisti o eternamente innamorati. Forse tutte e due le cose. 

sabato 14 dicembre 2013

sull'attenti

Nessuno mi chiederà nulla. Ma se, nella rara ipotesi che dovesse capitare, un solitario eroe dovesse porgere la fatidica e insolita domanda del tipo: qual'é la cosa più importante da allenare oggi? Per una volta, forse per la prima volta, non avrei esitazioni. Non il tiro. Non il passaggio. Tantomeno il palleggio. Men che mai la difesa. Direi: la concentrazione. Sissignori, perché la concentrazione non é presente in forma genetica, ma si allena. Soprattutto di questi tempi. Ditemi come é possibile rimanere attenti quando, contemporaneamente, la nostra gioventù é in grado di svolgere cinque funzioni in una sola: ascoltare, parlare, guardare, scrivere, pensare. Mentre voi spiegate un esercizio e gli obiettivi da raggiungere, la quasi totalità della squadra ha in testa l'ultimo motivetto, il rossetto della compagna di banco, le immagini dell'ultimo goal di Balotelli, le frasi ingiuriose quotidiane ricevute su faccia libro. Per fortuna, mentre sono in campo, al momento non possono scrivere e ascoltare musica, ma non siamo molto lontani dall'avvento di qualche perverso marchingegno che permetterà di fare più cose. É di questi giorni, quindi fresco di stagione, l'ultimo assalto all'autoritá didattica: un alunno mi si presenta con la giustificazione mentre sulle orecchie sta ascoltando il brano preferito. Gli ho detto di non scomodarsi, così non ha nemmeno ascoltato gli insulti per l'ennesima performance da perfetto lavativo. Questa é davvero la battaglia del secolo: non é la stessa cosa eseguire un esercizio o partecipare attivamente al processo di auto miglioramento. Pretendere la massima attenzione e presenza mentale significa aiutare i giocatori a diventare consapevoli ed autonomi in campo. Ho una debolezza: non sopporto le panchine che teleguidano i giocatori in campo. É come ritardare il processo di crescita, come imparare le tabelline a memoria e non saper spiegare i teoremi. Se vogliamo che un giocatore diventi adulto, occorre che sbagli: certamente va rimproverato, ma non va prevenuto l'errore. La filosofia orientale, meglio di tutti, ci insegna il segreto del qui e ora: gustarsi una cosa alla volta cercando di cogliere in profondità il segreto nascosto in ogni attività dell'uomo. Insegnare ai ragazzi ad essere concentrati pretende, prima di tutto, che noi allenatori si enfatizzi l'importanza di ogni scelta: fare una cosa o farne un'altra non é la stessa cosa, scelte diverse hanno conseguenze diverse. Combattere la distrazione non é un'impresa semplice, ma necessaria se non vogliamo trovarci con giocatori perennemente immaturi o succubi passivi del gioco. Lo dice anche Tavcar: la pallacanestro é un gioco per gente intelligente. La concentrazione é la porta d'ingresso: se rimane chiusa, o se troppe porte restano aperte, il risultato sarà catastrofico.