"Non è il cammino impossibile, ma l'impossibile è cammino"

sabato 29 ottobre 2011

tempra psicologica

"Una volta lo sport era organizzato in modo molto più casuale. Ed era il caso stesso ad effettuare la selezione: ti buttava nella mischia, senza preoccuparsi se avevi fibre a prevalenza rosse o bianche, se eri fisicamente dotato o no. E quindi finivano per trovarsi nel mezzo dell'agone persone magari non ideali sotto l'aspetto fisico, ma adattissime dal punto di vista della tempra psicologica. Combattenti nati, gente che non aveva paura di niente e non si tirava mai indietro: e che alla fine, con la forza d'animo, riusciva a supplire alle carenze fisiche. Non c'era neanche così tanto allenamento. Così ti abituavi a dare tutto sempre e subito. Oggi, da paesi come i nostri, pieni di benessere, difficilmente emerge qualcuno. Siamo pieni di gente fisicamente azzeccatissima, selezionata e iper allenata, ma che poi sotto pressione si rivela inconsistente."

Eddy Ottoz, medaglia olimpica Città del Messico sui 110 ostacoli

giovedì 27 ottobre 2011

anonimo pordenonese

Non vorrei dire, ma ormai scrivono tutti. Se scrivono tutti, possiamo scrivere anche noi. L'ultimo libro è quello della Di Centa. In vetrina c'è anche quello di Dino Meneghin. Baggio, addirittura Cassano. Simona Ventura, Federica Pellegrini. Insomma, tutti hanno cose interessanti da dire. Basta essere famosi, anzi televisivi. E noi? Non abbiamo niente da raccontare? La nostra vita è così insulsa e banale che non merita di essere pubblicata? Avrei mille cose da raccontare: aneddoti, battute celebri, situazioni grottesche. Aspettative dei genitori come macigni sulle deboli spalle dei figli. Allenatori che in cambio di una vittoria sarebbero disposti a pagare qualsiasi cifra. Riti scaramantici, il più famoso contro la temuta fotografia di squadra pre-partita. Arbitri arrabbiati, dirigenti scoppiati, giocatori montati. Ma sono racconti anonimi, scritti da anonimi, in un contesto anonimo. Chi vuoi che gliene freghi di cosa succede in una sperduta città del nord-est che anche nei film viene ridicolizzata come ultimo avamposto patriottico ai confini dell'Europa orientale? Noi siamo sconosciuti, pertanto indegni di presentarci agli altri. Non abbiamo vinto medaglie, nè abbiamo militato nelle grandi squadre italiane. Non abbiamo indossato la maglia azzurra - casomai tifato - nè mai vinto un europeo o un mondiale. Eppure le emozioni, garantito, sono identiche: vincere la stracittadina ha lo stesso valore del trionfo nel derby milanese. I pianti e le urla in spogliatoio sono le stesse. Nessuno ha scritto di basket a Pordenone malgrado ci sia molto da raccontare: ad esempio, l'approdo e l'immediata fuga dell'americano Lister, giusto in tempo per dare una lezione alle blasonate Mestre e Venezia che, vista l'accesa rivalità, col cavolo avrebbero fatto un'unica squadra come ai nostri giorni. I giovani che vanno in campo oggi sono i figli di quella generazione di ragazzi che aveva perso la testa per gli eroi del Palazzetto: Sambin, Voselli, Fantin, Fultz, Masini. Che cosa sanno di quei tempi? Forse qualche notizia approssimativa. Noi siamo la nostra storia. Siamo ciò che eravamo. Forse la decadenza sta proprio qui: abbiamo perso la memoria. Non serve rincitrullire: è sufficiente provare imbarazzo verso chi ci ha preceduto. La verità è che quel poco che siamo, piaccia o no, è comunque in gran parte merito altrui.

mercoledì 26 ottobre 2011

parole di mamma

" La vita non deve avere rimpianti.
  Lui ha fatto quello che gli piaceva. "

   Rossella madre di Marco Simoncelli

lunedì 24 ottobre 2011

tanto e quanto

So di andare controcorrente ma la morte di Simoncelli non mi fa scendere una lacrima di più rispetto a qualunque  sconosciuto motociclista che abbia perso la vita sulle normali strade di ogni giorno. Anzi, morire su un circuito ci può stare: sulle strade mi convince di meno. Certo Simoncelli era un campione famoso e la sua scomparsa ha lasciato tutti sbigottiti: com'è possibile che possa mancare chi fino a poco tempo prima ci aveva entusiasmato con il suo coraggio e bravura? E' anche vero che chiunque faccia quel mestiere è consapevole dei rischi che corre. Non sono io che devo ricordare Ayrton Senna, forse il più bravo pilota di tutti i tempi, morto in pista mentre faceva ciò che gli piaceva: guidare in formula 1! Appena una settimana fa è morto a Indianapolis uno dei piloti più esperti del circuito americano, lasciando moglie e due figli piccoli. Non dico che sia una morte annunciata, ma certamente prevedibile. Chiunque guidi un'auto o una moto su un circuito sa di correre con la morte al suo fianco: semplicemente non ci pensa, ma non può togliersi quella compagnia di dosso. Si può morire stando fermi, figurarsi a 300 all'ora. Giacomo Agostini, grande campione del passato vincitore di tanti GP, ha detto con semplicità disarmante ma anche con estrema efficacia:" Io ho avuto fortuna, Simoncelli no". Le strade fanno stragi, più dei circuiti, ma non ci fanno impressione come i Gran Premi: possiamo dire che esiste una scala di valore anche nella morte? Per quanto mi riguarda, la Morte di Gheddafi vale quanto quella del ragazzo marocchino investito a Meduno. Così vale per Simoncelli: dispiaciuti, tanto e quanto gli altri.

martedì 18 ottobre 2011

quarto, quinto, sesto potere

Rimango contrario all'idea che le parole che si scrivono o si dicono sugli atleti siano ininfluenti: stampa, televisione, siti specializzati con relativi forum incorporati incidono non poco sulla formazione mentale ed emotiva di un giovane giocatore. Le giustificazioni minimalistiche degli autori non mi convincono più. Una parola poco pesata può fare più danni di un anno di allenamenti sbagliati. C'è un problema di fondo: l'educatore lavora su un materiale grezzo, il cronista vede già il prodotto finito. Non dico ci sia intenzionalità, sicuramente sottovalutazione del problema. Se un giornalista afferma che un ragazzo è un fenomeno, pur in buona fede, commette un errore devastante, forse irreparabile: cosa ne sappiamo noi delle capacità di filtraggio e assorbimento di tali affermazioni nella testa di un giovane in piena crescita? Siamo proprio sicuri che la predizione di un futuro carico di soddisfazione e successo sia la chiave giusta per aumentare la motivazione all'impegno? E se invece dovesse avvenire che di fenomeno non si tratta, è solo colpa dell'allenatore? Nessuno ripensa alle aspettative e alle pressioni a cui è stato sottoposto un atleta in erba e che possono aver minato le certezze che fino a quel momento sembravano essere tali? Sarò bacato in testa, certamente fatto all'antica, ma tutta questa esaltazione non è salutare. Se in campo il giocatore si prende le bastonate da chi ritiene di doverlo educare e in altre circostanze gli viene passata la carota di chi profetizza un avvenire ad alti livelli, a chi deve credere? Crederà a chi gli prospetta sacrificio e stridor di denti o a chi, in poche e suadenti parole, lo ha già proclamato arrivato e bisognoso di nulla? Ai ragazzi - senza averne colpa - non piace fare fatica: fin dal primo giorno di vita hanno imparato che esiste una strada comoda e un'altra meno. Spesso siamo noi adulti che, inconsapevolmente, indichiamo la via più facile come se fosse la cosa più logica da fare. Non ci rendiamo conto che, a furia di aiutarle a scansare, abbiamo fiaccato le nuove generazioni: dovevamo avere il coraggio di dire che nulla si ottiene a basso prezzo. Così per la gloria sportiva: non bastano  belle parole elogiative per fare un campione, ci vogliono mille ingredienti e, soprattutto, le dosi giuste.

domenica 16 ottobre 2011

in un'altra vita

In un'altra vita non farò più l'allenatore. Il mio turno è finito. Mi piacerebbe fare il giocatore: potrei divertirmi e finalmente dormire le notti seguenti alle partite. Oppure l'arbitro - perchè no? - mi prenderei un sacco di insulti - e chi non li prende? - ma almeno non sarei a rischio di esonero. Potrei fare il dirigente, operare sul mercato e scegliere gli allenatori. Il giornalista? Non male, un conto è riportare i fatti, un altro fare le scelte. Che dire poi dei commentatori televisivi, belli seduti in poltrona a sentenziare verità e giudizi sulle ceneri altrui. Ci sarebbero poi nuove figure professionali: il preparatore fisico ad esempio, che colpa ne ha se la squadra non fa mai canestro? Il procuratore, interessante parlare per conto d'altri. Deve essere un castigo divino che prima o poi tocca a tutti. Anche a te, caro Paolo Maldini, che hai affermato che non farai mai l'allenatore, per nessuna cosa al mondo. Un giorno, in un'altra era, forse in un'altra galassia, toccherà pure a te affrontare la fatidica e stupida domanda alla quale, da affermato mister, non potrai sottrarti: da giocatore ero un brocco!

venerdì 14 ottobre 2011

che sia donna

La Pellegrini portabandiera? Ma a chi vengono queste idee? Non si dovrebbe nemmeno porre il problema. A parte la Trillini - ex alfiere tra l'altro - che non vorrebbe la Vezzali per motivi squisitamente legati ad antiche rivalità, c'è un plebiscito nazionale per la schermitrice marchigiana. La questione che solleva la campionessa del nuoto non è però capricciosa, nè infondata: gareggiare immediatamente dopo una sfilata in una competizione dove i millesimi fanno la differenza non è certamente consigliabile. In più, le nostre speranze di medaglia a Londra sono talmente ridotte che privarci di un possibile oro olimpico sarebbe stupido e masochistico. Che la Pellegrini non sia nella hit parade della simpatia e che spesso le sue scelte siano state dettate da narcisismo nessuno lo discute. In questo caso, però, mi sento di dire che l'aspetto sportivo deve prevalere su quello patriottico. Portare una bandiera in giro piuttosto di vederla in cielo sarebbe uno sbaglio colossale. L'onore è comunque salvo: chi meglio di Valentina Vezzali può in questo momento rappresentare tutti gli italiani, atleti compresi? Lasciamo che la Pellegrini vinca la sua gara e godiamoci l'atleta jesina portare il tricolore come se fosse il suo fioretto. Comunque sia, che sia donna.

mercoledì 12 ottobre 2011

grazie di esistere

Di Valentina Vezzali non so più cosa aggiungere. C'è una cosa che mi piacerebbe fare: portare le mie squadre a vedere come si allena un'atleta di 37 anni che ha vinto tutto e sempre. Perchè c'è uno stereotipo che va demolito: non è vero che campioni si nasce, campioni si diventa e, soprattutto, si resta! Non è vero che la Vezzali ha ricevuto un dono che altri non hanno e non è vero che chiunque al suo posto avrebbe fatto quello che ha fatto lei.  Assieme a Josefa Idem è uno degli atleti - in senso assoluto - che ancora sa farmi emozionare: bisogna davvero essere molto forti dentro per gareggiare, ma soprattutto allenarsi dopo aver vinto tutto e non dover dimostrare più niente, se non a se stessi. Tra l'altro, con famiglia a carico. Due sport, scherma e canoa, che non invogliano nemmeno economicamente (a parte la pubblicità): chissà dove trovano, queste due fuoriclasse, la forza mentale e fisica di ricominciare, ogni giorno, daccapo. Giuro che se una delle due non sarà portabandiera a Londra scriverò a Petrucci tutto il mio sdegno: chi meglio di loro può rappresentare la nostra nazione? Finchè ci sono in circolazione atlete di questo tipo, non è ammesso a nessun praticante agonista venire meno ai canoni classici del vero allenamento sportivo: impegno, sacrificio, lucidità. Quando vedrò qualcuno battere la fiacca, chiederò allo "spirito" di Valentina e Josefa di venirmi in soccorso: un ragazzo di 16 anni non può certo allenarsi peggio di una donna di 37! Anche i nostri calciatori, strapagati e idolatrati, vadano qualche volta a lezione. Meno parole e scioperi, meno soldi anche, più modestia e lavoro.

martedì 11 ottobre 2011

niente regali

C'è chi la partita te la dà vinta e chi invece te la fa sudare. Lottare senza possibilità alcuna di vittoria non è un gesto inutile e nemmeno folle. La resa incondizionata non è un gesto folle, ma sicuramente inutile. Chi si arrende - stiamo parlando in ambito sportivo naturalmente - rinuncia al desiderio della sfida che è connaturale all'essere umano. L'assalto all'invincibilità dovrebbe essere uno dei motivi, se non il più importante, che dà gusto e valore allo sport. Se in ambito bellico affrontare il nemico in inferiorità potrebbe essere considerato insensato e suicida - visto i costi di vite umane - nello sport battersi con i più forti acquista significati morali impensabili. Forgia il carattere, aumenta la coesione nel gruppo, migliora la qualità della preparazione. Per l'Italia del rugby, ad esempio, giocare contro gli All Blacks è un'occasione unica per migliorare e per capire quale sia il punto di arrivo del lungo cammino da compiere. L'invincibilità, nello sport, è però un dato variabile: oggi capita a me, domani sarà il tuo turno. Non è, fortunatamente, un dato perenne. Siena, che ha dominato nella pallacanestro degli ultimi anni in Italia, è destinata a lasciare il passo prima o poi: fa parte del gioco dell'alternanza. Questo insegna che i vinti, in qualsiasi caso, meritano rispetto. Chi non dà rispetto mentre regna, non può chiederlo da suddito. Gli imbattibili si vedono anche da questi atteggiamenti: sanno quanto costi stare in alto e non si sognerebbero nemmeno un minuto di usare la derisione nei confronti degli avversari. Prima o poi - sperimentato - chi umilia sarà umiliato e viceversa. Ecco perchè non mi sono mai piaciuti i coretti in spogliatoio e le corse sfrenate in mezzo al campo. Mi commuovono tuttora, invece, le strette di mano e gli abbracci a fine gara, come la squadra battuta che esce fra gli applausi nel rugby. Non c'è niente di più bello, per uno sconfitto, che uscire dal campo avendo meritato il rispetto del vincitore; non c'è niente di più bello, per il vincitore, sapere che la propria vittoria è stata sudata e, quindi, meritata. Nessuno regala niente ed è giusto così.

domenica 9 ottobre 2011

domenica bestiale

Era un pò di tempo che non provavo l'ebbrezza della doppia partita quotidiana. Un'overdose domenicale in panchina: mattina con i maschi, pomeriggio con le donne. Il problema più grosso, come previsto, la voce: non riesco proprio a starmene zitto. In più, i primi freddi hanno messo a dura prova la resistenza delle poche corde vocali rimaste. D'altronde, se un allenatore non può scendere in campo, l'unico modo valido per rendersi utile rimangono le urla. Devo ancora avere il piacere di conoscere un coach silenzioso: mancia consistente a chi dovesse presentarmene uno. Sarebbe molto bello vedere la propria squadra giocare perfettamente e seguirla pacificamente con braccia conserte e sorriso di circostanza: di sicuro ne guadagnerebbe la salute, messa a dura prova solitamente tra un'arrabbiatura e l'altra. Mentre mi spostavo da una palestra all'altra notavo sui marciapiedi coppiette mano nella mano dirigersi verso il centro città e mi chiedevo: siamo solo noi i soliti pirla che sappiamo rovinarci i giorni di festa rinchiusi in scatole di cemento armato dove si consumano battaglie sportive con alto livello di ferocia? Alla fine della fiera, occorre ammetterlo, facciamo quello che ci piace: sano masochismo che pervade la categoria fin dai tempi antichi. Gente malata, senza alcuna speranza di guarigione.

giovedì 6 ottobre 2011

mal di routine

Ricco. Famoso. Antipatico - almeno finchè giocava con le altre squadre - Bello? (lascio la risposta alle lettrici se mai ce ne fossero) Si chiama Zlatan Ibrahimovic e pare che sia stufo della professione di calciatore. Può avere qualsiasi cosa ma non è contento di ciò che ha. Il suo stipendio annuale vale 400 volte il mio ma sembra non sia sufficiente a comprargli la felicità. Malgrado tutto lo capisco. Non lo giustifico, ci mancherebbe, ma posso intuire cosa gli stia capitando. Si chiama volgarmente mal di routine e ne sono affetti quasi tutti gli uomini e le donne della civiltà post moderna, calciatori compresi. Chi non si é mai sentito ingabbiato tra sveglie, campanelle, orari, timbri, ambienti, facce che si ripetono senza sosta e pietà per tutti i santi giorni? Chi non si è mai sentito logoro di fare le stesse cose in maniera continuativa e per lungo tempo? ( i politici sono una categoria a parte, possiedono un vaccino contro la noia ) Forse gli artisti hanno il privilegio esclusivo di poter trascorrere le giornate in modo diverso e creativo: il disco fatto da De Andrè e De Gregori in Sardegna è stato scritto dal primo di notte e dal secondo di giorno. In pratica, i due si salutavano prima di andare a letto lasciandosi il compito a vicenda di concludere il lavoro iniziato. Anche i cow-boys, almeno quelli dei film, avevano una vita affascinante: un giorno pistoleri, un altro amanti, poi bari al gioco, rapinatori e molto altro. Il mito di Robinson Crusoe è quanto mai attuale: da situazione disperata di emergenza ad una vera e propria opportunità per uno stile di vita nuovo fondato sull'essenzialità. Mai come adesso mi tornano in mente le vecchie vignette della settimana enigmistica con l'omino solitario sull'isola deserta: chi ha detto che la scialuppa così agognata sia davvero di salvataggio oppure di eterna condanna?

mercoledì 5 ottobre 2011

arbitri contro

Stavolta arbitri contro. Tola, presidente dell'AIAP, chiede la conversione immediata delle valutazioni degli osservatori in voti. Zancanella, presidente CIA, risponde picche. Da qui gli arbitri non si sono presentati ai test atletici preliminari e si rischia così di cominciare il campionato senza fischietti. La questione relativa alla valutazione della prova arbitrale è molto delicata: nel corso degli anni abbiamo assistito a giudizi ribaltati all'ultimo istante con promozioni e bocciature immeritate. Trovo sia irrinunciabile la richiesta di maggiore trasparenza: certo non è pensabile una valutazione oggettivamente perfetta, quantomeno si potrebbe porre freno ai sistemi perversi e spesso corrotti che hanno caratterizzato i salti di categoria della componente arbitrale. In sintesi, tutti vorremmo che fischiassero in serie A i più bravi e non i raccomandati. In passato, anche recente, alcuni arbitri di Pordenone  avrebbero meritato di misurarsi con la massima serie, ma guarda caso, nessuno è riuscito a compiere l'ultimo passo utile per accedere nel gotha del basket nazionale. D'altra parte, un conto è un pallone che entra nel canestro e che vale 1,2 oppure 3 punti a seconda delle situazioni e che nessuno può contestare; un altro è un giudizio dato da altri su criteri apparentemente oggettivi ma che è macchiato inevitabilmente dalla fallibilità dell'interpretazione soggettiva. Come la ritmica o i tuffi: chi può dare la certezza assoluta che la valutazione corrisponda effettivamente alla prestazione? Se i voti fossero pubblici e uscissero di volta in volta sarebbe difficile se non impossibile manipolare ciò che appare evidente: perchè il CIA fa resistenza?

lunedì 3 ottobre 2011

fuoriclasse

" Ho pensato, negli ultimi due tre anni, che con questo Decadancing io intendo lasciare e non farò altri dischi e altri concerti. Mi sono domandato se al prossimo album ipotetico io avrei avuto la stessa forza, lucidità e passione che ho potuto garantire fino a qui. E la risposta è stata: non lo so ".

Ivano Fossati a "che tempo che fa"

sabato 1 ottobre 2011

basket in chiaroscuro

Non potevo mancare al ritorno del basket alla tv in chiaro - a proposito, mi chiedo a cosa serva la pay tv a noi cestofili visto che l'Nba potrebbe non partire - e francamente sono rimasto un pò deluso. Ad Ugo Francica Nava, che comunque ha dei meriti come cronista anche se un pò datato, qualcuno deve spiegare che l'agitazione è prerogativa degli allenatori: qualche goccia sedativa prima di andare in diretta non sarebbe una cattiva idea. Per quanto riguarda il Poz, concordo con il cartello scritto da qualche arguto e competente tifoso: meglio giocatore - arridateci la mosca atomica - che commentatore. L'inviato a bordo campo ha interpellato Minucci su Bargnani dimenticandosi - forse non ne è al corrente - che persino Kobe Bryant potrebbe giocare in Italia. Insomma una partenza falsa: forse saremo un pò troppo ben abituati, ma da un'emittente che ha l'esclusiva sulla pallacanestro italiana ci si aspetterebbe qualcosa di più. Per fortuna, per noi privilegiati, esiste sempre tele Capodistria dove trovare rifugio. Il buon Sergio ha il dono di non essere mai banale e ripetitivo: soprattutto chiama le cose con il loro nome e per un giornalista non è una cosa nè scontata nè di poco valore.