Non vorrei dire, ma ormai scrivono tutti. Se scrivono tutti, possiamo scrivere anche noi. L'ultimo libro è quello della Di Centa. In vetrina c'è anche quello di Dino Meneghin. Baggio, addirittura Cassano. Simona Ventura, Federica Pellegrini. Insomma, tutti hanno cose interessanti da dire. Basta essere famosi, anzi televisivi. E noi? Non abbiamo niente da raccontare? La nostra vita è così insulsa e banale che non merita di essere pubblicata? Avrei mille cose da raccontare: aneddoti, battute celebri, situazioni grottesche. Aspettative dei genitori come macigni sulle deboli spalle dei figli. Allenatori che in cambio di una vittoria sarebbero disposti a pagare qualsiasi cifra. Riti scaramantici, il più famoso contro la temuta fotografia di squadra pre-partita. Arbitri arrabbiati, dirigenti scoppiati, giocatori montati. Ma sono racconti anonimi, scritti da anonimi, in un contesto anonimo. Chi vuoi che gliene freghi di cosa succede in una sperduta città del nord-est che anche nei film viene ridicolizzata come ultimo avamposto patriottico ai confini dell'Europa orientale? Noi siamo sconosciuti, pertanto indegni di presentarci agli altri. Non abbiamo vinto medaglie, nè abbiamo militato nelle grandi squadre italiane. Non abbiamo indossato la maglia azzurra - casomai tifato - nè mai vinto un europeo o un mondiale. Eppure le emozioni, garantito, sono identiche: vincere la stracittadina ha lo stesso valore del trionfo nel derby milanese. I pianti e le urla in spogliatoio sono le stesse. Nessuno ha scritto di basket a Pordenone malgrado ci sia molto da raccontare: ad esempio, l'approdo e l'immediata fuga dell'americano Lister, giusto in tempo per dare una lezione alle blasonate Mestre e Venezia che, vista l'accesa rivalità, col cavolo avrebbero fatto un'unica squadra come ai nostri giorni. I giovani che vanno in campo oggi sono i figli di quella generazione di ragazzi che aveva perso la testa per gli eroi del Palazzetto: Sambin, Voselli, Fantin, Fultz, Masini. Che cosa sanno di quei tempi? Forse qualche notizia approssimativa. Noi siamo la nostra storia. Siamo ciò che eravamo. Forse la decadenza sta proprio qui: abbiamo perso la memoria. Non serve rincitrullire: è sufficiente provare imbarazzo verso chi ci ha preceduto. La verità è che quel poco che siamo, piaccia o no, è comunque in gran parte merito altrui.