"Non è il cammino impossibile, ma l'impossibile è cammino"

martedì 29 novembre 2011

senza danni


Federer-Nadal. Affidabilità-Eccentricità. Tecnica-Atletismo. Svizzera-Spagna. Genio-Sregolatezza. Comunque due campioni. Due modi di vincere. Pochi tra gli over a tifare per lo spagnolo; pochi tra gli under a sostenere Federer. Un piacere vederli contro: due scuole, due temperamenti, due generazioni. Finalmente due diversi, riconoscibili e inconfondibili. A dimostrazione che nello sport esistono più vie per raggiungere il successo. Non esiste l'atleta preconfezionato, costruito in laboratorio. Esistono gli atleti, espressione di culture tipiche, frutto di metodologie formative spesso contrapposte. Non c'è Bibbia, non c'è verità, non c'è scienza. Non c'è un atleta uguale ad un altro, non c'è apprendimento standard, non ci sono formule. Si va per tentativi, spesso si sbaglia, a volte ci si azzecca. Come diceva qualcuno, l'allenamento serve a portare in superficie ciò che si trova in profondità. Non si tratta di costruire campioni, semmai di impedire che non lo diventino. In questo senso la responsabilità dei tecnici è schiacciante. Diffidiamo dai maghi: nessuno ha il potere di trasformare un atleta. Nemmeno Ettore Messina avrebbe potuto "creare" Danilo Gallinari. Un allenatore può perfezionare, non certo plasmare. Ma allora a che serve? A non fare danni. Federer e Nadal hanno avuto bravi allenatori: a prima vista, non sembra ne abbiano subìti.

sabato 26 novembre 2011

cercando un altro egitto

Quando ero giovane mi chiedevo che senso avesse allenare squadre di un altro paese. Hanno cominciato gli slavi con il calcio: frettolosamente li definii mercenari, santoni frustrati incapaci di ottenere risultati in patria. Ora ne è pieno il pianeta: italiani all'estero e stranieri in Italia. Anche il mio giudizio è cambiato: se potessi, andrei anch'io volentieri in giro per fare nuove esperienze in ambienti incontaminati. Vedendo Velasco allenare la nazionale iraniana di pallavolo mi è salito un sentimento misto di ammirazione e invidia: ammirazione per un uomo che ha vinto tutto e che riesce a trovare nuovi stimoli, invidia per l'adorazione dei giocatori nei suoi confronti. L'entusiasmo di queste squadre esordienti nel panorama internazionale é davvero contagioso: spesso gli allenatori hanno bisogno di un bagno di vitalità ricreandosi in ambienti dove è necessario partire da zero ma la volontà di crescere è impareggiabile. I casi di longevità sulla stessa panchina sono sempre più rari: Fergusson, Wenger, Pianigiani. Ma questi sono in una botta di ferro. Ogni tanto c'è bisogno di cambiare e di portare il proprio credo da altre parti: spesso la nostra spinta vitale trova inevitabile esaurimento quando è spesa per troppo tempo nello stesso posto. Insomma, l'ambiente è stufo di noi e noi siamo stufi dell'ambiente. In questo senso capisco Messina, Scariolo, Anastasi, Guidetti, Capello, Trapattoni: di certo loro sono su un altro livello, ma la questione in gioco è la stessa. Trovare altri stimoli e soddisfazioni nuove: il desiderio di sentirsi ancora utili li ha portati in giro per il mondo. Forse a noi, comuni mortali, basterebbe solo qualche chilometro.

giovedì 24 novembre 2011

consapevolezza

Un noto scrittore di viaggi fu invitato a cena a casa di una famiglia benestante giapponese. Il padrone di casa aveva invitato numerosi ospiti, preannunciando di avere qualcosa di importante da condividere con loro. Una delle pietanze sarebbe stata a base di pesce palla, considerata una prelibatezza in Giappone, anche perchè questo pesce é mortalmente velenoso, a meno che il veleno non sia asportato da uno chef molto esperto. Era un grande onore essere invitati a gustare quella prelibatezza.
Lo scrittore, che era l'ospite d'onore, attese la pietanza con grande curiosità e ne assaporò ogni boccone. Effettivamente non aveva mai assaggiato niente di così gustoso. Il padrone di casa gli chiese che cosa ne pensasse di quell'esperienza. L'ospite descrisse in toni estatici il gusto squisito del pesce che aveva appena assaporato. Non dovette esagerare, perchè era davvero sublime, tra i cibi migliori che avesse mai assaggiato. Soltanto allora il padrone di casa gli rivelò che il pesce che aveva mangiato era di una varietà comune. Un altro ospite aveva mangiato il pesce palla, senza saperlo. La cosa importante, scoprì l'autore, non era quanto fosse buona una rara e costosa prelibatezza, ma quanto potesse essere meraviglioso il cibo ordinario, se prestava attenzione ad ogni boccone.

martedì 22 novembre 2011

romanzi inediti

C'è una letteratura da spogliatoio che difficilmente verrà ricordata nei circoli culturali più raffinati ma che comunque merita di essere menzionata. Agli odori esilaranti e agli urli animaleschi spesso si mischiano parole ed emozioni che possono segnare in modo indelebile la vita sportiva degli atleti. I discorsi pre-partita rappresentano il meglio della cosiddetta narrativa sportiva: non è un mistero che dalle parole più o meno toccanti pronunciate dagli allenatori possano scaturire prestazioni superiori o inferiori alle attese. Ci sono momenti in cui bisogna sferzare, altri dove è necessario accarezzare. In alcuni casi funziona il sale, in altri lo zucchero. A volte è il silenzio a parlare per tutti: di fronte ad una sconfitta, è meglio usare meno parole possibili. Come dice giustamente Dan Peterson, mai parlare a caldo quando una squadra è ferita. Lo spogliatoio è soprattutto il luogo delle parole proibite: quello che ci si dice dentro è spesso irripetibile fuori. Fa parte di un patto segreto fra tutti i componenti della squadra fare in modo che non esca nulla di ciò che accade all'interno delle quattro mura. Spesso volano parole grosse, ma è meglio dirsi tutto in faccia piuttosto che trascinare situazioni cancerogene: anzi, ho visto squadre cambiare atteggiamento in meglio dopo furiosi litigi chiarificatori. Difficile indossare maschere quando c'è in gioco la propria faccia. Personalmente giudico un giocatore che risponde non del tutto appropriato; c'è da dire però che spesso sono proprio questi soggetti a dimostrare carattere e attaccamento alla causa. Ben venga se rispondere non significa cercare alibi ma dimostrare concretamente in campo di avere ragione. Gli allenatori amano i giocatori orgogliosi. Il campo è la vita pubblica, lo spogliatoio quella privata: non tutto quello che si fa in pubblico si può fare in privato e viceversa. Lo stesso vale per le parole: c'è un linguaggio pubblico e uno privato. Ci sono delle cose che solo la squadra può dire o sentire: non sono segreti, è codice d'onore.

sabato 19 novembre 2011

magico sabato

Per un insegnante lavorare di sabato è una sorta di iattura, un'esemplare punizione per un grave peccato commesso. Ancora adesso mi sto chiedendo di quale colpa mi sia macchiato per meritarmi una sorte così avversa e malvagia. Questa è una delle categorie lavorative dove esiste un'effettiva disparità di trattamento tra i dipendenti: tanto per fare un esempio, chi lavora nel commercio è consapevole della mole di lavoro che gli spetta. Oppure i turnisti, sanno in partenza i dettagli del proprio destino. Per quanto riguarda i docenti, invece, l'orario di lavoro è stabilito da altri a tavolino. C'è chi lavora di pomeriggio, chi di mattina, chi le prime ore, chi le ultime, chi ha da sempre lo stesso giorno libero, chi lo cambia ogni anno. Quando ho capito, dalle facce inconfondibili dei compilatori dell'orario, che anche quest anno avrei dovuto sopportare l'inevitabilità degli eventi, mi sono messo il cuore in pace e il pre-festivo in tasca. Esiste comunque l'altro lato della medaglia, certamente più incoraggiante. Non si sa per quale motivo, di sabato a scuola l'atmosfera è rilassata e soave, come se gli alunni avvertissero la necessità di deporre le armi. D'incanto, maggiore disponibilità e collaborazione. Sorrisi, battute, gentilezze. Cose da non credere! Un'aria leggera mai respirata nei giorni feriali. Sarà la legge di compensazione, oppure la sensazione di essere già in vacanza. Sta di fatto che le ore passano in fretta e quasi diventa divertente ed utile l'esercizio dell'insegnamento. A questo punto sorge un dilemma: meglio il privilegio del fine settimana lungo o la soddisfazione nel provare che la missione dell'educatore ha ancora senso di esistere? Ai posteri l'ardua sentenza.

giovedì 17 novembre 2011

k factor

Il discepolo supera il maestro. Fattore K alla ribalta: Knight e Krzyzewsky si passano il testimone. 903 partite vinte in carriera. Un abbraccio commovente a fine partita. Il discepolo, visibilmente emozionato, dirà:" sono orgoglioso di aver avuto un maestro come Bobby ". Una bella storia, fra due giganti del basket universitario che hanno dato un'impronta indelebile a questo sport. Chi non ha succhiato le idee di questi due mostri? Knight artefice del concetto difensivo di squadra e della disciplina nel lavoro: i suoi metodi duri, al limite della sopportazione, hanno forgiato centinaia di giocatori. Sua la celebre frase provocatoria: vorrei allenare 10 giocatori orfani. Mike Krzyzewsky, signore in panchina, fautore del gioco pulito ed organizzato in attacco, capace di riportare al posto giusto l'immagine del basket americano: quando ci fu da scegliere l'allenatore della selezione statunitense alle ultime olimpiadi, il consenso su coach K fu praticamente unanime. Duke, l'università per la quale allena, gioca sul K court, riconoscimento dato solo ai grandi della pallacanestro d'oltre oceano. Dobbiamo molto a questi due personaggi: l'identificazione dell'università con l'allenatore è il modo migliore per dare continuità ad un progetto. Il paragone con Ferguson e il sistema Manchester non è inopportuno. Chi va in queste squadre è perfettamente consapevole di ciò che può trovare e di ciò che l'aspetta. Abituati ai facili esoneri e agli incarichi ad tempus, ci suona strano pensare ad allenatori che stanno nella stessa piazza per molti anni: in Italia una cosa del genere sarebbe improponibile. Il segreto? Un ambiente sano e unito, senza pressioni e inutili polemiche, dove tutti sono orgogliosi di lavorare per la stessa causa. E dove la parola fiducia trova ancora ragione di essere pronunciata.

martedì 15 novembre 2011

fatto male

C'è un momento in cui tutto esce dalle orecchie. Gli alunni, i giocatori, le palestre, i colleghi. In base alla par condicio, anch'io devo aver subito la stessa sorte in qualche orecchio altrui. Vorresti prendere una chitarra e salire sul palco. Oppure un pennello. Picozza e scarponi. Barca a vela. Fuggire? Si, fuggire. Come clandestini nella notte. Come ladri in pieno giorno. Come vigliacchi, non importa. Il rapporto con la quotidianità è ambivalente: è lavoro, guadagno, famiglia, relazioni. Ma è anche ripetizione, nausea, orari. Fare e disfare. Ricominciare daccapo, adattando continuamente il sistema nervoso alle novità, spesso squilibranti e irrispettose. Continuiamo a farci del male, incuranti degli effetti irreversibili. La pensione non è più il giusto compenso dopo anni di lavoro: è libertà, riappropriazione, identità. Non ci penso: di questo passo potrei togliere il disturbo molto prima. Siamo animali complessi: il mio cane, da cui dovrei imparare, si accontenta delle carezze giornaliere. Purtroppo, a cinquantanni suonati, non ho ancora imparato l'arte: trasformare l'ordinario in straordinario. Ci provo, ma ogni volta inciampo. Dovrei godere di quello che ho, se non altro per rispetto all'umanità ferita. Sono fatto male: amo ciò che faccio, ma sono innamorato di altro.

domenica 13 novembre 2011

celibi e ammogliati

È sempre affascinante vedere una squadra di ragazzi battersi con gli adulti. Un pò come una volta, celibi e ammogliati (oggi si potrebbe organizzare un torneo con tutte le tipologie esistenti). I celibi corrono, gli ammogliati menano. Così è da sempre e così sempre sarà: è una legge non scritta, ma che tutti sanno. Nessuno vuole perdere: i giovani hanno impazienza, i meno giovani orgoglio. Entrambi hanno qualcosa da insegnare e imparare. Se i ragazzi vogliono vincere, devono prendere il largo e non farsi raggiungere: in un finale punto a punto, non hanno scampo. Se gli adulti vogliono vincere, devono rintuzzare e rimanere attaccati: continue rimonte potrebbero esaurire le forze. Da una parte un motore fresco ma non ancora collaudato; dall'altra la capacità maturata negli anni di ottenere il massimo con il minimo. Alla fine abbracci e riconoscimenti per tutti, quasi un passaggio di consegne. Arriverà il momento. Intanto una stretta di mano: c'è rispetto tra chi ne ha viste tante e chi ha visto troppo poco. In fondo, fa parte della specie animale preoccuparsi della successione: chi ha molte partite alle spalle vuole sincerarsi della bontà dei propri eredi. Chi vince oggi, ieri ha saputo aspettare.

sabato 12 novembre 2011

goal



Il portiere caduto alla difesa
ultima vana, contro terra cela
la faccia, a non veder l'amara luce.
Il compagno in ginocchio che l'induce, 
con parole e con mano, a rilevarsi,
scopre pieni di lacrime i suoi occhi.


La folla - unita ebbrezza - per trabocchi
nel campo. Intorno al vincitore stanno,
al suo collo si gettano i fratelli.
Pochi momenti come questo belli,
a quanti l'odio consuma e l'amore,
è dato, sotto il cielo, di vedere.


Presso la rete inviolata il portiere
- l'altro - è rimasto. Ma non la sua anima,
con la persona vi è rimasta sola.
La sua gioia si fa una capriola,
si fa baci che manda da lontano.
Della festa - egli dice - anch'io son parte.


Umberto Saba - Il Canzoniere

giovedì 10 novembre 2011

tu sei Zlatan

E' sopportabile solo perchè veste la maglia giusta. Ha scritto perfino un'autobiografia "Io sono Zlatan", che sicuramente non troverà in me un acquirente. Maleducato, sfacciato, narcisista, provocatore: è questo il modello che piace? Finalmente gli adolescenti avranno un paladino a cui rifarsi, uno con le palle che manda in quel paese gli allenatori e ko i compagni di squadra. Se lo fa Ibra, che malgrado tutto è un campione, non possiamo farlo tutti? In fin dei conti ognuno può dire quello che vuole: ciò che mi indigna è che il quotidiano sportivo più letto in Italia faccia da amplificatore a questa squallida commedia. Ci si onora di trasmettere valori e idee di profilo e poi si cade, come sempre, sulla buccia di banana del profitto ad ogni costo. Quello che Zlatan si dimentica di dire - e che avrebbe fatto bene a mettere nelle note, come nei medicinali - è che per diventare come lui non bisogna seguire quello che c'è scritto sul libro. Perchè per fare un campione non esistono scorciatoie: i litigi, le bevute, le bravate sono solo il corollario di una vita spesa in sudore e rinunce. Per un'ubriacata occasionale, ci sono milioni di strenuanti allenamenti. Ingannare l'immaginario giovanile facendo credere che si possa ottenere tutto ciò che si vuole vivendo spericolatamente è uno dei crimini morali più grossi che oggigiorno si possano commettere. Maradona, il più forte giocatore di calcio mai esistito, ha buttato nel cesso la sua vita per aver vissuto di eccessi: proviamo a chiedergli ora se, tornando indietro, rifarebbe le stesse cose che lo hanno portato alla rovina. Non si scherza su queste cose: un campione ha il dovere di dire che, oltre a mille privilegi, esiste un lato oscuro e meno visibile chiamato sacrificio quotidiano. E' su questa immagine idealizzata del fenomeno privilegiato che molti ragazzi gettano alle ortiche carriere e sogni di gloria. Caro Zlatan, nessuno discute il tuo talento: non c'è bisogno di enfasi, nemmeno di parole. Io farei come Pippo: lascerei parlare i goal.

martedì 8 novembre 2011

una nuova era

Il mio grado di tolleranza si abbassa ogni giorno di più. Devo stare attento, alla mia salute e a quella degli altri. Quello che non sopporto è la distrazione. Le giovani generazioni ne sono affette da tempo ormai, da quando la tecnologia si è impadronita della loro mente. Non sono contrario per principio alla modernità, intesa come sviluppo di nuove conoscenze o invenzione di strumenti in grado di migliorare la qualità della vita. In sè, un telefonino è un oggetto e nulla più: è l'utilizzo che potrebbe diventare nocivo. Ricordo in gioventù le discussioni accanite sulle funzioni patologiche della televisione: Pasolini ne fu il precursore e molti suoi scritti si rivelarono in seguito altamente profetici. Oggi parlare di TV fa ridere tutti quanti: iphon, ipad, playstation,xbox, queste sono le nuove creature con cui fare i conti. Per non parlare di internet e dei social network che tengono incollati i ragazzi per ore al computer. Mi rendo conto che di fronte a questo assedio mediatico e virtuale, le parole di un vecchio allenatore brontolone abbiano poche speranze di vittoria. Calcolate bene: nessuno tra questi attrezzi si preoccupa della formazione dei ragazzi, semmai del loro intrattenimento. Il motivo per cui si possa stare ore ed ore su internet è presto detto: non ci sono richieste particolari e non c'è fatica mentale. Ben diverso leggere e sottolineare un libro di testo, oppure sopportare un insegnante che ti chiede di fare addominali veri, non virtuali. La percezione del reale viene sfumata,difficile rendersi conto del senso di adeguatezza o meno verso un compito assegnato. Nessuno spiega che c'è un trucco: tra il mondo immaginario e quello esistente c'è una differenza abissale. Quello immaginario è facile da ottenere,quello esistente occorre sudarselo. Se con la playstation posso schiacciare come Michael Jordan, sul campo devo meritarmi la permanenza. Difficile capire che un minuto fatto in campo ha una soddisfazione maggiore di 5 ore passate ai video giochi. Cosa c'entra la tecnologia con la distrazione? C'entra, perchè la generazione precedente a quella virtuale - che ho fatto in tempo ad allenare - aveva un livello di concentrazione più alto. Non mi è mai capitato, come in questi ultimi anni, di ripetere all'infinito le stesse cose, come se dall'altra parte del telefono non ci fosse nessuno ad ascoltare. La facilità con cui oggi possiamo disporre di qualsiasi informazione ha fiaccato la mente, come se non fosse più allenata a sopportare carichi prolungati ed intensi. Non è un caso se oggi dico ai miei atleti che la differenza la fa la testa: una volta era il talento, poi è venuto il fisico, successivamente l'atletismo. Siamo entrati in una nuova era: chi ha più presenza mentale e concentrazione si lascia gli altri alle spalle. E non solo nello sport.

venerdì 4 novembre 2011

il nemico sbagliato

Sono allibito. Ma dove stiamo andando? Ibrahimovic riempie di insulti Guardiola che è l'artefice del fenomeno Barcellona degli ultimi tempi mentre un giocatore della Virtus Bologna manda in pronto soccorso l'allenatore dopo essere stato ripreso. Nel mio piccolo, vi risparmio le espressioni che devo sentire ogni qualvolta gli alunni vengono corretti nei loro comportamenti, diciamo così, illeciti. Probabilmente, la buona educazione non è più una virtù. Anzi, in alcuni casi è considerata come un atteggiamento molle, passivo e rinunciatario. Parimenti, rispondere viene giudicato positivamente, come meccanismo democratico e maturo di autodifesa. Difesa da chi? Da chi vuole cavare il meglio dall'altro? Qualcuno ha sbagliato il nemico da combattere. I ruoli vanno rispettati: i padri non possono fare i figli e viceversa. Così i giocatori, non possono fare gli allenatori. Quando c'è uno scambio di ruoli, avviene il caos. Altro discorso é il rispetto che va sempre e comunque dovuto a chiunque, prescindendo dai ruoli stessi. L'educatore deve rispetto, ma la sua autorevolezza non può esser discussa. Può capitare che un giocatore dissenta dall'allenatore, non per questo deve sostituirsi o mettere in discussione la leadership. Si va fino in fondo, costi quel che costi. Ingoiare un rospo, in fondo, è sempre meglio che farsi cacciare.

martedì 1 novembre 2011

Luca....

E' difficile fare quello che mi appresto a fare. E' difficile, è improbo, è... è forse ingiusto, come ingiusto, profondamente ingiusto, è ciò che è accaduto: troppo pochi i giorni che sono trascorsi dalla scomparsa di un amico, di una amico vero, di Luca; troppo pochi i giorni trascorsi dal suo abbraccio, quando ci incontrammo per accompagnare Cesco, suo fratello. E se doverosi sono i ringraziamenti a Livio, al Console, che mi ospita per queste due righe, probabilmente inadeguate, doveroso è anche sottolineare come non sia io forse la persona adatta. Troppo parte in causa, troppo legato a una persona che con me ha condiviso passioni, e gioie, delusioni e speranze. Di una persona con la quale la vita è stata davvero crudele. Era un gigante Luca, era un adulto con la testa di un ragazzino, era superman, quando schiacciava mente noi gioivamo per aver toccato la retina. Era la sua voglia di vivere, di essere allegro, di crearsi un futuro, lo stesso che parzialmente non ha avuto. Era la pallacanestro, era la Perseo e i rockabilly, era la sua banana ed era le Cripper. La musica, Luca era la musica e le sue ragazze. Era la sua Cagiva, era il suo sorriso. Era le tante partite vinte, ed era l'ammirazione ed il rispetto per i grandi, perchè allora un anno era un muro, due erano un abisso che Luca sapeva sorvolare diventando amico di tutti. In punta di piedi, con la curiosità di un bambino. Luca era la vita, anche dopo quel maledetto incidente, quell'attimo che lo ha segnato, strappandogli molto ma non tutto, lasciandogli un sacco di cose alle quali aggrapparsi con un coraggio che non so, non credo riuscirei ad avere. Anche a Treviso, in lungodegenza, Luca era tutto ciò: era la speranza di tornare ad essere ciò che era, era l'allegria di chi non ti fa piangere, lui che avrebbe dovuto essere il primo a farlo. Una parola buona, una parola giusta, per tutti. Con una disarmante sensibilità, Luca, ci provava, ci ha provato sino in fondo. Lasciando in tutti l'impressione – e probabilmente anche la certezza – di non aver fatto abbastanza, di non essergli stati vicini a sufficienza. Sarebbe facile dire ora che la vita, in fondo, è così:

no, Luca, la vita non dovrebbe essere così, dovremmo avere più voglia più tempo, perchè quello che avrei dovuto passare con te sarebbe stato il tempo migliore.

“Ero il più forte di tutti!”, me lo dicevi spesso, Luca. Mai come ora posso dirlo, davvero. Si, eri il più forte di tutti. Di tutti quelli che, come me, ora non trovano chi non li faccia smettere di piangere. Non è giusto, Luca. Non è giusto.

Piero Della Putta

imbroglioni

Un conto è essere cattivi, un altro è farlo. Io sono della seconda specie. Un teatrante in sostanza. C'è una bella differenza: chi è cattivo dentro vuole il male dell'altro, chi lo è fuori in genere vuole il bene. Gli educatori sono tutti imbroglioni: bleffano, interpretano, recitano: in palio c'è la formazione dell'uomo di domani. E' strano: nella cattiveria apparente è nascosto un atto d'amore. Difficile da capire, ma tutti i grandi formatori hanno agito più o meno così. Per ottenere successo è indispensabile percorrere sentieri ad alta pendenza: chi promette traguardi facili, sa di mentire e commettere grave reato verso le nuove generazioni. Non c'è migliore via dello sport per capire quali sono le risorse necessarie per farcela anche nei momenti di maggiore difficoltà. Ti insegna che la fatica ha sempre una ricompensa, che non esistono sogni impossibili, che vince chi merita, che se resisti il premio sarà doppio. La soddisfazione non sta nella vittoria, ma nell'aver gareggiato: lottare fino in fondo senza calcolo e risparmio. Questo dobbiamo insegnare. Per farlo dobbiamo essere davanti al gruppo e pagare per primi se necessario: stavolta in forma reale, non apparente.