"Non è il cammino impossibile, ma l'impossibile è cammino"

martedì 30 agosto 2016

sfiancati e felici

Mi trovo in perfetta sintonia con il vate, alias Valerio Bianchini, quando afferma 'se volete divertirvi andate a Gardaland'. L'accostamento sport-divertimento può essere fonte di malintesi, non solo per chi fa agonismo, ma anche per chi compie i primi passi. Di-vertere significa volgere altrove, deviare, distogliere: chi sta in palestra o in piscina o su un campo qualsiasi fa tutto fuorché allontanarsi da se stesso. Certo, esiste una componente di piacevolezza nel muoversi, nel giocare, nel riconoscere progressi durante l'apprendimento: tutto ciò non ha nulla a che fare con un passatempo qualsiasi, dove la mente vaga e trova rifugio presso lidi distanti dal mondo reale. Se c'è un aspetto che durante l'attività fisica non può mai mancare è la soglia di attenzione: rimanere concentrati non è per niente divertente, comporta un consumo enorme di energie mentali e nervose. Si fa più fatica con la testa che con le gambe: fare 10 giri di campo comporta meno dispendio che svolgere un esercizio tecnico ad alto contenuto cognitivo. Quando una mamma o un papà accompagnano il/la loro bambino/a in palestra, per prima cosa si aspettano che si diverta: ben presto, però, si accorgeranno che non tutto fila liscio. Ci sono i compagni più bravi, ci sono le sconfitte, gli infortuni, c'è l'allenatore che sgrida, la panchina da scaldare, regole e orari da rispettare, campionati da partecipare, distanze da coprire, vacanze da rinunciare. Non è tutto oro quello che luccica e chi lavora nell'ambiente sportivo ha il dovere morale di informare che l'attività svolta non è ricreativa: per svagarsi ci sono i cartoni animati, le play station, i parchi giochi. Non c'è una fase della vita dove tutte le componenti della persona sono impegnate in modo totale ed integrato come nello sport: cuore, testa, corpo, insieme, alla massima potenza. Nemmeno a scuola gli alunni hanno un atteggiamento di impegno assoluto: il corpo riposa dietro ai banchi - anzi spesso si rovina con posture scorrette - e la testa funziona ad intermittenza. Ecco perché sarebbe preferibile accostare allo sport il termine 'bene-essere', che significa stare bene, cioè quando le funzioni vitali si muovono in modo sinergico e nessuna viene sacrificata. Divertimento è uno stato passeggero, benessere è stile di vita. Non ci sarebbe spiegazione, altrimenti, per le gare massacranti o estreme. Se chiedi a un maratoneta, al termine della gara, se si è divertito, ti risponderà: 'no, ma sono felice'. Non ci si diverte a fare fatica, ma si può essere felici. Questo è il vero segreto di chi pratica sport.

lunedì 29 agosto 2016

Roma c(k)aput mundi?

Roma 2024. Sì o no. È tempo di decidere. Non ho intenzione di inguaiarmi in pastoie politiche - anzi partitiche - dato che a prima vista sembra più una questione di schieramento che di valutazione strategica. Lo sport dovrebbe unire più che dividere, ma a quanto pare non siamo più in grado di esprimere un'identità nazionale in nessun campo dello scibile umano. C'è però una cosa che mi inquieta ( non da farmi perdere il sonno, ci mancherebbe ): il sospetto - e forse qualcosa di più - che questo Paese o la gran parte di esso, consideri lo sport e l'attività motoria come strumenti accessori della vita comune. Per carità, siamo tutti felici ed orgogliosi quando Buffon parà i rigori o qualche eroe isolato vince una medaglia d'oro, ma se dovessimo scegliere fra una strada e una palestra non avremmo dubbi di preferenza: meglio tappare un buco sull'asfalto dove tutti circolano che rifare il parquet dove i bambini giocano. Fare movimento è considerato un lusso, una pausa nella routine quotidiana che non tutti possono permettersi: ci sono cose più importanti da fare, il tempo è denaro e non può essere sprecato in amenità. Non sono così stolto da non sapere che le Olimpiadi non riguardano tutti, ma solo una porzione eletta e selezionata degli atleti. Allo stesso tempo sono convinto che mettere al centro dei nostri pensieri una buona volta qualcosa che abbia a che fare con lo sport - attenzione sport, non calcio - possa aiutare quel processo indispensabile di trasformazione da teleutenti passivi a praticanti attivi. Penso in particolare agli sport minori - o considerati tali - che potranno vivere di luce riflessa e forse di qualche struttura più adeguata a svolgere attività formativa. Inoltre, un maggior numero di impianti favorisce il decongestionamento dei locali e, di conseguenza, più praticanti coinvolti, in particolare giovani. Se poi l'alibi maggiormente in voga consiste nel terrore degli appalti truccati o nella corruzione dilagante ( timori per certi versi comprensibili ), è giusto chiedersi perché ricostruire nelle zone del terremoto o se ha ancora senso parlare di piano urbanistico. Saremo in grado, una volta tanto, di dimostrare al mondo intero che siamo in grado di fare le cose in modo onesto e trasparente? Anche questa è una sfida da raccogliere. La paura ci fa tornare indietro, come nel gioco dell'oca. Se vogliamo avanzare, abbiamo bisogno di scelte coraggiose. Attente, ma coraggiose. Quindi la mia modesta e insignificante risposta è sì.

martedì 23 agosto 2016

mollare gli ormeggi

Non è un vizio capitale, ma la gelosia, parente ma non sorella dell'invidia, procura danni irreparabili. Si può essere gelosi del proprio amante, ma anche del proprio studente o atleta. Un allenatore geloso non riuscirà mai a staccarsi dal proprio giocatore al punto da indurlo alla dipendenza. Il rischio è quello di trovarsi in una dinamica adulto-giovane talmente dominante che nessun altro sarà in grado di proseguire il percorso iniziato. Lasciare un giocatore, soprattutto se di un certo valore, comporta una certa sofferenza ma è un atto dovuto e inevitabile se si vuole che i ragazzi progrediscano sia tecnicamente che umanamente. Ecco perché non bisognerebbe mai allenare più di due, massimo tre anni, gli stessi atleti. L'allenatore è come un seminatore che non conosce i tempi della mietitura: a lui spetta il compito di coltivare ma non di raccogliere. Nessuno può prendersi il merito di aver iniziato e finito un giocatore: ciascuno lascia un'impronta alla quale ne faranno seguito di altre. Siamo gelosi quando abbiamo paura di essere dimenticati: in realtà, tutti gli atleti e i giocatori che sono passati sotto le nostre cure, se siamo stati onesti con noi stessi e con loro, conoscono perfettamente tutti i passi - uno ad uno - che sono stati compiuti per diventare ciò che sono. Anche quelli che non hanno fatto dello sport una professione sanno riconoscere l'impulso ricevuto per essere donne o uomini migliori. Personalmente, trovo non ci sia paragone tra un ragazzo/a che riesce a coronare il proprio sogno e qualsiasi vittoria, anche prestigiosa, ottenuta sui campi: essere orgogliosi, non gelosi, consapevoli che tale soddisfazione va divisa e condivisa con mille persone e situazioni. L'ingratitudine dei giocatori è solamente una costruzione mentale degli allenatori che vogliono girare i riflettori su se stessi scordandosi che la vera missione è scomparire. La gelosia fa male a chi deve crescere: è come buttare troppa acqua ad una pianta con il rischio di farla marcire. Per allenare è invece necessario possedere due forme di generosità: la più facile, che è anche la più comune, sta nel dare il massimo ai propri allievi; la seconda, la più improba, è mollare gli ormeggi quando è necessario farlo. Non è un abbandono, non è un addio, è solo un arrivederci. È un saluto con il fazzoletto dal molo, per approdi più belli ed esaltanti.

sabato 20 agosto 2016

tu non giochi

Chissà perché, mi è tornata in mente in questi giorni una scena ricorrente d'infanzia. " Tu non giochi ", una stilettata crudele che decretava la fine di ogni speranza di partecipazione. Non c'era niente da fare: se il capo gioco, generalmente il più grande e il più grosso, emetteva la fatal sentenza, non c'erano né comitati di difesa né ricorsi possibili, pena sanzioni fisiche irreparabili. Unica attività accessibile, l'osservazione a bordo campo, sperando in un ripensamento oppure in qualche abbandono precoce. Naturalmente le lacrime erano bandite: orgoglio e dignità soffocavano ogni emozione, qualsiasi gesto del corpo che avesse rivelato debolezza sarebbe stato oggetto di pubblico ludibrio. Non c'è paragone tra sconfitta e astensione: chi perde ha avuto almeno l'onore di provare a battersi, chi non partecipa può solo vivere di rimpianti. Il divieto di partecipare è contrario alla stessa essenza del gioco: ognuno fa la sua parte e mette a disposizione se stesso per la causa comune. Lo stesso concetto vale nello sport: ciascuno pesca nel proprio talento per superare i propri limiti, per abbassare il tempo, per allungare lo spazio, per avere la meglio su altri concorrenti o squadre. Com'è possibile decifrare l'indice di performance in assenza di misurazione? È come un bel progetto architettonico che rimane sulla carta, una promessa che non è mantenuta, un amore non dichiarato. Ci sono molte similitudini con quanto successo a Schwazer in questi giorni: banalizzando, ma non troppo, gli è stato detto chiaramente: " Tu non giochi ". " Nemmeno sub judice o fuori concorso "? " Nemmeno ". L'importante che non ci fosse, che rimanesse fuori dal gioco e dai giochi. Con tanto di sportivissima benedizione da parte degli atleti cacasotto in gara, che invece di accogliere la sfida hanno tirato un sospiro di sollievo. Perché tutti sapevano e sanno, compreso il venduto commentatore, che avrebbe vinto la 50 km. Ma Alex, secondo la giustizia sportiva, è un dopato, un reietto, un recidivo, un traditore. Forse, e ripeto forse, la giustizia ordinaria restituirà la verità dei fatti, ma non la possibilità di marciare e provare a vincere. Per l'Italia e Mameli tra l'altro. Credevo che un oro in più avrebbe fatto comodo, anche alle nostre istituzioni - sportive e non - che non passa giorno ci ricordano il nutrito medagliere di cui andare fieri. Ma che in questa storia, questa triste e buia storia, non hanno mosso un dito.

giovedì 18 agosto 2016

ditemi perché

Ditemi perché. Perché io dovrei rispettare le regole mentre voi, che dovreste farle rispettare, siete i primi ad infrangerle. Perché dovrei starmene dentro un box, non rispondere agli arbitri, non insultare gli avversari e non inveire con il pubblico. Mentre cerco di dominare l'animale che c'è in me, voi bellamente e in perfetto savoir faire non vi accontentate di sedere su poltrone di prestigio, ma silenziosamente e senza dare nell'occhio, affetti da mal di cupidigia, vi appropriate di ciò che non è vostro. Utilizzate la vostra autorità per farvi corrompere da staterelli ambiziosi che hanno scoperto lo sport come nuovo terreno di scontri. Usate la giustizia - quale giustizia? - ad uso interno per sbarazzarvi dei vostri detrattori. E voi, così esperti in dolo, da chi sarete giudicati? Da un tribunale amico? La verità é che con voi non è possibile difendersi e nemmeno attaccare. Ditemi che cosa devo dire ai ragazzi e ragazze che quotidianamente incontro in palestra ed ai quali chiedo lealtà, spirito di sacrificio, fair play. Ditemi perché devo continuamente insistere nell'avere rispetto per i perdenti, nel non usare mezzi illegali per vincere, nel fare leva solo su coraggio e sudore. Quale credibilità pensate di avere se i dopati protetti continueranno a spadroneggiare mentre i puliti che non hanno santi in paradiso dovranno ingoiare sentenze truccate. Può darsi - anzi è sicuro - che tra voi ci sia qualcuno che non è disonesto: ebbene, se questo fosse vero, non c'è più tempo da perdere perché io, come tanti altri, abbiamo perso la pazienza. Nella mia ingenuità pensavo che lo sport fosse immune alle porcherie tipiche di altri ambienti: mi sbagliavo, l'avidità e la dissoluzione esistono ovunque. Voi avete rovinato la bellezza e la purezza dello sport: questo é il vero peccato originale, prima ancora dei reati commessi. Noi ci vergogniamo per voi. Ditemi perché dovrei stare zitto, perché dovrei accettare tutto questo con rassegnazione. Mi avete condotto a pensare che un governo, nello sport, non solo e non tanto sia inutile, ma perfino dannoso. Da questo momento sentitevi braccati, perché non sorvoleremo più su nulla. Per fortuna ci sono le palestre, i ragazzi, gli spogliatoi, le urla, i pianti, gli abbracci: tutto questo ha davvero potere di corruzione e non riuscirete a farmelo odiare. Ditemi perché. 

lunedì 15 agosto 2016

angeli custodi


Un brutto ferragosto. Ferragosto di morte. Non parliamo di destino, per favore. Quale destino che ti strappa nel bel mezzo della fioritura? E nemmeno di errore umano. Ci siamo passati tutti su quella strada, a tutte le ore e in tutti i modi. Parliamo di tragedia piuttosto, per chi resta e non ha più lacrime nè spiegazioni. Nessuno di noi ha spiegazioni. Giò aveva l'età di mio figlio. Poteva essere mio figlio. Amava la pallacanestro, come mio figlio. Sono spaventato. Tutti siamo spaventati. E siamo stretti nel dolore. A questo punto non ci resta altro da fare. Vorrei gridare la mia rabbia, per tutti i ragazzi, e sono molti, che invece di essere chissà dove dovrebbero stare su un campo a giocare oppure in un bar a ridere e chiacchierare. Perché questa dovrebbe essere la gioventù, libera e spensierata. Ma la rabbia non farà riportare in vita ciò che si è dissolto nell'aria. La rabbia accumula dolore e di dolore ce n'è già abbastanza. Non abbiamo scelta: o ci diamo uno slancio di vera umanità, o non ce la faremo. Non siamo in grado, da soli, di sopportare tutta questa tristezza. Per una volta, dimentichiamo ciò che ci tiene distanti e proviamo ad essere prossimi. Se non siamo in grado di capire, almeno possiamo stringerci e sostenerci a vicenda. Perché se il dramma è condiviso, ha un impatto minore e una sopportabilità maggiore. Non è retorica, Giovanni era un ragazzo splendido. Come tutti gli altri che non ci sono più. È davvero una brutta ingiustizia, a cui purtroppo non si può riparare. Ciò che possiamo fare è non disperdere il bellissimo ricordo che abbiamo di lui e di Matteo, Luca, Andrea. Avremmo voluto averli qui, ora sono i nostri angeli custodi.

domenica 14 agosto 2016

temperatura in ribasso a Olimpia

Ci deve essere qualche buon motivo se i giochi olimpici in corso non sono riusciti più di tanto a scaldarmi il cuore. In primis, l'assurda e fangosa vicenda Alex Schwazer: personaggi anche autorevoli tendono a minimizzare l'accaduto non rendendosi conto che in gioco ci sono sia i valori dello sport che la dignità umana. Siamo giunti all'assurdo che atleti puliti stanno fuori mentre quelli sporchi gareggiano e vincono medaglie. In secundis, l'inadeguata e dilettantesca programmazione televisiva di mamma Rai: telecronisti datati e incompetenti ( alcuni, per non far nomi, faziosi e megalomani ), tre canali dedicati ( a volte 2+1 perché Rai2 trasmette altro ) e nessun ausilio didascalico ( si sono già consumati i tasti del telecomando a forza di cambiare ripetutamente ), discipline mandate in onda, con tutto il rispetto, di basso appeal. Mentre Bragagna e compagnia cantante ci dilettano con le loro suadenti affermazioni, l'azienda ci sfila dalle tasche l'agognato canone: del resto, sessantacinque milioni di euro per l'esclusiva vanno recuperati, possibilmente in fretta. In terzis, non ho più l'età oramai per praticare attività notturne e le repliche, francamente, mi fanno lo stesso effetto della minestra riscaldata. Sono riuscito addirittura ad addormentarmi davanti a team USA: a proposito, era tempo che non vedevo gli americani giocare così male. Perfino coach K ha dovuto arrendersi di fronte al superego dei prezzolati giocatori, che affrontano le olimpiadi come se fosse un normale all star game: vinceranno, ma la pallacanestro migliore, quella che esalta il gioco di squadra, rimane di scuola europea. Piccola parentesi per l'Argentina: c'è chi ha avuto da dire sugli ormai vetusti giocatori, io dico che stanno dando un magnifico esempio di attaccamento alla maglia e al paese. Se ci fosse qualche giovane di belle speranze, non sarebbe rimasto a casa. Non me ne abbiano gli atleti italiani, solitamente decantati da queste pagine per le eroiche imprese. Non è mai facile, per i nostri connazionali, salire sul podio. Non mi stupisce nemmeno la già variegata collezione di medaglie di legno: in questa particolare classifica non abbiamo rivali. D'altro canto mi risulta inevitabile nutrire una certa tradizionale debolezza per alcuni di loro: Tania Cagnotto, ad esempio, l'ultima tuffatrice classica, elegante e leggera, ma soprattutto mai banale nelle dichiarazioni. "Lo sport è sofferenza, non voglio più soffrire". Ha fatto anche troppo, noi dagli atleti ci aspettiamo che vincano sempre e bellamente ce ne freghiamo delle rinunce, i sacrifici, le delusioni. Come Federica Pellegrini, costretta a difendere l'invidiabile carriera da attacchi manigoldi di chi ha poco a che fare con lo sport. La simpatia non è mai stata il suo forte, ma non si può discutere la classe, il carisma, la determinazione, la persistenza ad alti livelli. Tranquilli, gli italiani da sempre son maestri d'armi: tra fioretti, pistole e carabine come sempre faremo la nostra parte. Alla fine, tutti saranno felici e sorridenti. Tranne me, inguaribile e maledetto menagramo di periferia.

giovedì 11 agosto 2016

signori delle tenebre

Cari ( chissà perché poi ) signori ( mah ) che vivete nelle tenebre, non so chi e dove siate. Ad essere sincero, non è che me ne freghi molto. Voi che siete nascosti da qualche parte, prima o poi vi vedremo in faccia e conosceremo i vostri nomi. Sportivamente parlando ( ho dubbi che sappiate cosa significhi ), all'intervallo vi trovate in vantaggio. Ma come diceva il mitico Boskov, 'partita finita quando arbitro fischia'. Siete entrati negli spogliatoi ridendo ed esultando, pensando che ormai il discorso sia chiuso. Avete finalmente consumato la vostra vendetta. Vendetta cinica e disumana. Vi siete dissetati con il sangue dell'agnello. Lo avete intrappolato, legato, sgozzato. Non vi siete accontentati di un colpo secco alla testa, lo avete dissanguato fino all'ultima goccia. Sappiate che la verità verrà fuori, presto o tardi che sia. Perché quello che avete compiuto, senza molti giri di parole, si chiama assassinio. Sportivo, ma pur sempre assassinio. Ora sappiamo qual' é il trattamento riservato a chi si mette di mezzo o pesta qualche piede sbagliato. Messaggio chiaro anche per quegli atleti moralisti e bacchettoni che hanno perso l'ennesima occasione per stare zitti: attenzione, così bravi a scagliare pietre, la prossima volta sul patibolo potreste salirci anche voi. Signori delle tenebre, io come tantissimi altri viviamo di sport e vorremmo lavorare in un ambiente pulito e virtuoso: se é vero che il doping è una piaga che va combattuta senza esclusione di colpi, è anche vero che il malaffare e la corruzione in certi ambienti del governo sportivo mettono a dura prova la nostra imperturbabilità e resistenza. Avete ucciso un atleta, non avete ucciso un uomo. A livello sportivo, tramite complicità occulte, avete vinto. Umanamente, passando per la legge ordinaria, perderete. Perché chi imbroglia, prima o poi, perde.
Caro Alex, quando ti presero in flagrante prima di Londra, da queste stesse pagine non mostrai nessuna pietà nei tuoi confronti. La tua ammissione sincera non attenuò la mia rabbia ed usai parole dure ed inequivocabili. Mi diede molto fastidio anche il coinvolgimento indiretto di Carolina Kostner, rea di averti difeso mentendo agli ispettori che vennero per un controllo. Ora provo compassione per te. Credo alla tua onestà e a quella del tuo allenatore, paladino della battaglia al doping. Credo alla tua innocenza perché credo nella redenzione: un atleta che ha passato quattro anni in purgatorio e nel dimenticatoio non può ricadere nello stesso errore. Solo chi non ha fatto sport può pensare ad una storiella del genere. Hai sbagliato e hai pagato. Come è giusto che sia. Sei tornato facendo enormi sacrifici e inviso a tutti, soprattutto nel tuo ambiente. Non ti hanno perdonato il fatto di aver rivelato circostanze e nomi: come in un perfetto sistema mafioso, i pentiti vengono puniti. Hai lottato fino all'ultimo tenendo accesa una fiammella di speranza: il tuo allenatore, scomodo nel mondo dell'atletica, ti ha aiutato a tornare ad alti livelli ma, da lui stesso riconosciuto, ti ha involontariamente trascinato negli abissi del taglione. Dico a te quello che ho detto a loro: hanno ucciso l'atleta, non possono uccidere l'uomo. Non farti sopraffare nella tua umanità: continua a lottare, non permettere che il crimine nei tuoi confronti rimanga vano. Fallo per noi, per tutti gli atleti puliti, per tutti i bambini che si avvicinano allo sport. Chi si allena per marciare 50 km non può arrendersi. Compagna di vita non sarà più la strada, ma la coscienza. La coscienza di chi sa di essere nel giusto e pretende che la verità venga fuori. Ti hanno tolto una medaglia, non possono toglierti la dignità. 

mercoledì 3 agosto 2016

chi c'è e chi non c'è

Chi al villaggio. Chi in albergo. Chi in nave: i figli del dream team - quello vero, che non solo fu e rimane la più forte squadra mai esistita su un campo di pallacanestro ma che ebbe l'eleganza e semplicità di vivere, se non altro per uno spazio breve e definito, insieme agli altri - hanno preferito tenere le distanze dalla terra ferma: paura di contagio, norme di sicurezza, o semplicemente assuefazione al lusso? É caduto, in verità ormai da tempo, l'ultimo simbolo autentico del dilettantismo e universalismo olimpico: alla fiaba dell'atleta decubertiniano non professionista svelata dall'approdo inopportuno ai Giochi del calcio detto soccer ( con la formula addolcita e mascherata dell'under 21 ) ha fatto seguito il fai da te nel vitto e alloggio. Una città costata un sacco di soldi e vite umane che ospiterà solo una parte del mondo sportivo: in pratica, le federazioni e le nazioni che non possono permettersi di aggiungere spese ai bilanci già sanguinanti. Insomma, per farla breve, non ci si potrà fotografare con kevin Durant durante un pranzo frugale in mensa: ci si dovrà accontentare al massimo di Clemente Russo o Elisa Di Francisca. Anche alle olimpiadi la virtualità ha preso il posto della realtà. Il villaggio rappresenta il cuore dei Giochi e contiene un messaggio immutabile dai tempi di Olimpia ai giorni nostri: durante le gare, città e nazioni anche nemiche si affrontano lealmente attraverso abilità ginniche. Una vera e propria tregua, dove la politica sta alla finestra - o dovrebbe stare - per lasciare spazio al talento naturale e alla bravura dei singoli e dei gruppi di battere l'avversario attraverso il rispetto delle regole. Nel villaggio convivono gruppi, etnie e popoli diversi: un'occasione unica di scambio e conoscenza reciproca, dove la rivalità si chiama superamento e non soppressione. Io, uomo sfortunato - come molti altri - ho sempre guardato le olimpiadi attraverso lo schermo: per questo mi sembrano inutili, forse pretestuose, le lamentele sullo stato dell'arte degli alloggi brasiliani. Mi verrebbe da dire: se lasciate libero un letto, avvisatemi. Sarebbe come entrare al Madison Square Garden e piagnucolare per il posto assegnato in alto. O a Mirabilandia per la fila. Chi c'è e chi non c'è: questa é la vera differenza. Volete che chiediamo ad Ettore Messina cosa avrebbe scelto tra un armadietto spoglio e la sconfitta con la Croazia?